Sentenza n. 132 del 1993

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SENTENZA N. 132

 

ANNO 1993

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Dott. Francesco GRECO

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi promossi con ricorsi delle Regioni Veneto, Toscana, Umbria e Liguria notificati il 15 aprile, il 22 e 27 luglio ed il 16 ottobre 1992, depositati in cancelleria il 24 aprile, il 10 agosto ed il 3 novembre 1992, per conflitti di attribuzione sorti a seguito di varienote o vaglia del Ministro del tesoro, emessi rispettivamente in data 8 febbraio 1992, 8, 15 e 22 giugno 1992, nonchè in data 20 agosto 1992, con i quali sono state accreditate alle Regioni somme minori di quelle richieste ai sensi dell'art. 2 della legge 29 ottobre 1984, n. 720 (Istituzione del sistema di tesoreria unica per enti ed organismi pubblici) e dell'art.40 della legge 30 marzo 1981, n. 119 (Legge finanziaria del 1981) ed iscritti ai nn. 15, 28, 29 e 39 del registro conflitti 1992.

 

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri relativi ai conflitti promossi dalle Regioni Veneto, Umbria e Liguria;

 

udito nell'udienza pubblica del 9 febbraio 1993 il Giudice relatore Antonio Baldassarre;

 

uditi gli Avvocati Mario Bertolissi e Luigi Manzi per la Regione Veneto, Alberto Predieri per la Regione Toscana, Alberto Predieri e Maurizio Pedetta per la Regione Umbria, Giampaolo Zanchini per la Regione Liguria e l'Avvocato dello Stato Gaetano Zotta per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1- La Regione Veneto ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato, in relazione alla nota del Ministro del tesoro in data 8 febbraio 1992, con la quale si dava notizia di un accredito dalla tesoreria centrale a quella regionale di una somma, giacente nel conto corrente intestato alla Regione stessa, ritenuta inferiore all'ammontare del prelevamento richiesto. Secondo la Regione, l'atto impugnato è espressivo di un comportamento statale contrario alle leggi della tesoreria unica ed è invasivo delle competenze attribuite alle regioni dagli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione.

 

Premesso che, in risposta a una lettera del Presidente della Regione Veneto, che lamentava, come ultimo episodio di una lunga prassi, il non soddisfacimento integrale di sette richieste di accreditamento dei propri fondi avanzate tra il 29 ottobre 1991 e la fine dello stesso anno, il Ministro del tesoro aveva affermato che nel gennaio del 1992 erano state integralmente soddisfatte due domande formulate nello stesse mese, la ricorrente ritiene di dover interpretare la nota del Ministro come manifestazione non equivoca dell'implicita affermazione di un potere statale di disporre ad libitum, in sede di accreditamento per necessità di cassa, delle risorse finanziarie proprie delle regioni, depositate nella tesoreria centrale ai sensi dell'art. 40 della legge 30 marzo 1981, n.119.

 

A sostegno della richiesta che sia dichiarata la mancanza del suddetto potere in capo allo Stato, la ricorrente richiama la giurisprudenza costituzionale e, in particolare, quattro punti in essa presenti.

 

Innanzitutto, la Regione ricorda che il sistema della tesoreria unica è espressione del potere di coordinamento attribuito dall'art. 119 della Costituzione allo Stato, per mezzo del quale si mira a impedire un ristagno di liquidità presso i tesorieri regionali attraverso la disciplina dei ritmi di accreditamento delle risorse finanziarie regionali. In secondo luogo, la stessa ricorrente osserva come sia costante nella giurisprudenza costituzionale l'affermazione che quel sistema non deve trasformarsi in un anomalo strumento di controllo sulla gestione finanziaria regionale.

 

In terzo luogo, sempre secondo la ricorrente, la Corte ha più volte ribadito che alle regioni dev'esser assicurata in ogni caso la piena e pronta disponibilità delle proprie risorse collocate presso la tesoreria dello Stato, allo scopo di evitare improvvisi vuoti di cassa, che pregiudicherebbero il buon andamento dell'amministrazione pubblica e frustrerebbero esigenze primarie della collettività. Infine, la Regione Veneto ricorda che la Corte ha pure affermato che il rifiuto dello Stato di porre a disposizione delle regioni le loro proprie risorse non potrebbe esser giustificato con il richiamo a finalità generali, pur se di precipuo e stringente rilievo, trattandosi di interessi costituzionalmente garantiti alle regioni.

 

2.- Il Presidente del Consiglio dei ministri si è costituito solo formalmente, rinviando a una successiva memoria lo svolgimento delle proprie ragioni.

 

3.- La Regione Toscana ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato in relazione alla nota del Ministro del tesoro in data 8 giugno 1992, con la quale, a fronte di una richiesta della Regione di reintegro della propria cassa per complessivi 234 miliardi e trecento milioni di lire, è stata comunicata l'emissione di un vaglia del tesoro limitato a complessivi 200 miliardi di lire.

 

Dopo aver ricordato che l'atto impugnato rappresenta l'ultimo elemento di una sequenza di rifiuti di corrispondere integralmente alle richieste della Regione di accreditamento di proprie risorse, la ricorrente ritiene che il comportamento ministeriale censurato risulti lesivo delle competenze assicurate alle regioni dagli artt. 119, 117, 118 e 97 della Costituzione.

 

A conforto dell'ammissibilità del conflitto da essa proposto, la Regione Toscana sostiene che con l'atto impugnato il Ministro del tesoro ha sostanzialmente affermato un proprio potere discrezionale di riduzione delle richieste regionali di accreditamento dei propri fondi depositati presso la tesoreria statale, anche se formulate nel rispetto del tetto e delle procedure fissate dalla legge 29 ottobre 1984, n. 720, e dai relativi decreti ministeriali di attuazione. In ogni caso, conclude sul punto la ricorrente, dall'atto impugnato si desume un comportamento significante in direzione dell'affermazione del predetto potere, così che si confermerebbe anche per questa via l'ammissibilità del conflitto.

 

Nel merito, anche la Regione Toscana richiama a sostegno delle proprie richieste la costante giurisprudenza costituzionale, che essa interpreta in termini non dissimili da quelli esposti in relazione al precedente ricorso della Regione Veneto.

 

4.- Un ricorso per conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato, sostanzialmente identico nei profili di lesività lamentati e nelle argomentazioni addotte rispetto a quello presentato dalla Regione Toscana, è stato proposto dalla Regione Umbria in relazione a due note del Ministro del tesoro in data 15 e 22 giugno 1992, con le quali, a fronte di richieste della Regione di reintegro della propria cassa per complessivi 88 miliardi e 423 milioni di lire, è stata comunicata l'emissione di vaglia del tesoro per complessivi 60 miliardi di lire.

 

5.- Nel giudizio appena indicato il Presidente del Consiglio dei ministri si è costituito solo formalmente, riservandosi di esporre le proprie ragioni in una memoria successiva.

 

6.- La Regione Liguria ha proposto conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato, in relazione al vaglia del tesoro emesso in data 20 agosto 1992 e, comunque, in relazione al comportamento significante del Ministro del tesoro, con cui quest'ultimo, a fronte della richiesta della Regione Liguria dell'11 agosto 1992 di prelevare dal proprio conto corrente tenuto presso la tesoreria centrale dello Stato la somma di 38 miliardi e 100 milioni di lire, ha accreditato soltanto 20 miliardi di lire. Tale comportamento, che la ricorrente giudica arbitrario, lederebbe l'autonomia finanziaria riconosciuta alle regioni dall'art. 119 della Costituzione e, conseguentemente, le competenze alle stesse assegnate dagli artt. 117 e 118 della Costituzione.

 

Dopo aver ricordato che l'atto impugnato è l'ultimo episodio di una lunga prassi di inadempienze da parte dello Stato, la Regione Liguria sostiene che non spetta allo Stato privarla della piena e immediata disponibilità delle proprie somme giacenti presso la tesoreria centrale. A questa conclusione, osserva la ricorrente, si giunge attraverso un esame della legislazione sulla tesoreria unica alla luce dell'interpretazione datane dalla Corte costituzionale, che la stessa Regione riassume in termini analoghi a quelli esposti dai precedenti ricorsi.

 

7.- Anche in questo giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri si è costituito solo formalmente, rinviando a un successivo scritto difensivo l'illustrazione delle proprie ragioni.

 

8.- In prossimità dell'udienza la Regione Veneto ha presentato una memoria con la quale, pur in assenza dello svolgimento da parte statale degli argomenti a sostegno delle tesi sulla inammissibilità o sull'infondatezza del ricorso, mira a contestarne egualmente le conclusioni.

 

In punto di ammissibilità, la ricorrente, dopo aver precisato che nel caso si configura un conflitto reale, e non virtuale, ricorda che in tema di atto idoneo a innescare un conflitto di attribuzione è sufficiente che si riscontri un comportamento significante, il quale può consistere, secondo una dottrina autorevole, anche in atti omissivi. E, afferma la Regione, quantomeno questo è ciò che si è verificato nella vicenda. Sul merito del conflitto la ricorrente, dopo aver ricordato che tutte le richieste di accreditamento erano state avanzate entro il tetto del 3 per cento e che alcune di esse erano conseguenti a situazioni di cassa della tesoreria regionale a zero lire, afferma che il Ministro del tesoro non ha alcun potere di decurtazione sui prelevamenti, neppure sulla base di pretese situazioni di provvisorietà o di urgenza.

 

9.- In prossimità dell'udienza il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria al fine di illustrare le proprie ragioni a favore dell'inammissibilità o dell'infondatezza del ricorso proposto dalla Regione Veneto.

 

L'Avvocatura dello Stato sostiene che il ricorso di tale Regione è inammissibile, poichè l'atto impugnato non sarebbe invasivo, ma, al più, sarebbe semplicemente illegittimo. Infatti, in replica a una lettera del Presidente regionale che lamentava un parziale soddisfacimento delle proprie richieste di prelevamento, il Ministro del tesoro ha risposto che nel mese di gennaio del 1992 la Regione Veneto aveva inoltrato soltanto due domande, che erano state immediatamente evase per l'intero importo.

 

In questa nota, secondo la resistente, non potrebbe scorgersi alcuna affermazione, neppure implicita, del potere del Ministro del tesoro di determinare l'importo dell'accredito dei fondi alle regioni in misura inferiore a quella richiesta. Nè va dimenticato, continua l'Avvocatura dello Stato, che questa Corte nella recente sentenza n. 473 del 1992 ha affermato che, perchè un atto debba esser ritenuto invasivo, occorre che lo Stato eserciti poteri corrispondenti ad attribuzioni di spettanza regionale. Nel caso, ammesso pure che sussista la manifestazione di un potere del genere, si riscontrerebbe nient'altro che una mera affermazione di principio, e non già un concreto esercizio di competenze regionali, tanto che la ricorrente chiederebbe a questa Corte un'inammissibile pronunzia con effetti meramente dichiarativi.

 

Sul merito del conflitto, precisato che a suo parere l'autonomia finanziaria delle regioni può legittimamente subire compressioni ad opera dell'ampio potere discrezionale di coordinamento riconosciuto allo Stato dall'art. 119 della Costituzione, l'Avvocatura dello Stato afferma che quest'ultimo potere può esser esercitato, oltrechè tramite leggi, attraverso atti amministrativi applicativi di leggi di coordinamento, come quelli contestati. Inoltre, le disponibilità delle regioni presso la tesoreria dello Stato sono, secondo la resistente, di carattere meramente contabile, potendo mancare fondi in cassa sia a causa di insuccesso nella collocazione dei titoli pubblici sul mercato, sia a causa dell'eccessiva onerosità del ricorso ad anticipazioni della Banca d'Italia in ragione di squilibri monetari, come quelli verificatisi negli ultimi mesi. In tal caso, potrebbe avvenire, ad avviso dell'Avvocatura dello Stato, che il fabbisogno di cassa non sia adeguatamente soddisfatto, così da giustificare la decurtazione, da parte del Ministro del tesoro, delle richieste di accreditamento effettuate dalle regioni sui fondi giacenti nelle contabilità speciali.

 

Ma, conclude la resistente, tali riduzioni non darebbero luogo ad alcuna invasione di competenze regionali, poichè si tratterebbe di decisioni necessitate dall'esigenza di rispettare le regole ineludibili per un corretto governo della finanza pubblica, regole che non potrebbero non imporsi a tutti gli enti pubblici coinvolti da quel governo.

 

10. Sempre in prossimità dell'udienza, il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato altre due memorie dall'identico contenuto al fine di argomentare per l'infondatezza dei ricorsi proposti dalle Regioni Umbria e Liguria.

 

Ricordata la giurisprudenza costituzionale, secondo la quale il sistema della tesoreria unica è diretto a regolare la liquidità secondo apprezzamenti dipendenti dal mutare della situazione economica e limitati dalla sola esigenza che la relativa disciplina non si trasformi in un anomalo strumento di controllo della gestione finanziaria delle regioni, l'Avvocatura dello Stato afferma che nel caso quel discrezionale apprezzamento sulla liquidità monetaria e sui flussi di spesa pubblica giustificherebbe l'esercizio da parte del Ministro del tesoro del potere di non soddisfare completamente le richieste di accreditamento avanzate dalle regioni. Infatti, precisa la resistente, la garanzia a favore delle regioni relativa alla piena e immediata disponibilità in ogni momento delle somme giacenti presso la tesoreria dello Stato, pur affermata da questa Corte nei limiti prescritti dalla legge n. 119 del 1981 e dalle successive modificazioni, deve cedere in periodi di crisi di fronte all'esercizio del potere statale prima indicato, giustificato da esigenze di governo della finanza pubblica. In definitiva, conclude l'Avvocatura dello Stato, l'invasività dell'esercizio del potere di controllo in esame dipende dal fine perseguito dallo Stato, il quale, anzichè risolversi in forme di controllo sulla gestione finanziaria delle regioni (come si è verificato nel caso deciso con la sentenza n.384 del 1992), deve mirare alla disciplina dei flussi finanziari (come sarebbe accaduto nel caso di specie, nel quale le riduzioni sono state praticate nei confronti di tutti gli enti pubblici che intrattengono rapporti di conto corrente con la tesoreria unica).

 

Considerato in diritto

 

1. Le Regioni Veneto, Toscana, Umbria e Liguria hanno presentato distinti ricorsi per conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato in relazione a varie note o vaglia del Ministro del Tesoro - emessi rispettivamente in data 8 febbraio 1992, 8, 15 e 22 giugno 1992, nonchè in data 20 agosto 1992 - con i quali sono state accreditate alle regioni somme minori di quelle richieste ai sensi dell'art. 2 della legge 29 ottobre 1984, n. 720 (Istituzione del sistema di tesoreria unica per enti ed organismi pubblici) e dell'art. 40 della legge 30 marzo 1981, n.119 (Legge finanziaria per il 1981). Secondo le ricorrenti, i minori accreditamenti di somme rispetto a quelli da ciascuna richiesti, ai sensi delle norme di legge appena richiamate, violerebbero l'autonomia finanziaria regionale garantita dall'art. 119 della Costituzione, nonchè gli artt. 117 e 118 della Costituzione e, secondo la Regione Toscana, anche l'art. 97 della Costituzione.

 

Poichè i ricorsi sollevano profili identici o strettamente connessi, i relativi giudizi possono essere riuniti e decisi con un'unica sentenza.

 

2. Il Presidente del Consiglio dei ministri ha preliminarmente presentato un'eccezione di inammissibilità nei confronti del ricorso depositato dalla Regione Veneto, che, tuttavia, non può essere accolta.

 

Secondo l'Avvocatura dello Stato, l'atto impugnato, vale a dire la lettera del Ministro del tesoro in data 8 febbraio 1992, non conterrebbe, innanzitutto, alcuna affermazione, neppure implicita, del potere del Ministro di determinare l'importo dell'accredito alla regione in misura inferiore a quella richiesta e non avrebbe, inoltre, un carattere invasivo, sia perchè non pretenderebbe di esercitare alcuna attribuzione di spettanza regionale, sia perchè enuncerebbe, tutt'al più, una mera affermazione di principio in relazione alla quale potrebbe darsi una pronunzia con effetti meramente dichiarativi, e non già la risoluzione di un conflitto reale.

 

La vicenda che ha dato luogo al conflitto di attribuzione in esame è iniziata con una lettera inviata il 14 gennaio 1992 dal Presidente della Regione Veneto al Ministro del tesoro, con la quale, dopo aver fatto presente che nel 1991 risultavano emessi dalla tesoreria centrale mandati di pagamento a favore della Regione stessa del valore complessivo di 128 miliardi di lire a fronte di oltre "116 miliardi di sofferenza" e che "accreditate informative hanno consentito di accertare (che) potrebbe essere disponibile forse appena 1/7 dell'indispensabile", la Regione concludeva domandando al Ministro di "voler intervenire affinchè siano rispettate integralmente le necessità di questa Regione", segnatamente affinchè siano soddisfatte per intero le "necessità improcrastinabili di 244 miliardi". In data 8 febbraio 1992, il Ministro del tesoro ha risposto inviando una lettera - quella che ha innescato il presente conflitto di attribuzione - con la quale, preso atto delle preoccupazioni manifestate dalla Regione a proposito dell'integrale accreditamento dei 244 miliardi di lire richiesti, fa presente che "nel corrente mese di gennaio la Regione Veneto ha inoltrato due richieste di prelevamento fondi, rispettivamente per lire 97 miliardi con nota 3.1.1992 e per lire 81 miliardi con nota del 15.1.1992, entrambe evase per l'intero importo in data 9 gennaio e in data 20 gennaio c.a.".

 

Dalla corrispondenza intercorsa risulta chiaramente che, di fronte alla Regione Veneto che denunzia il parziale accreditamento dei fondi richiesti e domanda al Ministro del tesoro di intervenire per sanare l'anomala situazione, il Ministro stesso, dimostrando di essere a conoscenza che l'integrale richiesta della Regione assommava a 244 miliardi di lire, si limita a replicare che le richieste del mese precedente, concernenti in complesso 178 miliardi di lire, erano state integralmente soddisfatte. La risposta sostanzialmente evasiva del Ministro induce a individuare nell'atto impugnato la manifestazione di un'intenzione e di un comportamento concludente diretti sostanzialmente a negare il soddisfacimento integrale delle richieste formulate dalla Regione Veneto in ordine all'accreditamento di 244 miliardi di lire.

 

Queste considerazioni portano a escludere la fondatezza della supposizione, avanzata dall'Avvocatura dello Stato, concernente il preteso carattere ipotetico o congetturale del conflitto. Nel caso, anche se non si versa in un'ipotesi di vindicatio potestatis, si ha un atto potenzialmente lesivo dell'autonomia finanziaria garantita alle regioni dall'art.119 della Costituzione, per effetto di un comportamento dello Stato che si assume contrario alle leggi e produttivo di turbativa nei confronti dell'esercizio del potere della regione relativo alla corretta e legittima gestione delle proprie risorse finanziarie.

 

3. I ricorsi vanno accolti.

 

A norma dell'art. 40, primo comma, della legge 30 marzo 1981, n. 119 (Legge finanziaria per il 1981), la cui applicabilità è stata estesa alle regioni dall'art. 2, primo comma, della legge 29 ottobre 1984, n. 720 (Istituzione del sistema di tesoreria unica per enti ed organismi pubblici), le regioni non possono mantenere disponibilità depositate a qualunque titolo presso le aziende di credito fungenti da tesorieri (ai sensi dell'art. 5 del regio decreto-legge 12 marzo 1936, n. 375, e successive modificazioni) per un importo superiore al 3 per cento dell'ammontare delle entrate previste dal bilancio di competenza delle regioni medesime (salve alcune voci che, ai fini della presente decisione, non hanno alcuna rilevanza). Sempre a norma dell'art. 40, primo comma, appena citato, ove le disponibilità regionali giacenti presso le aziende di credito tesorieri superino il suddetto limite del 3 per cento (il cui importo in cifra è comunicato al proprio tesoriere dal presidente della regione interessata), sulle disponibilità eccedenti è posto a carico delle aziende di credito un interesse pari al tasso ufficiale di sconto aumentato di quattro punti, da versare al bilancio dello Stato.

 

Ai sensi del comma quarto dello stesso art. 40, poi, le assegnazioni, i contributi e quant'altro proveniente dal bilancio dello Stato, dovuti alle regioni, affluiscono in conti a queste ultime intestati presso le tesorerie dello Stato. In base al comma successivo, infine, le regioni possono operare prelevamenti sui conti a loro intestati a condizione, però, che rispettino con regolarità l'onere di comunicare al Ministro del tesoro, all'inizio di ogni trimestre, un preventivo di cassa relativo al trimestre stesso.

 

Sin dalla sentenza n. 162 del 1982, questa Corte, con orientamento costante (v., anche sentt. nn. 243 del 1985 e 61 del 1987, nonchè ord. n.759 del 1988), ha affermato che la ratio del complesso di norme ora ricordato è quella di consentire allo Stato, in riferimento a un interesse dell'intera comunità nazionale, il controllo della liquidità e la disciplina dei relativi flussi monetari e, in particolare, di evitare che somme reperite dallo Stato attraverso il ricorso al mercato finanziario e comportanti, pertanto, il pagamento di onerosi interessi da parte dello Stato stesso, finiscano per giacere presso i tesorieri regionali, dando così vita a una produzione di interessi a favore delle regioni scaturente, in definitiva, da erogazioni di somme prese a prestito dallo Stato. Questo circolo vizioso delle finanze pubbliche è impedito dal "sistema della tesoreria unica", il quale, per riprendere valutazioni già espresse da questa Corte nelle decisioni precedentemente ricordate, è ispirato alla "esigenza fondamentale per lo Stato (di) limitare l'onere derivante dalla provvista anticipata dei fondi rispetto all'effettiva capacità di spesa degli enti (regionali)". Tale esigenza e le norme di legge che ad essa si ispirano sono, dunque, espressione del potere di coordinamento della finanza regionale con quella nazionale e degli enti locali, che l'art. 119 della Costituzione attribuisce allo Stato.

 

Tuttavia, questa stessa Corte ha sempre precisato che il corretto esercizio di tale potere, se consente allo Stato di regolare l'accreditamento dei fondi di pertinenza delle regioni in modo da permettere la giacenza presso i rispettivi tesorieri soltanto entro un certo limite (fissato dal legislatore statale, secondo una non irragionevole valutazione discrezionale al 3 per cento delle entrate complessive previste nel bilancio di competenza) e soltanto quando le regioni decidano di doversene effettivamente servire per l'espletamento delle proprie funzioni, nello stesso tempo preclude allo Stato medesimo di trasformare l'amministrazione dei conti correnti intestati alle regioni presso la tesoreria centrale in un anomalo strumento di controllo sulla gestione finanziaria regionale (v. sentt. nn.155 del 1977, 94 del 1981, 307 del 1983, 61 del 1987 e 742 del 1988).

 

Infatti, la garanzia apprestata a favore delle regioni dall'art. 119 della Costituzione in ordine all'autonomia di gestione delle proprie risorse finanziarie non consente allo Stato di disporre di somme - che, anche se depositate presso la tesoreria centrale, restano pur sempre di pertinenza regionale - in modo da precludere od ostacolare l'integrale utilizzabilità da parte delle regioni dei fondi loro spettanti per l'adempimento dei propri compiti istituzionali, semprechè, ovviamente, il prelevamento sia richiesto nelle forme, entro la misura e secondo le modalità e i tempi fissati nelle leggi statali sulla finanza regionale (v. sentt. nn. 155 del 1977, 94 del 1981, 162 del 1982, 307 del 1983, 243 e 244 del 1985, 742 del 1988, 24 del 1991).

 

Del resto, se l'entità e i ritmi di accreditamento dei fondi di pertinenza regionale dalla tesoreria centrale alle tesorerie operanti presso le singole regioni non dovessero corrispondere alle esigenze di spesa effettive e immediate, legittimamente accertate e valutate dai competenti organi delle regioni interessate, diventerebbe concreto il pericolo di un disavanzo, se non proprio di un vuoto, di cassa rispetto all'indicato fabbisogno finanziario. Con la conseguenza, già rilevata in passato da questa Corte (v., sent. n. 243 del 1985), che per tal via si rischierebbe di causare, in difformità con il principio del buon andamento dell'amministrazione e con una corretta gestione del denaro della collettività, un aggravamento dell'esposizione debitoria complessiva del settore pubblico allargato, considerato che nel caso ipotizzato le regioni sarebbero indotte a procurarsi i fondi necessari per lo svolgimento delle proprie funzioni, rifiutati o non ricevuti tempestivamente dallo Stato, mediante onerose anticipazioni di cassa.

 

4.- Applicando i principi affermati da tempo nelle decisioni di questa Corte non può non dichiararsi la fondatezza dei distinti ricorsi presentati dalle Regioni Veneto, Liguria, Toscana ed Umbria e riconoscere l'illegittima interferenza che gli atti impugnati hanno prodotto sulla potestà di gestire autonomamente le proprie risorse finanziarie garantita alle regioni a statuto ordinario dall'art. 119 della Costituzione.

 

Premesso che tutte le richieste di accreditamento formulate dalle ricorrenti si sono mantenute nel limite del 3 per cento delle entrate complessive previste nel bilancio di competenza e che le stesse sono state precedute dalle comunicazioni delle regioni interessate relative ai preventivi di cassa trimestrali, in conformità a quanto prescritto dall'art. 40 della legge n. 119 del 1981, è testualmente provato che per ciascuna delle ricorrenti la tesoreria centrale ha provveduto ad accreditare una somma complessivamente inferiore a quella legittimamente richiesta.

 

Nel caso della Regione Veneto, infatti, a fronte di richieste ammontanti a 244 miliardi di lire sono stati emessi mandati di pagamento per un valore complessivo di 128 miliardi di lire. Analogamente, la tesoreria centrale ha corrisposto alla Regione Toscana accreditamenti globalmente assommanti a 200 miliardi di lire dietro richiesta di 234 miliardi e 300 milioni di lire. Anche la Regione Umbria ha beneficiato di accrediti del valore complessivo di 60 miliardi di lire dopo che aveva domandato prelievi ammontanti globalmente a 88 miliardi e 423 milioni di lire.

 

Infine, nel caso della Regione Liguria, alla richiesta di prelevare 38 miliardi e 100 milioni di lire la tesoreria centrale ha risposto con un mandato di pagamento del valore di 20 miliardi di lire.

 

Non v'è dubbio, dunque, che, atteso che il Ministro del tesoro, in qualità di detentore di conti correnti infruttiferi intestati alle singole regioni, non ha alcun potere di sindacare la fondatezza e la congruità delle richieste regionali formulate in conformità alle norme sulla tesoreria unica, in nessun caso si sia realizzata quella "piena e pronta disponibilità" delle somme di pertinenza regionale giacenti nella tesoreria centrale, alla quale la giurisprudenza di questa Corte condiziona, in ipotesi, la mancanza di menomazione della garanzia dell'autonomia finanziaria assicurata alle regioni dall'art.119 della Costituzione.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i giudizi, dichiara che non spetta allo Stato, e per esso al Ministro del tesoro, rifiutare di accreditare presso le tesorerie regionali somme, in deposito nei conti correnti intestati alle singole regioni presso la tesoreria centrale, per un importo inferiore a quello legittimamente richiesto dalle regioni interessate ai sensi dell'art. 40 della legge 30 marzo 1981, n. 119 (Legge finanziaria per il 1981) e dell'art. 2 della legge 29 ottobre 1984, n. 720 (Istituzione del sistema di tesoreria unica per enti ed organismi pubblici).

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25/03/93.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Antonio BALDASSARRE, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 01/04/93.