Sentenza n. 123 del 1993

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SENTENZA N. 123

ANNO 1993

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 156, secondo comma, del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (Norme d'attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale), promosso con ordinanza emessa il 12 giugno 1992 dal giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Perugia nel procedimento penale a carico di Aureliana Del Commoda, iscritta al n. 495 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.40 prima serie speciale dell'anno 1992.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 27 gennaio 1993 il Giudice relatore Enzo Cheli;

Ritenuto in fatto

l. Nel corso di un procedimento penale nei confronti di Aureliana Del Commoda - nel cui ambito la persona offesa del reato aveva proposto opposizione alla richiesta di archiviazione formulata dal pubblico ministero - il giudice per le indagini preliminari presso la Pretura circondariale di Perugia, con ordinanza del 12 giugno 1992, ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 156, secondo comma, del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (Norme d'attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale), nella parte in cui tale norma dispone che il giudice per le indagini preliminari presso la Pretura, a seguito di archiviazione, provvede ai sensi dell'art. 554, secondo comma, del codice di procedura penale e non ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 410, terzo comma, e 409, secondo, terzo, quarto e quinto comma del codice di procedura penale.

2. Premette il giudice remittente che la norma impugnata esclude il potere-dovere del giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di convocare le parti per una udienza camerale ai sensi dell'art. 127 del codice di procedura penale, allorchè la persona offesa proponga opposizione alla richiesta di archiviazione avanzata dal pubblico ministero. In tale esclusione il giudice a quo ravvisa una duplice, ingiustificata disparità di trattamento: da un lato, tra le diverse parti del procedimento pretorile - ed in particolare tra la persona sottoposta alle indagini e la persona offesa dal reato - ; dall'altro, tra l'indagato in un procedimento pretorile ed il soggetto che assume la medesima posizione in un procedimento dinanzi al Tribunale.

Nell'ordinanza di rinvio si ricorda che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 94 del 1992, ha già negato che la mancanza della procedura camerale nel procedimento pretorile si risolva in un deteriore trattamento della persona offesa rispetto a quanto accade nel procedimento davanti al Tribunale. Senonchè - rileva il giudice a quo - nella stessa sentenza si trova affermato che la procedura camerale è "tesa non tanto a garantire la persona offesa - che ha già esposto le proprie ragioni nell'atto di opposizione - quanto, piuttosto, a consentire al pubblico ministero ed alla persona sottoposta alle indagini di interloquire sul merito dell'opposizione". Queste considerazioni sarebbero tali da giustificare "l'esame della conformità dell'art. 156 disp. att. c.p.p. all'art. 3 della Costituzione, avuto riguardo alle facoltà processuali naturalmente proprie del pubblico ministero e, soprattutto, dell'indagato".

La mancata previsione della udienza in camera di consiglio a seguito dell'opposizione della persona offesa lederebbe, infatti, l'esigenza del contraddittorio che è condizione della piena esplicazione dei poteri della parte pubblica e del diritto di difesa dell'indagato. E invero, l'estensione del contraddittorio sull'esercizio dell'azione penale alla persona offesa, da un lato, con la negazione alla persona sottoposta alle indagini di ogni possibilità di accesso al giudice per le indagini preliminari, dall'altro, violerebbero - sempre ad avviso del giudice a quo - il principio di parità delle parti, mentre analoghe considerazioni varrebbero per il pubblico ministero, al quale viene negata ogni facoltà di contestazione delle tesi e delle richieste formulate dalla parte offesa nell'atto di opposizione. Da qui il sospetto di illegittimità costituzionale dell'art. 156, secondo comma, del decreto legislativo n. 271 del 1989 per ingiustificata ed irrazionale disparità di trattamento delle parti nell'ambito del procedimento pretorile e della persona indagata a seconda che si proceda per reati di competenza del Pretore ovvero del Tribunale.

Considerato in diritto

l. Il giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Perugia dubita della legittimità costituzionale dell'art. 156, secondo comma, del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale) nella parte in cui non prevede che, nel procedimento pretorile - a differenza di quanto accade nel procedimento innanzi al Tribunale - il giudice per le indagini preliminari, in caso di opposizione della persona offesa dal reato alla richiesta di archiviazione, provveda ai sensi del combinato disposto dagli artt. 410, terzo comma, e 409, secondo, terzo, quarto e quinto comma c.p.p., convocando le parti in camera di consiglio con il procedimento di cui all'art. 127 dello stesso codice.

La questione di costituzionalità viene sollevata con riferimento all'art. 3 della Costituzione, per ingiustificata disparità di trattamento:

a) tra le diverse parti del procedimento pretorile e, in particolare, tra la persona offesa dal reato e la persona sottoposta alle indagini, dal momento che, in assenza della procedura camerale, soltanto alla prima e non alla seconda sarebbe consentito l'"accesso" al giudice mediante l'atto di opposizione all'archiviazione;

b) tra le persone indagate nell'ambito di un procedimento pretorile e quelle perseguite per reati compresi nella competenza del Tribunale.

2. La questione è infondata in relazione ad ambedue i profili prospettati.

Come viene ricordato dalla stessa ordinanza di rinvio, questa Corte, con la sentenza n. 94 del 1992, ha già dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, nei confronti dell'art. 156, secondo comma, del decreto legislativo n. 271 del 1989 "nella parte in cui non prevede, nel procedimento pretorile, in caso di opposizione della persona offesa alla richiesta di archiviazione, l'audizione delle parti in camera di consiglio".

Tale pronuncia ha trovato il suo fondamento nella considerazione che il procedimento pretorile soggiace alla direttiva della "massima semplificazione" (art. 2 n. 103 legge 16 febbraio 1987, n. 81) con la conseguenza che "non può dirsi privo di giustificazione - e quindi fonte di disparità di trattamento tale da violare l'art. 3 Cost. - che il legislatore abbia ritenuto di attuare (tale direttiva) evitando l'appesantimento che l'adozione della complessa procedura camerale indubbiamente comporta".

Ora, se è vero - come rileva il giudice a quo - che nell'ordinanza di rinvio che ha dato luogo a tale pronuncia la questione di costituzionalità era stata prospettata in relazione al diverso profilo della disparità di trattamento tra le parti offese nel procedimento pretorile e nel procedimento innanzi al Tribunale, è anche vero che questo non può condurre ad affermare che la ratio decidendi espressa nella sentenza n. 94 del 1992 non possa valere anche rispetto ai profili in esame.

Per quanto concerne, infatti, il primo profilo, relativo all'asserita disparità di trattamento tra le parti nell'ambito del procedimento pretorile, basti solo considerare che è pur sempre il principio di "massima semplificazione" di cui alla direttiva n. 103 della legge di delegazione che consente di giustificare, insieme con l'esclusione dell'udienza preliminare, anche l'assenza del rito camerale nell'ipotesi di opposizione all'archiviazione: ipotesi che il legislatore, in attuazione di tale principio, ha ritenuto di poter regolare prevedendo per questa fase del procedimento la sola contrapposizione tra due atti formali quali la richiesta di archiviazione formulata dal pubblico ministero e l'opposizione a tale richiesta avanzata dalla parte interessata alla prosecuzione delle indagini. Tale soluzione, per quanto non obbligata, non viene certo a superare - nel quadro del procedimento semplificato previsto per i reati di competenza pretorile - le soglie della ragionevolezza, ove si consideri il suo riferimento alle indagini preliminari e ad una fase della procedura in cui il pubblico ministero, mediante la richiesta di archiviazione, ha già espresso il proprio convincimento in ordine alla infondatezza della notizia del reato.

Ma anche per quanto concerne il secondo profilo, relativo alla disparità di trattamento della persona indagata nell'ambito del rito pretorile rispetto a quella sottoposta al rito operante innanzi al Tribunale, non può non valere il richiamo al principio di "massima semplificazione" già operato nella sentenza n. 94 del 1992, dal momento che tale principio viene a ispirare il processo davanti al pretore nel suo complesso, indipendentemente dalla considerazione della diversità di posizione che, nell'ambito di tale processo, risulta conferita alle singole parti. E questo tanto più ove si consideri che la direttiva espressa al n. 1 della stessa legge di delegazione fissa già il principio della "massima semplificazione" del processo con la conseguenza che i "criteri di massima semplificazione" richiesti dalla direttiva n. 103 non possono che tradursi in una ulteriore semplificazione degli istituti e dei meccanismi semplificati previsti in via generale per il procedimento concernente i reati di competenza del Tribunale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 156, secondo comma, del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale) sollevata, con riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Perugia con l'ordinanza di cui in epigrafe.

Così deciso nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25/03/93.

Francesco Paolo CASVOLA, Presidente

Enzo CHELI, Redattore

Depositata in cancelleria il 29/03/93.