Ordinanza n. 108 del 1993

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ORDINANZA N. 108

 

ANNO 1993

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Dott. Francesco GRECO

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 207, secondo comma, e 476, secondo comma, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 19 giugno 1991 dal Tribunale di Savona nel procedimento penale a carico di Faraci Giovanni, iscritta al n. 674 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, serie speciale, dell'anno 1991.

 

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nella camera di consiglio del 10 febbraio 1993 il Giudice relatore Giuliano Vassalli.

 

Ritenuto che il Tribunale di Savona ha sollevato, in riferimento all'art. 101, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità degli artt. 207, secondo comma, e 476, secondo comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevedono la possibilità di trasmissione immediata del verbale di udienza al pubblico ministero e di sospensione del dibattimento in attesa del giudizio sulla falsa testimonianza, qualora ciò sia necessario per la definizione del giudizio in corso;

 

che a tal proposito il tribunale rimettente osserva che, a differenza di quanto prevedeva l'art. 458 del codice di procedura penale del 1930, l'assenza di una disciplina che regoli le possibili interferenze tra procedimento in corso e giudizio sulla falsità della testimonianza e la mancanza di una norma generale che consenta la sospensione del processo in presenza di pregiudiziale penale, obbligano il giudice a proseguire il dibattimento fino alla sentenza, "anche nel caso in cui si riveli assolutamente necessario l'accertamento sulla falsità del teste, che rimane rimesso ad un eventuale e separato procedimento", sicchè, ove l'imputazione si fondi su dichiarazioni di una persona e questa non le confermi in sede di esame testimoniale, il giudizio, non potendo essere sospeso, non potrà che concludersi con una sentenza assolutoria, "destinata a rimaner ferma, quand'anche venisse poi accertato che la mancata conferma fosse dovuta all'opera di intimidazione o subornazione posta in essere dall'imputato o da terzi";

 

che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata;

 

considerato che, successivamente alla pronuncia della ordinanza di rimessione, questa Corte, con sentenza n. 24 del 1992, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 195, quarto comma, del codice di procedura penale, cosicchè a seguito della caducazione del divieto ivi enunciato, si è resa ammissibile la testimonianza indiretta degli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria sul contenuto delle dichiarazioni acquisite da testimoni;

 

che, con sentenza n. 255 del 1992, questa Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 500, terzo comma, del codice di procedura penale, nonchè l'illegittimità costituzionale del quarto comma del medesimo articolo nella parte in cui non prevede l'acquisizione nel fascicolo per il dibattimento, se sono state utilizzate per le contestazioni previste dai commi primo e secondo, delle dichiarazioni precedentemente rese dal testimone e contenute nel fascicolo del pubblico ministero;

 

che il medesimo art. 500 del codice di procedura penale è stato successivamente sostituito ad opera dell'art. 7 del decreto- legge 8 giugno 1992, n. 306 (Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa), convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, stabilendosi, nel quarto e quinto comma, che le dichiarazioni utilizzate per le contestazioni nell'esame testimoniale sono valutate come prova dei fatti in esse affermati se sussistono altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità o risulta che il testimone è stato sottoposto a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra utilità, affinchè non deponga o deponga il falso ovvero risultano altre situazioni che hanno compromesso la genuinità dell'esame;

 

che, pertanto, alla stregua del petitum che il giudice a quo mostra di perseguire, spetta al medesimo rimettente verificare se, in conseguenza delle profonde modifiche che il quadro normativo è venuto a subire in ordine allo specifico tema della prova testimoniale, la questione sollevata sia tuttora rilevante nel processo a quo.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

ordina la restituzione degli atti al Tribunale di Savona.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10/03/93.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Giuliano VASSALLI, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 19/03/93.