Ordinanza n. 106 del 1993

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ORDINANZA N. 106

ANNO 1993

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità), promosso con ordinanza emessa il 6 marzo 1992 dalla Corte di cassazione nel procedimento penale a carico di Santoriello Antonio, iscritta al n. 299 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell'anno 1992.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 10 febbraio 1993 il Giudice relatore Francesco Paolo Casavola.

Ritenuto che nel corso di un giudizio in cui il ricorrente aveva impugnato un decreto della Corte d'appello di Salerno, confermativo della misura di prevenzione comminatagli -- consistente nella sorveglianza speciale della pubblica sicurezza con divieto di soggiorno nei comuni delle Regioni Campania, Lazio, Basilicata e Calabria -- la Corte di cassazione, con ordinanza emessa il 6 marzo 1992, ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423;

che il giudice a quo osserva come la norma stessa inizialmente descrivesse tre ipotesi di pericolosità sociale (normale, intermedia e particolare) riferibili ai soggetti previsti nell'art. 1 della legge medesima nonchè agli indiziati di appartenenza ad associazioni di tipo mafioso ex art. 1 della legge 31 maggio 1965, n. 575, alle quali si correlano, rispettivamente, la sorveglianza speciale, la sorveglianza con il divieto di soggiorno ed infine l'imposizione dell'obbligo di soggiorno;

che, a parere del giudice rimettente, il suddetto quadro normativo avrebbe subito uno sconvolgimento con l'emanazione degli artt. 20 e 24 del decreto-legge n. 152 del 1991, i quali non prevedono più -- sia pure allo scopo di evitare infiltrazioni mafiose in altre parti del territorio -- il divieto di soggiorno per gli indiziati di appartenenza ad associazioni mafiose, certamente <portatori di una carica di pericolosità sociale più allarmante> di quella di coloro che possono invece ancora essere assoggettati a tale misura;

che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, la quale preliminarmente ha contestato il presupposto ermeneutico della Corte di cassazione ed eccepito l'inammissibilità della questione;

che, secondo l'Avvocatura, il trattamento riservato ai soggetti indicati nell'art. 1, numeri 1) e 2), della legge n.1423 del 1956 sarebbe parificato a quello dei presunti mafiosi, con esclusione di ogni disparità;

che, infine, a parere dell'Autorità intervenuta, l'opzione legislativa, motivata dal rischio di "esportazione" del fenomeno mafioso, avrebbe eliminato la misura del divieto di soggiorno non in una logica di tutela dei soggetti interessati, ma per ragioni di politica criminale fondate sulla specificità del fenomeno mafioso e pertanto sarebbe da escludere la comparabilità delle situazioni, rispettivamente, del mafioso, al quale si applicherebbe l'obbligo di soggiorno (con la scelta se nel comune di residenza o in altro comune) e del non-mafioso al quale sarebbe comminato il divieto di soggiorno.

Considerato che l'ordinanza di rimessione, oltre a non motivare circa la rilevanza della questione, non offre elementi atti a consentire una completa valutazione della fattispecie oggetto del giudizio a quo;

che, in particolare, non è dato conoscere -- come rileva esattamente l'Avvocatura dello Stato e come appare più probabile -- se il caso in esame riguardi una delle ipotesi di pericolosità di cui ai numeri 1) e 2) dell'art. 1 della legge n. 1423 del 1956 ovvero la categoria dalla stessa norma contemplata sub 3);

che, in riferimento alla prima delle due eventualità, risulterebbe applicabile l'art. 19 della legge 22 maggio 1975, n. 152, come modificato dall'art. 13 della legge 3 agosto 1988, n. 327, il quale estende le disposizioni della legge 31 maggio 1965, n. 575, alle persone qualificate pericolose a termini dei citati numeri 1) e 2);

che, ciò premesso, verrebbe altresì in evidenza l'art.24 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152 (convertito in legge 12 luglio 1991, n. 203) dettato per regolare la situazione di chi -- versando nelle condizioni soggettive di cui sopra -- si trovasse sottoposto a divieto di soggiorno;

che, pertanto, il sindacato richiesto a questa Corte riveste un'efficacia meramente ipotetica nel giudizio in corso davanti al giudice a quo, onde il giudizio di costituzionalità non può essere ammesso.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità), sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dalla Corte di cassazione, con l'ordinanza di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10/03/93.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Francesco Paolo CASAVOLA, Redattore

Depositata in cancelleria il 19/03/93.