Sentenza n. 90 del 1993

CONSULTA ONLINE

 

SENTENZA N. 90

 

ANNO 1993

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Dott. Francesco GRECO

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 5 bis, aggiunto al decreto-legge 22 dicembre 1984, n. 901 (Proroga della vigenza di taluni termini in materia di lavori pubblici), dal la legge di conversione 1° marzo 1985, n. 42;dell'art. 14, secondo comma, del decreto-legge 29 dicembre 1987, n. 534 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative ed interventi di carattere assistenziale ed economico), convertito dalla legge 29 febbraio 1988, n. 47 e dell'art. 22 della legge 20 maggio 1991, n. 158 (Differimento di termini previsti da disposizioni legislative), promosso con ordinanza emessa il 14 novembre 1991 dal tribunale di S. Maria Capua Vetere nel procedimento civile vertente tra Giuseppe Munno ed altri e l'Enel, iscritta al n. 476 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell'anno 1992.

 

Visto l'atto di costituzione dell'Enel nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nell'udienza pubblica del 26 gennaio 1993 il Giudice relatore Gabriele Pescatore;

 

uditi l'avv. Franco Gaetano Scoca per l'Enel e l'Avvocato dello Stato Plinio Sacchetto per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

l. Il tribunale di S. Maria Capua Vetere, ha emanato ordinanza il 14 novembre 1991, nel corso di un giudizio promosso da taluni proprietari di beni assoggettati ad occupazione d'urgenza (finalizzata alla costruzione di elettrodotti) ex art. 20 della legge 22 ottobre 1971, n. 865. Il giudizio si riferisce alla indennità di occupazione, al risarcimento dei danni conseguenti al protrarsi dell'occupazione oltre il termine quinquennale previsto dal decreto che l'aveva autorizzato, nonchè al risarcimento dei danni in relazione alla irreversibile destinazione del bene alla costruzione di elettrodotto.

 

Il tribunale remittente espone che la domanda relativa alla determinazione dell'indennità di occupazione, per il periodo in cui questa si era legittimamente attuata, a norma dell'art. 20 della legge n. 865 del 1971, è di competenza della corte d'appello; pertanto esso, con sentenza in data 14 novembre 1991, si era dichiarato incompetente nella materia.

 

Le domande relative al risarcimento dei danni rientrano, invece, nella competenza del tribunale;

 

ma il termine quinquennale per la durata del quale l'occupazione era stata autorizzata, fu prorogato all'8 aprile 1993, per effetto dell'art. 1, comma 5 bis, aggiunto al d.l. 22 dicembre 1984, n. 901 del la legge di conversione 1° marzo 1985, n. 42;dell'art. 14, secondo comma, del d.l. 29 dicembre 1987, n. 534, conv. nella l. 29 febbraio 1988, n.47, nonchè dell'art. 22 della l. 20 maggio 1991, n. 158.

 

Ciò premesso ha sollevato, in riferimento agli artt. 24 e 42 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale delle norme ora ricordate, sotto il profilo che esse, "prorogando i termini di scadenza delle occupazioni temporanee autorizzate ai sensi dell'art. 20 della citata legge n. 865 del 1971, non consentono ai proprietari dei beni occupati, sui quali è stata realizzata l'opera pubblica, di agire in giudizio per il ristoro dei danni subiti".

 

Secondo il giudice a quo la scadenza del termine di occupazione legittima costituisce una con dizione dell'azione di risarcimento e, come tale, deve verificarsi nel corso del giudizio. Per effetto delle proroghe intervenute, viceversa, il termine di scadenza - fissato con il decreto che auto rizzava l'occupazione all'8 aprile 1988 - è stato prorogato di un anno, ai sensi dell'art. 1, comma 5 bis, del d.l. 22 dicembre 1984, n. 901, convertito nella legge 1 marzo 1985, n. 42 e, poi, di ulteriori due anni, ai sensi dell'art. 14 del d.l. 29 dicembre 1987, n. 534, convertito nella legge 29 febbraio 1988, n. 47, nonchè ancora di altri due anni, ai sensi dell'art. 22 della l. 20 maggio 1991, n. 158. Da qui la rilevanza della questione, in quanto, in mancanza della declaratoria d'illegittimità costituzionale delle norme impugnate, le domande di risarcimento dovrebbero essere rigettate.

 

Il contrasto delle ripetute proroghe dei ter mini di scadenza delle occupazioni con gli artt. 24 e 42, terzo comma, della Costituzione è dedotto in riferimento alla circostanza che il proprietario del bene occupato può agire in giudizio solo per ottenere l'indennità di occupazione, la quale non copre l'intera area del pregiudizio sofferto, poichè "il titolare del bene occupato, pur avendone perso la disponibilità per effetto della realizzazione dell'opera pubblica, nel termine autorizzato, continua ad esserne il proprietario e deve, quindi, sopportare i relativi oneri" e non può agire "per il ristoro dei danni, benchè la realizzazione dell'opera pubblica abbia determinato la compressione delle facoltà connesse alla proprietà del bene occupato".

 

Le proroghe suddette - secondo il giudice a quo - con la loro continua reiterazione, finiscono col costituire un espediente per impedire al proprietario di ottenere l'indennità di espropriazione prevista dall'art. 42, terzo comma, della Costituzione.

 

2. Dinanzi a questa Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o non fondata.

 

In proposito l'Avvocatura generale dello Stato ha eccepito in primo luogo che l'ordinanza di rimessione non chiarisce se "l'azione, di cui verrebbe pregiudicato l'esercizio, abbia per oggetto la giusta indennità di espropriazione o di asservimento, elemento non indifferente per valutare la por tata dell'assunto secondo il quale le ripetute proroghe determinerebbero un sostanziale svuotamento della tutela giurisdizionale". Inoltre, "se la questione è stata sollevata in quanto le proroghe ex lege manterrebbero la pendenza del termine assegnato alla autorizzata occupazione, soltanto con la scadenza del termine della occupazione legittima, determinandosi il trapasso della stessa a quel la illegittima sarebbe accoglibile la domanda risarcitoria".

 

Pertanto, secondo l'Avvocatura generale, il giudizio a quo sarebbe condizionato dall'esito di quello relativo alla determinazione dell'indennità di occupazione e questa seconda causa avrebbe valore pregiudiziale, per cui il giudizio a quo andava sospeso necessariamente e la questione sollevata, allo stato, non era rilevante.

 

Quanto al merito, l'Avvocatura generale dello Stato sostiene la non fondatezza della questione, tenuto conto che ai proprietari dei beni occupati spetta, per tutto il periodo di occupazione, la relativa indennità e che, al termine dell'occupazione legittima, essi potranno agire a tutela di ogni altro loro diritto.

 

3. Si è costituito anche l'Enel, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata.

 

In proposito ha dedotto innanzitutto che l'occupazione di un bene per la realizzazione di finalità pubbliche, anche se protratta per lungo tempo, non può mai configurare una fattispecie espropriativa non traslativa, essendo ciò escluso dal carattere della temporaneità, che è insito nella occupazione di urgenza e che non viene meno per la sua lunga durata (sentenza n. 393 del 1991 della Corte costituzionale).

 

Il proprietario, infatti, malgrado la pendenza dei termini di occupazione, conserva integra la facoltà di disposizione dell'immobile, che cesserà solo con l'emanazione del decreto di espropriazione o con la irreversibile trasformazione del bene. Alla scadenza della occupazione egli, o rientra nella piena disponibilità dell'immobile, essendo venuto meno il titolo che ne giustificava la detenzione da parte dell'occupante, o, al contrario, ottiene l'indennizzo per la sua definitiva perdita. Pertanto - secondo la difesa dell'Enel - non sarebbe appropriato il richiamo all'art. 42 della Costituzione, "in quanto non solo manca un provvedimento formale di espropriazione, ma non è nemmeno configurabile una espropriazione di fatto".

 

Il reiterarsi della proroga del termine, inoltre, troverebbe un parallelismo nel reiterarsi dei vincoli urbanistici dipendenti dai piani regolatori, ritenuto legittimo dalla Corte costituzionale (sentenze n.575 del 1989 e n. 82 del 1982).

 

Deduce ancora la difesa dell'Enel che questa Corte (sentenza n. 188 del 1972) ha già affermato che la concessione di proroghe della occupazione temporanea è legittima quando le stesse corrispondano ad effettive esigenze di pubblico interesse e siano limitate nel tempo. Tali condizioni sussisterebbero entrambe in relazione alle norme impugnate, giacchè la ragione giustificativa delle successive proroghe, quale risulta dai lavori preparatori nei procedimenti legislativi che le concernono, era connessa all'emanazione della nuova normativa sui criteri di liquidazione dell'indennità di espropriazione.

 

Le proroghe, pur avendo prolungato il periodo di occupazione legittima, non avrebbero inciso sul principio della temporaneità dell'occupazione.

 

Comunque, la concreta fissazione della durata dell'occupazione nei singoli casi concreti è rimessa alla discrezionalità del legislatore e non può essere sindacata dalla Corte costituzionale quando il termine appaia, come nella fattispecie, ragionevole e corrispondente ad un interesse pubblico meritevole di tutela.

 

Circa la violazione dell'art. 24 della Costituzione, essa sarebbe esclusa dalla possibilità di ottenere immediatamente il pagamento dell'indennità di occupazione (sentenza n. 471 del 1990 della Corte costituzionale), mentre la circostanza che il proprietario dei beni occupati non possa agire in giudizio per ottenere il pagamento dell'indennità di espropriazione, è coerente con il permanere della titolarità del diritto di proprietà sino all'emanazione del decreto di espropriazione.

 

Considerato in diritto

 

l. Il giudice a quo ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 5 bis, aggiunto al d.l. 22 dicembre 1984, n. 901 dal la legge di conversione 1 marzo 1985, n. 42; 14, secondo comma, del d.l.29 dicembre 1987, n. 534, conv. nella l. 29 febbraio 1988, n. 47; 22 della l.20 maggio 1991, n. 158 in quanto - prorogando i termini di scadenza delle occupazioni temporanee autorizzate ai sensi dell'art. 20 della l. 22 ottobre 1971, n. 865 - non consentono al proprietario dei beni occupati, sui quali è stata realizzata l'opera, di agire in giudizio per il ristoro dei danni subiti, così violando gli artt. 24 e 42 della Costituzione.

 

2. La questione va dichiarata inammissibile, non rispondendo l'ordinanza di rimessione ai requisiti stabiliti dall'art. 23 della l. 11 marzo 1953, n.87.

 

Il giudice a quo, infatti, ha omesso di precisare - nè è desumibile in alcun modo dall'ordinanza di rimessione - se con la questione sollevata in tende chiedere la declaratoria d'illegittimità costituzionale delle norme anzidette in quanto hanno prorogato i termini di scadenza delle occupazioni temporanee, autorizzate ai sensi dell'art. 20 della l. 22 ottobre 1971, n.865, a fini di espropriazione o di costituzione di servitù di elettrodotto.

 

Va osservato al riguardo che nell'ordinanza di rimessione non è chiarito se nel giudizio a quo si controverteva di occupazioni finalizzate alla espropriazione, in tutto o in parte, delle aree sulle quali doveva essere costruito un elettrodotto, oppure intese alla semplice costituzione di servitù. Il che, oltre ad inibire alla Corte di espletare un adeguato controllo sulla rilevanza della questione, le impedisce, in mancanza di una chiara formulazione della questione stessa, di de terminarne con esattezza il petitum.

 

Ai fini della valutazione della legittimità costituzionale della disciplina delle proroghe in oggetto, è necessario infatti differenziarne preliminarmente la specifica destinazione delle occupazioni, diversa essendo la normativa di riferimento e diverso potendo essere, in relazione alle fatti specie implicate, il giudizio di compatibilità con gli artt. 3 e 42 della Costituzione.

 

Dalla mancanza di elementi idonei a precisare, sotto detto profilo, il petitum, discende l'inammissibilità della questione.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 5 bis, aggiunto al decreto-legge 22 dicembre 1984, n.901 (Proroga della vigenza di taluni termini in materia di lavori pubblici), dalla legge di conversione 1° marzo 1985, n. 42; dell'art. 14, secondo comma, del decreto-legge 29 dicembre 1987, n. 534 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative ed interventi di carattere assistenziale ed economico), conv. dalla legge 29 febbraio 1988, n. 47; dell'art. 22 della legge 20 maggio 1991, n. 158 (Differimento di termini previsti da disposizioni legislative), questione sollevata in riferimento agli artt. 24 e 42 della Costituzione, dal tribuna le di S.Maria Capua Vetere, con ordinanza del 14 novembre 1991.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Gabriele PESCATORE, Redattore

 

Depositata in cancelleria il