Ordinanza n. 73 del 1993

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ORDINANZA N. 73

 

ANNO 1993

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Dott. Francesco GRECO

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 162 del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 26 maggio 1992 dal Pretore di Verona, sezione distaccata di Caprino Veronese, nel procedimento penale a carico di Bampa Elisabetta ed altro, iscritta al n. 498 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.40, prima serie speciale, dell'anno 1992.

 

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nella camera di consiglio del 27 gennaio 1993 il Giudice relatore Mauro Ferri.

 

Ritenuto che il Pretore di Verona, sezione di staccata di Caprino Veronese, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art.162 del codice penale "nella parte in cui non prevede che il giudice possa condannare l'imputato al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile, salvo che ritenga di disporre, per giusti motivi, la compensazione totale o parziale";

 

che il remittente - premesso che trattasi nel la fattispecie di oblazione non discrezionale, per cui gli imputati hanno diritto alla relativa ammissione essendo la richiesta tempestiva, e che la parte civile ha chiesto la liquidazione delle spese processuali sostenute - rileva che questa Corte, con sentenza n. 443 del 1990, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 444, secondo comma, secondo periodo, del codice di procedura penale nella parte in cui non prevede che il giudice condanni l'imputato al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile, salvo che ritenga di disporre, per giusti motivi, la compensazione totale o parziale;

 

che, ad avviso del giudice a quo, le ragioni esposte nella citata decisione, evidenziando una sorta di autonomia del rapporto processuale tra le parti rispetto al merito delle questioni, possano essere fatte proprie anche nella fattispecie in esame, in cui la sentenza che dichiara la estinzione del reato per intervenuta oblazione, pur non essendo sentenza di condanna, è tuttavia preceduta da una valutazione negativa sulla sussistenza delle condizioni per il proscioglimento ex art. 129 del codice di procedura penale;

 

che, infine, conclude il remittente, appare rispondente a criteri di equità e giustizia che le spese di difesa sostenute dalla parte offesa esclusivamente a seguito delle scelte processuali dell'imputato siano, salvo compensazione, rifuse;

 

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, concludendo per la inammissibilità o, in subordine, l'infondatezza della questione;

 

che, ad avviso dell'Avvocatura dello Stato, la questione sarebbe, innanzitutto, inammissibile perchè il lamentato vizio di incostituzionalità non deriva dalla norma denunciata, ma da altre colloca te nel codice di rito (artt. 538 e 541), le quali subordinano la pronuncia del giudice sulle questioni civili ad una pronuncia di condanna;

 

che, nel merito, la questione sarebbe, comunque, infondata, in quanto mette in discussione il rapporto che il legislatore ha prefigurato tra l'estinzione del reato e l'azione civile esercitata nel processo penale, mentre la questione oggetto della richiamata sentenza n. 443 del 1990 si incentrava su un espresso limite negativo contenuto nel la norma allora denunciata, limite inserito in quanto l'istituto dell'applicazione della pena su richiesta delle parti ha un epilogo in una pronuncia di natura del tutto peculiare.

 

Considerato che l'eccezione di inammissibilità sollevata dall'Avvocatura dello Stato va rigettata, in quanto la disciplina essenziale dell'istituto dell'oblazione è dettata dagli artt. 162 e 162 bis del codice penale, di guisa che la norma di cui il remittente chiede l'introduzione potrebbe anche trovare, in ipotesi, collocazione nella disposizione impugnata;

 

che, nel merito, deve in primo luogo osservarsi che il riferimento alla disciplina dell'art. 444 del codice di procedura penale (come risulta a seguito della sentenza di questa Corte n. 443 del 1990) non appare conferente, in quanto pone a confronto istituti certamente non identici, quali so no, da un lato, la sentenza che dispone l'applicazione della pena richiesta dalle parti - la quale, pur non potendo essere pienamente identificata con una vera e propria sentenza di condanna (cfr. sentenza n. 251 del 1991), è tuttavia a questa "equi parata" ex art. 445 del codice di procedura pena le -, e, dall'altro, la sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato - la quale è in vece inquadrata nella categoria delle sentenze di proscioglimento, a nulla rilevando a tal fine che il giudice debba pur sempre applicare l'art. 129 del codice di procedura penale;

 

che va, poi, osservato che, in applicazione dei principi generali in materia, ben potrà il giudice civile, adito dal soggetto danneggiato dal reato, condannare il convenuto, nella sentenza che accoglie la domanda di risarcimento del danno, anche al rimborso delle spese sostenute da detto soggetto nel processo penale conclusosi con sentenza di non doversi procedere, e ciò in quanto le spese medesime rientrano nell'ambito del danno subito;

 

che, in conclusione, la questione va dichiarata manifestamente infondata.

 

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 162 del codice penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Pretore di Verona, sezione distaccata di Caprino Veronese, con l'ordinanza in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 11/02/93.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Mauro FERRI, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 26/02/93.