Sentenza n. 63 del 1993

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SENTENZA N. 63

ANNO 1993

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 6 del decreto-legge 25 gennaio 1985, n. 8, convertito dalla legge 27 marzo 1985, n. 103 (Ripiano di disavanzi di amministrazione delle Uu.ss.ll. al 31 dicembre 1983 e norme in materia di convenzioni sanitarie), promosso con ordinanza emessa il 13 aprile 1992 dal Pretore di Livorno nel procedimento civile vertente tra Cipriano Cipriani ed il ministero del tesoro, iscritta al n. 417 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell'anno 1992.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 16 dicembre 1992 il Giudice relatore Gabriele Pescatore.

Ritenuto in fatto

l. Con ordinanza del 13 aprile 1992 il pretore di Livorno ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 6 del d.l.25 gennaio 1985, n. 8, convertito dalla legge 27 marzo 1985, n. 103, nella interpretazione che esclude la irripetibilità delle somme non pagate spontaneamente.

Lo stesso pretore, con sentenza del 1° febbraio 1982, aveva riconosciuto ad un medico, titolare di un laboratorio di analisi mediche, il diritto a percepire dall'Inam il pagamento degli aumenti, aveva fatto riferimento a quella giurisprudenza amministrativa che sottopone ad un trattamento differenziato il pagamento oggettivamente indebito di emolumenti retributivi in relazione alle circostanze in cui quel pagamento fosse avvenuto.

Le limitazioni che quella giurisprudenza, cui il legislatore si è ispirato nella norma in esame, _ medico ha convenuto in giudizio il ministero, chiedendo che venisse dichiarata infondata la pretesa ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 6 del d.l. 25 gennaio 1985, n. 8 convertito nella legge 27 marzo 1985, n. 103, il quale, dopo aver dettato l'interpretazione autentica degli artt. 11, primo comma, della legge n.349 del 1977 e 8, sesto comma, del d.l. n. 264 del 1974, nel senso della non spettanza delle suddette maggiorazioni per l'adeguamento degli indici ISTAT, ha stabilito che "sono comunque irripetibili le somme già corrisposte sulla base di diverse interpretazioni".

La norma viene peraltro interpretata dalla Corte di cassazione nel senso che l'irripetibilità si riferisce solo alle somme spontaneamente pagate dagli enti mutualistici ai sanitari convenzionati e non anche alle somme corrisposte in esecuzione di decisioni giudiziali.

In tal modo, ad avviso del giudice a quo, si vanifica la finalità della legge, individuata nella intenzione di por fine "alle diverse interpretazioni delle disposizioni sopra indicate", e si applica la norma in modo irragionevole, incongruo ed arbitrario, dando vita ad una ingiustificata disparità di trattamento di situazioni giuridiche identiche, con violazione dell'art. 3 della Costituzione.

Quanto alla rilevanza, il pretore di Livorno osserva che, nella specie, la sentenza della Corte di cassazione n.2894 del 1987 (rectius, 1988) è successiva alla disposizione di cui all'art. 6, della legge 27 marzo 1985, n. 103 e non influisce sul giudizio, che prescinde da essa e riguarda la richiesta di applicazione della normativa succitata a seguito di domanda di restituzione delle somme già pagate. Ne deduce quindi che il giudizio non può essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale il cui accoglimento comporterebbe l'accoglimento del ricorso.

2. É intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza o quanto meno infondata.

Il pagamento, della cui ripetizione è controversia, venne eseguito per effetto della esecutività della sentenza di primo grado, favorevole al medico convenzionato, ma il giudizio si è già concluso con sentenza definitiva di segno opposto, emessa dopo l'entrata in vigore dell'art. 6 della legge 27 marzo 1985, n. 103.

Ad avviso dell'Avvocatura, esiste dunque un giudicato che ha definito la controversia in modo incompatibile con le pretese, e le assunte fonti normative, oggi azionate dal medico nel giudizio a quo e dunque tale da rendere irrilevante la norma della cui costituzionalità si dubita.

Quanto al merito l'Avvocatura ricorda che nella sentenza n. 6 del 1988 questa Corte, nell'esaminare i dubbi all'epoca sollevati circa la legittimità della limitazione della regola dell'irripetibilità, aveva fatto riferimento a quella giurisprudenza amministrativa che sottopone ad un trattamento differenziato il pagamento oggettivamente indebito di emolumenti retributivi in relazione alle circostanze in cui quel pagamento fosse avvenuto.

Le limitazioni che quella giurisprudenza, cui il legislatore si è ispirato nella norma in esame, apporta alla regola della ripetibilità presuppongono almeno che il pagamento sia stato non coartato: se le somme vengono invero ottenute contro la volontà del preteso debitore, che contesta di essere tale e che è costretto all'esborso solo perchè minacciato di esecuzione forzata, non è neppure pro filabile uno stato di buona fede del percipiente, opponibile a chi è coartato a pagare.

Se anche a questo caso si potesse estendere l'applicazione dell'indirizzo giurisprudenziale richiamato, si avrebbe l'assurdo effetto di una sentenza, che ancorchè ingiusta e come tale riconosciuta poi dal giudice del gravame, acquisterebbe nella sostanza autorità di giudicato solo perchè medio tempore posta in esecuzione.

Ad avviso dell'Avvocatura la questione va dunque dichiarata infondata.

Considerato in diritto

l. Viene posta in dubbio la legittimità costituzionale dell'art. 6 del d.l. 25 gennaio 1985, n . 8, convertito dalla legge 27 maggio 1985, n.103. L'articolo, dopo avere dettato l'interpretazione autentica degli artt. 11, primo comma, della legge n. 349 del 1977 e 8, sesto comma, del d.l. n. 264 del 1974, nel senso della non spettanza ai sanitari di aumenti o adeguamenti di alcun genere rispetto ai corrispettivi risultanti dall'ultima convenzione stipulata da ciascun ente con le categorie professionali, sancisce l'irripetibilità delle somme già corrisposte sulla base di diverse interpretazioni delle disposizioni sopra indicate. La norma viene costantemente interpretata dalla Corte di cassazione nel senso che l'irripetibilità non si riferisce alle somme erogate in esecuzione di decisioni giudiziarie ed ancora oggetto di contestazione.

Ad avviso del giudice a quo, tale interpretazione violerebbe l'art. 3 della Costituzione.

Essa determinerebbe infatti disparità di trattamento ingiustificate perchè fondate soltanto sulle differenti modalità di pagamento dei corrispettivi. Le situazioni giuridiche sarebbero per contro rese omogenee dalla corresponsione avvenuta sulla base di una interpretazione delle norme contraddetta dalla legge di interpretazione autentica.

2. L'Avvocatura generale dello Stato contesta l'ammissibilità della questione.

Il pagamento venne eseguito per effetto della esecutività della sentenza di primo grado, favorevole al medico convenzionato, ma il giudizio si è poi concluso con sentenza definitiva di contenuto opposto, pronunciata dopo l'entrata in vigore dell'art. 6 del d.l. n. 8 del 1985.

Esisterebbe dunque un giudicato incompatibile con le pretese del medico, tale da rendere irrilevante la norma della cui costituzionalità si dubita.

L'eccezione non può accogliersi. Il giudizio conclusosi con la sentenza della Corte di cassazione n. 2894 del 1988 aveva ad oggetto il diritto del sanitario a percepire dall'Inam alcuni compensi aggiuntivi rispetto a quelli determinati dalla convenzione. Il giudizio, nel corso del quale è stata sollevata la questione di legittimità costituzionale, concerne per contro la ripetibilità da parte dell'Inam delle somme già corrisposte, pur in presenza del disposto dell'art. 6 impugnato. Il thema decidendum non potè essere considerato nè nelle due sentenze di merito, entrambe anteriori all'entrata in vigore della nuova disciplina, essendo dell'1 febbraio 1982 quella del pretore e dell'11 gennaio 1985 quella del tribunale, nè nella sentenza della Corte di cassazione, non risultando il thema stesso tra i motivi di ricorso.

Deve quindi concludersi che, sebbene il secondo giudizio sia conseguenziale al primo, tra i due non esiste identità nè quanto all'oggetto nè quanto alle norme venute in considerazione.

3. Nel merito, peraltro, la questione è infondata.

Secondo il consolidato orientamento della Corte di cassazione, la irripetibilità delle somme già corrisposte trova fondamento, per un verso, nella erronea interpretazione della norma da parte del solvens e, per altro verso, nella buona fede dell'accipiens, che la norma di interpretazione autentica ha inteso salvaguardare. Entrambi i presupposti difettano quando il pagamento venga imposto al preteso debitore, che pur continui a protestare il proprio buon diritto.

Le differenziazioni di trattamento che discendono dalla giurisprudenza di legittimità si collegano quindi non a mere modalità di esecuzione del pagamento, secondo quanto contesta il giudice a quo, ma a diversità sostanziali della posizione delle parti nel loro reciproco rapporto.

Tali diversità risultano, nell'ambito delle valutazioni rimesse a questa Corte in relazione al parametro costituzionale invocato, idonee a giustificare il regime giuridico che consegue al consolidato orientamento della Corte di cassazione.

Il rilievo è ulteriormente confortato dalla constatazione che le differenziazioni risultano coerenti con la ratio della norma.

Anche questa Corte ha infatti già osservato, con sentenza n. 6 del 1988, che la disciplina in esame si ispira al principio, che ha ricevuto significativa applicazione dalla giurisprudenza amministrativa proprio in materia di retribuzione, della irripetibilità delle somme percepite in buona fede dagli interessati. Non risulta quindi irrazionale che differenziazioni di trattamento siano disposte in relazione alla presenza o all'assenza di questo scriminante elemento.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 6 del decreto-legge 25 gennaio 1985, n. 8, convertito dalla legge 27 marzo 1985, n. 103 (Ripiano di disavanzi di amministrazione delle Uu.ss.ll. al 31 dicembre 1983 e norme in materia di convenzioni sanitarie), sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal pretore di Livorno, con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 08/02/93.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Gabriele PESCATORE, Redattore

Depositata in cancelleria il 16/02/93.