Sentenza n. 55 del 1993

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SENTENZA N. 55

ANNO 1993

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 267 del r.d. 3 marzo 1934, n. 383 (T.U. della legge comunale e provinciale), promosso con ordinanza emessa il 5 febbraio 1992 dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio sui ricorsi riuniti proposti dal comune di Rocca Pietore ed altri contro il Presidente del Consiglio dei ministri ed altri, iscritta al n. 366 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 29, prima serie speciale dell'anno 1992.

Visti gli atti di costituzione del comune di Rocca Pietore, della regione Veneto, del comune di Canazei, della provincia di Trento, della regione Trentino-Alto Adige la provincia di Trento e l'Avvocato dello Stato Franco Favara per la regione Trentino-Alto Adige e per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

l. Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, con ordinanza 5 febbraio 1992, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 5, 132 e 134 della Costituzione, dell'art. 267 del r.d. 3 marzo 1934, n. 383, in quanto prevede che i ricorsi per contestazione di confine fra comuni o province di regioni diverse, sono decisi con atto di competenza governativa.

Tale ordinanza è stata emessa nel corso di tre giudizi riuniti; due di essi aventi ad oggetto la richiesta di annullamento del decreto del Presidente della Repubblica 29 maggio 1982, con il quale era stato deciso il ricorso presentato dal comune di Canazei (Trento) ex art. 267 del r.d.3 marzo 1934, n. 383. Con tali ricorsi si contestava "la linea di confine della zona della Marmolada tra il comune stesso e quello di Rocca Pietore" (Belluno); mentre il terzo instava per l'annullamento di un provvedimento (del 17 giugno 1988) della provincia autonoma di Trento, con il quale veniva chiesto al comune di Rocca Pietore di trasmettere alcuni atti relativi ad impianti di funivie operanti nel territorio del comune di Canazei.

Nel procedimento relativo alla formazione di questo decreto presidenziale il parere n. 1457 del 17 ottobre 1975 del Consiglio di Stato espresse l'avviso che, a norma dell'art. 267 del r.d. n. 383 del 1934, la risoluzione dei ricorsi relativi a regolamenti di confine tra comuni appartenenti a regioni diverse è di competenza statale; incidendo, peraltro, la contestazione sui confini regionali, nel procedimento relativo dovevano essere acquisite le deduzioni delle regioni interessate.

Nella contestazione di confini oggetto del giudizio a quo si provvide in conformità.

A seguito dell'espressione del punto di vista delle Regioni, il Consiglio di Stato (Sez. I) formulò altro parere (n. 18 del 1980) nel quale ritenne che "il tracciato confinario fra i due comuni contendenti nella zona controversa" dovesse "essere fissato in aderenza alle deliberazioni della commissione internazionale del 1911".

Infine il Presidente della Repubblica con decreto del 29 maggio 1982, accolse il ricorso del comune di Canazei.

Tale decreto fu impugnato dinanzi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio dal comune di Rocca Pietore, il quale dedusse - tra l'altro - che con il trasferimento alle regioni delle competenze in materia di circoscrizioni comunali, sarebbe venuta meno la competenza statale prevista dall'art. 267 del r.d. n. 383 del 1934; in ogni caso essa avrebbe dovuto ritenersi in contrasto con gli artt. 3 e 133 della Costituzione.

Anche la regione Veneto impugnò il decreto presidenziale, deducendo - tra l'altro - che, siccome la contestazione finiva per toccare anche i confini tra regioni, essa doveva essere risolta con legge statale o con sentenza della Corte costituzionale. Dedusse inoltre che, ove l'art. 267 del r.d. n.383 del 1934 fosse applicabile alla fattispecie, sarebbe costituzionalmente illegittimo.

Nel giudizio davanti al tribunale amministrativo regionale si sono costituiti il presidente del consiglio dei ministri, il ministro dell'interno, la regione Trentino-Alto Adige, la provincia di Trento e il comune di Canazei, chiedendo il rigetto dei ricorsi.

Il tribunale amministrativo regionale per il Lazio, con una prima ordinanza in data 28 dicembre 1990, sollevò questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 5 e 132 della Costituzione, dell'art. 267 del r.d. n.383 del 1934, deducendo quanto segue.

L'art. 74 dello Statuto albertino prescriveva il ricorso alla legge per l'istituzione di nuovi comuni e la modificazione delle circoscrizioni comunali. Esisteva però una normativa eccezionale (artt. 30-36 r.d. 3 marzo 1934, n.383), che riconosceva al governo il potere di modificare quelle circoscrizioni e di istituire nuovi comuni con atto amministrativo, in presenza di alcuni requisiti. A questo potere era connessa, come naturale completamento delle attribuzioni governative in materia, la competenza a risolvere le contestazioni di confini ex art. 267.

L'avvento della Costituzione ha peraltro recato significativi mutamenti al sistema dei rapporti fra Stato ed enti locali. Mutamenti conseguenti non solo all'inserimento tra Stato e comune di un nuovo ente a rilevanza costituzionale, qual è la regione, ma anche al rilievo che gli enti locali sono venuti ad assumere nel tessuto costituzionale. Infatti l'art. 5 della Costituzione pone da un lato il principio del riconoscimento delle autonomie locali e dall'altro l'enunciazione di due principi programmatici, l'uno inteso alla promozione delle autonomie locali e l'altro rivolto ad adeguare i principi e metodi dell'azione statale al riconoscimento delle autonomie stesse. Inoltre il legislatore costituente, al fine di assicurare una garanzia adeguata all'anzidetta autonomia, di cui è componente essenziale l'integrità territoriale degli enti medesimi, ha disposto (artt. 132-133) che le modificazioni delle circoscrizioni territoriali di regioni, province e comuni si attuino sempre mediante una legge (costituzionale, ordinaria o regionale, a seconda dei casi).

Ciò posto, il tribunale amministrativo regionale rilevava che, alla stregua dei principi introdotti dalla Costituzione e successivamente attuati con la realizzazione dell'ordinamento regionale, non erano manifestamente infondati i dubbi di illegittimità costituzionale dell'art. 267, la cui applicabilità è attualmente limitata alle sole ipotesi di contestazioni di confine insorte fra comuni di regioni diverse, consentendo di risolvere con un provvedimento amministrativo le controversie in questione. Infatti la lite confinaria fra comuni di tali regioni non è soltanto una questione che eccede topograficamente l'ambito regionale (e che quindi esula dalla competenza regionale per avere una dimensione ultraregionale), ma rappresenta una vicenda che influisce direttamente sulla consistenza del territorio di due regioni contermini garantita dall'art. 132 della Costituzione, che impone l'emanazione di una legge (oltre al referendum delle popolazioni interessate) per le variazioni del territorio regionale. La norma in questione, secondo il giudice a quo, inciderebbe direttamente sullo stesso principio dell'autonomia degli enti locali, il cui valore e riconoscimento si trovano solennemente riaffermati nell'art. 5 della Costituzione.

Nel giudizio di legittimità costituzionale promosso con la suddetta ordinanza del 28 dicembre 1990 si costituirono la regione Veneto, associandosi nella richiesta di declaratoria d'illegittimità costituzionale, nonchè il comune di Canazei, la provincia autonoma di Trento e la regione Trentino - Alto Adige, chiedendo che la questione fosse dichiarata non fondata. Analoga richiesta fu fatta dal Presidente del Consiglio dei ministri con il suo atto d'intervento.

La Corte costituzionale, con ordinanza in data 28 dicembre 1990, n. 591 restituì gli atti al giudice a quo per il riesame della rilevanza, assumendo che l'art. 64 della legge 8 giugno 1990, n. 142 aveva abrogato il r.d. n. 383 del 1934, con eccezione di alcuni articoli, fra i quali non è presente l'art. 267.

2. Il tribunale amministrativo regionale per il Lazio, con l'ordinanza 5 febbraio 1992 ora all'esame della Corte, ha ritenuto che, non ostante lo ius superveniens, la rilevanza della questione permane in quanto, anche se l'art. 267 dovesse ritenersi abrogato, la cessazione della norma non avrebbe effetto retroattivo e non inciderebbe sull'applicabilità della stessa nel giudizio a quo.

I profili d'illegittimità indicati con la precedente ordinanza sono stati pertanto ribaditi, deducendosi inoltre "che le controversie insorte sulla consistenza dei confini fra regioni incidono su materia che ha rilievo costituzionale, in quanto l'ordinamento territoriale delle regioni stesse trova implicita definizione nell'art. 131 Cost.", cosicchè la sede per la loro risoluzione non può essere quella amministrativa, ma va individuata nel Parlamento o nella Corte costituzionale, alla stregua dei profili di legittimità già indicati, nonchè dall'art. 134 della Costituzione.

Dinanzi a questa Corte si è costituito il comune di Rocca Pietore, associandosi alla richiesta di declaratoria d'illegittimità costituzionale.

Si è costituita anche la regione Veneto, formulando analoga richiesta. Nell'atto di costituzione essa ha dedotto che, essendo il territorio elemento costitutivo della regione e, insieme, presupposto e limite delle sue attribuzioni costituzionali, deve ritenersi che la Costituzione sottragga alla legge ordinaria la delimitazione delle circoscrizioni regionali, riservandola alla legge costituzionale. L'art.267 del r.d. n. 383 del 1934 - secondo la regione - è pertanto illegittimo, essendo incompatibile con il sistema costituzionale l'attribuzione all'autorità amministrativa della competenza a pronunciarsi su questioni che involgono i confini tra regioni.

La Costituzione, infatti, assume il territorio delle regioni di cui all'art. 131 nella sua consistenza storico- statistica, irrigidendo le situazioni confinarie esistenti all'atto della sua entrata in vigore, senz'alcun rinvio a fonti subcostituzionali. Ne consegue "non soltanto l'invalidità di qualsiasi atto subcostituzionale che incida su tale estensione, ma anche il divieto di utilizzare pro cedimenti di accertamento del confine regionale che, facendo riferimento ad elementi pre-costituzionali, finiscano col comportare - anche soltanto di fatto - una modifica del territorio regionale quale esistente al 1° gennaio 1948".

Secondo la regione Veneto, nel silenzio della Costituzione in proposito, deve ritenersi che il contrasto fra regioni circa i rispettivi confini va risolto ai sensi dell'art. 132 della Costituzione con legge costituzionale, ovvero sollevando conflitto di attribuzione davanti alla Corte costituzionale ex art. 134 della Costituzione. Norme con le quali, appunto, sarebbe in contrasto l'impugnato art. 267.

In subordine la regione Veneto ha insistito nella tesi dell'avvenuta abrogazione di tale articolo in seguito al trasferimento alle regioni delle competenze in materia di enti locali.

Si è costituito anche il comune di Canazei il quale, riservandosi ogni ulteriore deduzione, ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile o, comunque, infondata.

Si è costituita, a sua volta, la provincia di Trento, formulando analoga richiesta. Al riguardo, nell'atto di costituzione, si sostiene che il giudice a quo muove dall'errato presupposto dell'identità di natura sostanziale tra le contestazioni di confini ex art. 267 del r.d.n. 383 del 1934 e le modificazioni dei confini ex art. 35 dello stesso regio-decreto, e dell'eguale incidenza di esse sulla integrità territoriale degli enti locali. Viceversa, le modificazioni delle circoscrizioni territoriali delle regioni, delle province e dei comuni, comportanti spostamenti di territorio, che ora sono disciplinate dagli artt. 132 e 133 della Costituzione, si distinguono nettamente dalla ricognizione delle situazioni confinarie preesistenti.

Tale impostazione, secondo la provincia di Trento, è stata fatta propria dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 743 del 1988, nella quale è stato affermato che gli artt.131, 132 e 134 della Costituzione "nulla dispongono per quel che concerne l'ipotesi di contestazione di confini".

L'art. 132 non sarebbe, poi, applicabile alla fattispecie, riguardando esso la fusione o la creazione di nuove regioni, nonchè il passaggio da una regione ad un'altra di comuni e province; l'art. 131 della Costituzione non identifica il territorio delle regioni; il regolamento di confini tra regioni non rientra tra le competenze assegnate dall'art. 134 della Costituzione alla Corte costituzionale.

Si sono costituiti anche la regione Trentino-Alto Adige ed il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo entrambi che la questione sia dichiarata non fondata.

3. L'Avvocatura dello Stato ha dedotto in proposito che dottrina e giurisprudenza hanno sempre distinto, da un lato, la natura dei procedimenti di "determinazione-delimitazione" ex art. 32, primo comma, del r.d. n. 383 del 1934 e di "contestazione" ex art. 267 dello stesso regio decreto; dall'altro lato i procedimenti di "variazione" e "rettifica" delle circoscrizioni comunali previsti dalle altre disposizioni (compreso l'art.32, comma secondo), contenute negli articoli da 30 a 36 del predetto regio decreto.

Infatti, tanto nel caso di incertezza e di concorde richiesta di accertamento del confine, quanto nel caso di controversia sull'andamento del confine stesso, il provvedimento che definisce i due procedimenti non comporta modificazione di confine, ma solo accertamento di un precedente stato di fatto; sicchè l'attribuzione del relativo potere all'autorità amministrativa, oltre ad essere conforme alla natura stessa del provvedimento, che non comporta manifestazione di volontà, ma mero accertamento dello stato di fatto, non era in contrasto con l'art. 74 dello Statuto, per il quale le circoscrizioni comunali non potevano essere modificate se non per legge.

L'art. 132 (come l'art. 133 della Costituzione e, prima, l'art. 74 ora ricordato), prevede soltanto casi di modificazione dei confini regionali, mentre resta estranea alla previsione della norma, e quindi alla riserva di legge, l'ipotesi del semplice accertamento del preesistente confine.

Rileva ancora l'Avvocatura dello Stato che il dubbio sollevato dal tribunale amministrativo regionale per il Lazio non concerne l'appartenenza della competenza allo Stato, ma solo la necessità o meno di un atto legislativo per risolvere la "contestazione" ossia la sussistenza o meno in proposito di una riserva di legge assoluta. Sicchè, il parametro offerto dall'art. 5 della Costituzione non sarebbe pertinente.

Quanto al profilo relativo alla violazione dell'art. 134 della Costituzione, l'Avvocatura dello Stato rileva che tale articolo non attribuisce alla Corte costituzionale la competenza a risolvere controversie di confine tra regioni.

4. Nell'imminenza del giudizio hanno depositato memorie il comune di Canazei, il comune di Rocca Pietore, la regione Veneto e la provincia autonoma di Trento.

Il comune di Canazei ha insistito nel richiedere una pronuncia d'inammissibilità o di non fondatezza, sotto il profilo che - da un lato - il thema decidendum sottoposto all'esame della Corte non è definito dall'ordinanza di rimessione, nella quale si prospetta, in via alternativa, la competenza della Corte costituzionale o del Parlamento a risolvere le controversie di confine tra le regioni; dall'altro, che la controversia oggetto del giudizio a quo non implica modificazioni, ma solo l'accertamento di tale confine, cosicchè non comporta alcuna modificazione del confine esistente.

Il comune di Rocca Pietore ha ribadito la sua richiesta di declaratoria d'illegittimità costituzionale della norma impugnata, rilevando - in fatto - che il ghiacciaio della Marmolada, attribuito in gran parte dal d.P.R. 29 maggio 1982, n. 557 al comune di Canazei, ab immemorabili apparteneva al proprio territorio. A sostegno dell'illegittimità costituzionale dell'art. 267 del r.d. n. 383 del 1934, ha dedotto che esso "non si concilia con i principi di autodeterminazione e di autonomia regionale, perchè sottopone gli interessi locali alla decisione dell'amministrazione centrale, creando una situazione paradossale, per cui la regione, arbitra di decidere circa gli interessi dei comuni in materia confinaria, si trova assoggettata al potere di un organo amministrativo centrale, quando vengono in gioco interessi propri". In particolare, nella memoria si contesta che nel caso di specie si sia trattato di mero accertamento di confini, la materia vertendo in una vera e propria attribuzione di territorio.

La regione Veneto ha chiesto anch'essa la declaratoria d'illegittimità della norma impugnata, sostenendo che l'art.267 non riguarda ipotesi di mero accertamento dei confini comunali, bensì l'ipotesi di una "lite" fra comuni sui rispettivi confini, a conclusione della quale - come è avvenuto nel caso di specie - i limiti possono risultare modificati, al pari di quelli - costituzionalmente garantiti - delle regioni. La garanzia costituzionale, secondo quanto esposto nella memoria, non potrebbe ritenersi rispettata dalla semplice audizione delle regioni nel corso del procedimento amministrativo e l'art.267, demandando all'esecutivo, con la risoluzione delle controversie confinarie fra comuni, la determinazione dei confini regionali, per un verso, gli attribuisce un potere che in base all'art. 132 della Costituzione, non gli spetta e, per altro verso, sottrae alle regioni la garanzia del conflitto dinanzi alla Corte in ordine a quelle controversie.

La provincia autonoma di Trento ha insistito, per l'infondatezza e, in parte, per l'inammissibilità della questione proposta, nell'ampia memoria conclusiva, con diffuse argomentazioni, assistite dal richiamo di dottrina e giurisprudenza.

Considerato in diritto

l. Questa Corte è chiamata a decidere se l'art. 267 del r.d. 3 marzo 1934, n. 383 - statuendo che i ricorsi per contestazione di confini tra comuni e province di regioni diverse sono decise con decreto del Presidente della Repubblica, udito il Consiglio di Stato - violi: a) l'art.5 della Costituzione, che tutela le autonomie locali; b) l'art.132 della Costituzione, che richiede un provvedimento legislativo per le variazioni del territorio regionale; c) l'art. 134 della Costituzione, giacchè incidendo le controversie relative ai confini regionali su materia di rilievo costituzionale, ove non si ritenga che debbano essere risolte con legge, debbono esserlo dalla Corte costituzionale in sede di conflitto di attribuzione.

Il giudice a quo ha dedotto in proposito che la Costituzione, al fine di garantire l'autonomia degli enti locali e quella regionale, della quale l'integrità territoriale è componente necessaria, prescrive che le modificazioni delle circoscrizioni territoriali delle regioni, province e comuni si attuino sempre con legge, costituzionale, ordinaria o regionale, a seconda dei casi. Ne deriverebbe l'illegittimità costituzionale della norma impugnata, in quanto consente di risolvere con un provvedimento amministrativo una controversia che implica modificazione di confini non solo comunali o provinciali, ma anche regionali, incidendo la modifica dei confini di comuni o province, appartenenti a regioni diverse, sulla integrità territoriale di queste ultime.

2. Va pregiudizialmente respinta l'eccezione d'inammissibilità della questione, prospettata dalla provincia di Trento e dal comune di Canazei sotto il profilo della indeterminatezza del petitum, per essere stata dedotta alternativamente la violazione, da parte dell'impugnato art.267 del r.d. n. 383 del 1934, dell'art. 132 della Costituzione - ove si ritenga che le controversie riguardanti i confini di comuni e province appartenenti a regioni diverse vadano risolte con legge - o dell'art.134 della Costituzione, ove si ritenga che debbano esserlo dalla Corte costituzionale in sede di conflitto di attribuzione.

L'art. 23 della l. 11 marzo 1953, n. 87, ai fini dell'ammissibilità della questione nei giudizi di legittimità costituzionale in via incidentale, richiede che nell'ordinanza di rimessione siano indicate le disposizioni di legge che si assumono viziate da illegittimità e le disposizioni della Costituzione che si assumono violate. La ratio di tale prescrizione è nella volontà legislativa di attribuire al giudice remittente la determinazione del thema decidendum.

Nel caso di specie il giudice a quo ha indicato in modo non equivoco la disposizione impugnata e gli articoli della Costituzione in riferimento ai quali ha inteso sollevare la questione, prospettando in via principale la violazione degli artt. 5 e 132 della Costituzione, come aveva già fatto con l'ordinanza 28 dicembre 1990, in relazione alla quale questa Corte aveva restituito gli atti per il riesame della rilevanza in seguito all'entrata in vigore della legge n. 142 del 1990.

In via subordinata, ove detta violazione fosse ritenuta insussistente, lo stesso giudice ha prospettato l'ulteriore profilo della violazione dell'art. 134 della Costituzione, così ampliando il thema decidemdum.

Questo, peraltro, resta chiaramente identificato, non influendo al riguardo nè l'erroneità - secondo quanto appresso si dirà - dell'interpretazione data alla disposizione costituzionale invocata a parametro (sentenza n. 344 del 1990), nè la prospettazione di un profilo d'incostituzionalità subordinatamente al mancato accoglimento di quello principale.

3. La questione è infondata nel merito.

Va premesso che questa Corte, con la sentenza n. 743 del 1988 - resa sul conflitto di attribuzione sollevato in relazione al decreto del Presidente della Repubblica in data 29 maggio 1982 che, in accoglimento del ricorso proposto dal comune di Canazei ai sensi dell'art. 267 r.d. 3 marzo 1934, n.383, aveva rettificato i confini tra il detto comune ed il comune di Rocca Pietore - ha già affermato che l'art. 267 del r.d. n. 383 del 1934 non è stato abrogato, per quanto riguarda la contestazione di confine tra comuni di regioni diverse, dalle norme di trasferimento a queste ultime delle funzioni relative alla contestazione di confini tra comuni (art. 1, lett. d, del d.P.R. 14 gennaio 1972, n. 1; cfr. anche art.16 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616). Norme che esattamente il parere del Consiglio di Stato, acquisito nel corso del relativo procedimento, riferisce alle sole decisioni di contestazione di confini fra comuni appartenenti alla medesima regione. Detto art. 267 regola, ratione temporis - in conformità di quanto affermato nell'ordinanza di rimessione - la fattispecie all'esame del giudice a quo, non spiegando in relazione ad essa alcun effetto l'eventuale abrogazione della norma ad opera dell'art. 64 della l. 8 giugno 1990, n. 142.

Va premesso altresì che questa Corte, nella citata sentenza n. 743 del 1988, ha parimenti già affermato che nè l'art. 132, nè l'art. 134 della Costituzione dispongono in materia di contestazione di confini tra regioni.

L'art. 134, infatti, determina le competenze della Corte costituzionale, senza alcuna previsione delle contestazioni di confine tra regioni o comuni e province, appartenenti o non alla stessa regione. L'art. 132, a sua volta, stabilisce nel primo comma la procedura per la "fusione di regioni esistenti o la creazione di nuove regioni", mentre nel secondo comma fissa la procedura per il passaggio di comuni o province da una regione ad un'altra, senza nulla disporre in ordine a contestazioni che riguardino o coinvolgano il confine fra regioni.

L'impugnato art. 267 del r.d. n. 383 del 1934, viceversa, nella parte rimasta in vigore dopo l'emanazione dell'art.1, lett. d, del d.P.R. 14 gennaio 1972, n. 1, ha continuato a regolare i ricorsi per contestazione di confini fra comuni (e province) appartenenti a regioni diverse, disponendo che essi sono decisi con decreto del Capo dello Stato, udito il Consiglio di Stato, e contro tale decreto è ammesso il ricorso, anche in merito ai competenti organi di giustizia amministrativa.

Sono evidenti le differenze tra la previsione di cui all'art. 267 del r.d. n. 283 del 1934 e le fattispecie, di cui all'art. 132 della Costituzione, le quali ultime consistono nella fusione di regioni esistenti, nella creazione di nuove regioni e nel distacco - aggregazione di comuni o di province da una regione ad un'altra. In tutte queste ipotesi la modificazione territoriale, che si realizza, opera in funzione dell'assetto di interessi, competenze o potestà, determinato dalla nuova configurazione istituzionale e strutturale degli enti locali, che ne sono titolari (art. 132 cit.): situazioni del tutto differenziate dalla semplice riconduzione territoriale del confine al suo titolo costitutivo (art. 267 cit.).

Nessun contrasto può esservi, pertanto, fra l'art. 267 del r.d. n. 383 del 1934 e gli artt. 132 e 134 della Costituzione, disciplinando questi ultimi, come si è visto, materia diversa da quella oggetto della norma impugnata.

4. Quanto alla dedotta violazione dell'art. 5 della Costituzione, che tutela le autonomie locali, questa norma sarebbe lesa dalla possibilità, implicita nel disposto dell'art. 267, di una modifica dei confini comunali ed anche regionali attraverso un atto amministrativo discrezionale.

Tale discrezionalità - secondo le tesi diffusamente svolte da alcune delle parti costituitesi dinanzi a questa Corte - si evincerebbe dall'attribuzione, nella materia, della giurisdizione "di merito" al giudice amministrativo, nonchè all'autorità amministrativa del potere di variare le circoscrizioni comunali (artt. 30-36 del r.d. n. 383 del 1934).

In proposito va osservato che - come ha ritenuto la giurisprudenza del Consiglio di Stato e contrariamente a quanto si sostiene nell'ordinanza di rimessione - i ricorsi regolati dall'art. 267 non implicano alcun intervento costitutivo o modificativo dei confini in contestazione, avendo le relative azioni un oggetto analogo all'actio finium regundorum e la medesima natura ricognitoria. In entrambi i casi, infatti, non si domanda una modificazione del confine, ma un accertamento di esso, senza che si deduca un conflitto fra i rispettivi titoli del dominium, bensì un contrasto d'interpretazione del contenuto dei medesimi.

Su ciò è concordia piena, tra gli interpreti, a partire dai più autorevoli commentatori dell'art. 74 dello Statuto del Regno - che, con riguardo alla "circoscrizione dei comuni e delle provincie", distinguevano "fra i provvedimenti che attribuiscono o tolgono territorio ad un comune o ad una provincia, e quelli che sono intesi unicamente a riconoscere e dichiarare quale è il legale confine tra i territori di due circoscrizioni amministrative" - fino alla dottrina e alla giurisprudenza attuali (nelle quali è sicura la differenziazione tra titolo di acquisto e negozio di accertamento inteso a risolvere l'incertezza dei confini, differenziazione che è stata ribadita ancora recentemente dalla Cassazione: sent. 7 gennaio 1992, n. 41).

Su questi stessi principi si fonda il parere del Consiglio di Stato n. 18 del 1980 che, a proposito della fattispecie all'esame del giudice a quo - dopo aver rilevato come il confine tra i comuni contendenti coincideva in passato con il confine di stato fra l'Italia e l'Austria-Ungheria, così come ora coincide con il confine tra il Veneto ed il Trentino- Alto Adige - non ha suggerito alcuna modificazione del confine preesistente, ma solo la sua ridelimitazione in base a quanto già stabilito nella deliberazione del 4 ottobre 1911 della commissione internazionale italo-austriaca incaricata della demarcazione del confine tra l'Italia e l'Austria-Ungheria, il cui operato fu definitivamente approvato con nota del ministero degli affari esteri italiano n. 991 del 21 agosto 1912 e ratificato dal governo austriaco.

Essendo il potere attribuito dall'impugnato art. 267 di puro accertamento, deve altresì ritenersi insussistente l'asserito collegamento col potere - attualmente non più spettante all'autorità amministrativa - di modificare le circoscrizioni comunali. Parimenti, l'esistenza di una discrezionalità nel suo esercizio non può essere dedotta dall'attribuzione in materia, al giudice amministrativo, di una competenza "di merito", riguardando il "merito", nel caso specifico - secondo giurisprudenza consolidata - non l'opportunità, ma il pieno accertamento dei fatti.

Ne deriva che nessuna lesione dell'autonomia comunale e regionale può derivare dal disposto della norma impugnata - sotto il profilo che sarebbe consentita la modificazione del territorio di detti enti con atto amministrativo discrezionale - in quanto essa stabilisce unicamente una procedura amministrativa d'accertamento, la quale si conclude con atto impugnabile nella sede giurisdizionale, dove gli enti locali interessati possono ottenere la tutela ad essi garantita dall'art. 113 della Costituzione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 267 del r.d. 3 marzo 1934, n. 383 (T.U. della legge comunale e provinciale), sollevata in riferimento agli artt. 5, 132 e 134 della Costituzione dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 08/02/93.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Gabriele SALVATORE, Redattore

Depositata in cancelleria il 16/02/93.