Sentenza n. 44 del 1993

CONSULTA ONLINE

 

SENTENZA N. 44

 

ANNO 1993

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Dott. Francesco GRECO

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 23, primo comma, del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni) nel testo sostituito dall'art. 42 del decreto legislativo 14 gennaio 1991, n. 12 (Disposizioni integrative e correttive della disciplina processuale penale e delle norme ad essa collegate) in relazione all'art. 3, lett. h), della legge 16 febbraio 1987, n. 81 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale), promosso con ordinanza emessa il 13 marzo 1992 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale per i minorenni di Torino nel procedimento penale a carico di Bougalmi Atemi, iscritta al n. 322 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 26, prima serie speciale, dell'anno 1992.

 

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nella camera di consiglio del 19 novembre 1992 il Giudice relatore Giuliano Vassalli.

 

Ritenuto in fatto

 

1. Con ordinanza del 13 marzo 1992, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale per i minorenni di Torino ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 23, primo comma, del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni), nel testo sostituito dall'art. 42 del decreto legislativo 14 gennaio 1991, n. 12 (Disposizioni integrative e correttive della disciplina processuale penale e delle norme ad essa collegate), sul presupposto che la norma, così come novellata, nel consentire l'applicazione della misura della custodia cautelare nei confronti degli imputati minorenni anche per il delitto di tentato furto monoaggravato, si porrebbe in contrasto con l'art. 76 della Costituzione, per violazione dell'art. 3, lett. h), della legge 16 febbraio 1987, n. 81 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale), essendo stato ivi enunciato il criterio di riconoscere al giudice il potere di disporre, nel processo a carico di imputati minorenni, la misura della custodia in carcere "solo per delitti di maggiore gravità", fra i quali il giudice a quo non ritiene possa essere iscritta la specifica figura criminosa dedotta nella specie.

 

2. Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata. Oltre a richiamare la sentenza di questa Corte n. 4 del 1992, l'Avvocatura ha osservato che le modifiche introdotte in parte qua dal decreto legislativo n. 12 del 1991, hanno tratto origine dal rilievo che l'efficacia cautelare di misure di grado inferiore si è dimostrata insufficiente con specifico riferimento a talune categorie di reati.

 

Considerato in diritto

 

1. La censura di eccesso di delega che il giudice a quo muove alla norma oggetto di impugnativa, si limita a prendere in considerazione una specifica ipotesi per la quale è ora consentito disporre l'applicazione della misura della custodia cautelare nei confronti degli imputati minorenni, a seguito delle incisive modifiche che il legislatore delegato, facendo applicazione della speciale procedura prevista dall'art.7 della legge-delega 16 febbraio 1987, n. 81, ha ritenuto di apportare alla disciplina della libertà personale nel processo minorile. Rispetto al testo originario, infatti, l'attuale formulazione dell'art. 23 del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, ha introdotto, quale condizione di applicabilità della custodia cautelare nei confronti degli imputati minorenni, accanto ad un presupposto "quantitativo" fondato sulla pena edittalmente stabilita per il reato in ordine al quale si procede, un criterio per così dire " qualitativo", rappresentato dalla enunciazione di specifiche figure di reato che legittimano l'adozione della misura cautelare di maggior rigore, a prescindere dalla entità della pena per esse rispettivamente prevista.

 

L'individuazione delle singole fattispecie, peraltro, è stata non a caso operata dal legislatore mediante il rinvio a talune delle ipotesi per le quali in relazione agli imputati adulti è previsto l'arresto obbligatorio in flagro, secondo comma, c.p.p., il richiamo generale a tale articolo che invece compariva nell'originario schema del Governo.

 

Ciò significa, dunque, che Governo e commissione parlamentare hanno ritenuto la nuova disciplina coerente rispetto alle linee ispiratrici della legge-delega, e ciò per l'assorbente rilievo che lo strumento di delega, lungi dall'impartire qual modo operato scaturisce, dunque, la conseguenza, lamentata dal giudice a quo, di rendere applicabile la misura custodiale nei confronti degli imputati minorenni pure nella ipotesi in cui si proceda per il delitto di furto tentato, quando ricorra anche una sola delle circostanze richiamate nell'art. 380, comma 2, lett.e), del codice di rito.

 

Tenuto conto, quindi, che l'art. 3, lettera h), della legge-delega n.81 del 1987, nel fissare i criteri in base ai quali il Governo della Repubblica è stato delegato a disciplinare il processo a carico di imputati minorenni, ha espressamente sancito il principio che il "potere del giudice di disporre la custodia in carcere" può essere attribuito "solo per delitti di maggiore gravità", l'ipotesi del furto tentato monoaggravato, che ricorre nel procedimento a quo, non rientrerebbe, secondo il rimettente, nella categoria dei "delitti di maggiore gravità", sia "nell'ambito delle fattispecie penali in genere", sia "nell'ambito delle fattispecie di furto".

 

2. La questione, dunque, finisce per ruotare tutta attorno al quesito se una determinata figura criminosa integri o meno quel carattere di "maggiore gravità" che il legislatore delegante ha ritenuto di individuare come parametro alla cui stregua determinare i casi in cui è consentito applicare la "custodia in carcere" nei confronti degli imputati minorenni.

 

Il giudice a quo, con riferimento alla fattispecie di tentativo di furto monoaggravato, risponde in senso negativo, assiomaticamente deducendone la non maggiore gravità, sia con riferimento alle altre figure di reato in genere, sia in rapporto alle diverse ipotesi di furto in specie. Ma un simile argomentare muove da premesse che non possono essere condivise. Nella relazione che ha accompagnato lo schema del decreto legislativo 14 gennaio 1991, n. 12, sono state infatti enunciate le ragioni per le quali il Governo si è indotto a modificare il testo dell'art. 23 del d.P.R. n. 448 del 1988, essendosi ivi osservato come proprio per talune categorie di reati, anche se puniti con pena edittalmente inferiore ai nuovi limiti che il provvedimento ha stabilito, le misure cautelari diverse dalla custodia in carcere si fossero rivelate "del tutto inadeguate", sia per la "incidenza quantitativa" di tali fattispecie delittuose, sia "per le caratteristiche socio-ambientali dei minorenni che vi sono dediti". E non è senza significato la circostanza che, come emerge dalla medesima relazione, la commissione parlamentare chiamata ad esprimere il proprio conforme parere sulla iniziativa legislativa del Governo, al fine di verificare la corrispondenza della stessa "alle direttive della legge di delega" (art.7, in relazione all'art. 8, secondo comma, della legge-delega n. 81 del 1987), abbia nella sostanza condiviso la proposta di modifica, limitandosi a circoscrivere ad una parte soltanto delle ipotesi previste dall'art.380, secondo comma, c.p.c., il richiamo generale a tale articolo che invece compariva nell'orignario schema del Governo.

 

Ciò significa, dunque, che Governo e commissione parlamentare hanno ritenuto la nuova disciplina coerente rispetto alle linee ispiratrici della legge-delega, e ciò per l'assorbente rilievo che lo strumento di delega, lungi dall'impartire una direttiva per così dire autoapplicativa, si è limitato, nel caso che qui si rileva, ad enunciare un criterio a valenza essenzialmente finalistica, lasciando così libero il legislatore delegato di individuare e tracciare i necessari contenuti attuativi, secondo l'ordinaria sfera della discrezionalità legislativa.

 

Nel limitare il potere del giudice di disporre la custodia in carcere "solo per delitti di maggiore gravità", la legge-delega evoca, quindi, un concetto di "gravità relativa" i cui termini, inferiore e superiore, non possono certo circoscriversi all'interno di un rigido paradigma quantitativo fondato sulla pena edittalmente prevista. D'altra parte, è la stessa delega ad avere altrove svincolato la valutazione della gravità del reato da un editto punitivo di rilevante entità: così, nella direttiva 32, riferendosi ai casi di arresto facoltativo in flagranza, il legislatore delegante ne ha testualmente consentito la previsione "per alcuni reati di particolare gravità", anche se punibili con la pena della reclusione fino a tre anni. Dovendosi quindi saldare la gravità del reato anche a parametri di tipo qualitativo che facciano leva sulla specificità delle singole condotte criminose e sul correlativo disvalore, nonchè sulla incidenza che tali condotte presentano in un determinato contesto storico e sociale e sulle peculiarità che indubbiamente caratterizzano la devianza minorile ed il connesso regime processuale, ciascuna delle fattispecie che la norma impugnata ha provveduto a richiamare integra, per espressa e coerente scelta normativa, quella "maggiore gravità" alla quale la legge-delega ha inteso condizionare la possibilità di disporre la "custodia in carcere" nei confronti degli imputati minorenni.

 

Anche il tentativo di furto, quindi, sempre che ricorra taluna delle circostanze aggravanti indicate nell'art. 380, secondo comma, lett. e), c.p.p., risponde alle specifiche connotazioni "qualitative" delle quali si è dianzi fatto cenno e che soddisfano il postulato voluto dalla delega, che anche per gli adulti annovera tra i requisiti per l'arresto facoltativo in flagranza quello della "gravità del fatto" (numero 32, lett. b, 2a parte).

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 23, primo comma, del d.P.R. 22 settembre 1988, n.448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni), nel testo sostituito dall'art. 42 del decreto legislativo 14 gennaio 1991, n. 12 (Disposizioni integrative e correttive della disciplina processuale penale e delle norme ad essa collegate), sollevata, in riferimento all'art. 76 della Costituzione, per contrasto con l'art. 3, lett. h), della legge 16 febbraio 1987, n. 81 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale), dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale per i minorenni di Torino con ordinanza del 13 marzo 1992.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28/01/93.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Giuliano VASSALLI, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 10/02/93.