Sentenza n. 32 del 1993

CONSULTA ONLINE

 

SENTENZA N. 32

ANNO 1993

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio sull'ammissibilità, ai sensi dell'art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, della richiesta di referendum popolare per l'abrogazione della legge 6 febbraio 1948, n. 29, recante "Norme per la elezione del Senato della Repubblica", limitatamente alle seguenti parti:

- Articolo 17 - secondo comma, così come modificato dall'art. 1 della legge 23 gennaio 1992, n. 33, limitatamente alle parole "comunque non inferiore al 65 per cento del loro totale";

- Articolo 18 - primo comma, limitatamente alle parole "alla segreteria del Senato, che ne rilascia ricevuta, qualora sia avvenuta la proclamazione del candidato e, nel caso contrario,";

- Articolo 19 - primo comma, limitatamente alle parole "o delle comunicazioni di avvenuta proclamazione";

- secondo comma, limitatamente alle parole "presentatisi nei collegi";

- terzo comma, così modificato dall'art. 1 della legge 28 aprile 1967, n.262, limitatamente alla parola "suddetti";

- ultimo comma, limitatamente alla parola "soltanto" nonchè alle parole "il candidato che in detto collegio ha ottenuto il maggior numero di voti validi, e", iscritto al n. 50 del Registro Referendum.

Viste le ordinanze del 10 e 15 dicembre 1992 con le quali l'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione ha dichiarato legittima la richiesta;

udito nella camera di consiglio del 13 gennaio il Giudice relatore Luigi Mengoni;

uditi gli avvocati Paolo Barile, Nicolò Lipari e Valerio Onida, per i presentatori del referendum.

Ritenuto in fatto

1. L'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di Cassazione, in applicazione della legge 25 maggio 1970, n. 352, e successive modificazioni, ha esaminato la richiesta di referendum popolare presentata il 16 settembre 1991 da Mariotto Giovanni Segni, Augusto Antonio Barbera ed altri diciassette cittadini elettori, sui seguenti quesiti:

3. Ricevuta la comunicazione dell'ordinanza dell'Ufficio centrale, il Presidente di questa Corte ha fissato il giorno 13 gennaio 1993 per la conseguente deliberazione, dandone regolare comunicazione.

4. In data 24 dicembre 1992 i presentatori della richiesta di referendum hanno depositato una memoria a sostegno dell'ammissibilità dello stesso.

Una memoria di intervento è stata depositata anche dal "Comitato per la difesa ed il rilancio della Costituzione", nella veste di soggetto controinteressato all'ammissione del referendum proposto.

5. Ad integrazione delle difese scritte, nella camera di consiglio del 13 gennaio 1993 sono stati uditi, per i promotori del referendum, gli avvocati Paolo Barile, Nicolò Lipari e Valerio Onida.

Considerato in diritto

1. Preliminarmente deve essere dichiarato inammissibile l'intervento del "Comitato per la difesa ed il rilancio della Costituzione" per le medesime ragioni già indicate nella sentenza n. 47 del 1991, contro le quali la memoria depositata dal Comitato non ha addotto nuovi argomenti pertinenti alla questione della legittimazione a interloquire sulla ammissibilità della richiesta di referendum.

2. Ai fini di tale giudizio occorre prendere le mosse dai criteri elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte, e più specificamente dalle premesse fissate dalla sentenza ora citata, relativa a una richiesta avente oggetto e finalità analoghi a quella in esame, ma formulata in termini diversi.

Sono assoggettabili a referendum popolare anche le leggi elettorali relative ad organi costituzionali o di rilevanza costituzionale, alla duplice condizione che i quesiti siano omogenei e riconducibili a una matrice razionalmente unitaria, e ne risulti una coerente normativa residua, immediatamente applicabile, in guisa da garantire, pur nell'eventualità di inerzia legislativa, la costante operatività dell'organo.

Quando siano rispettate tali condizioni, è di per sè irrilevante il modo di formulazione del quesito, che può anche includere singole parole o singole frasi della legge prive di autonomo significato normativo, se l'uso di questa tecnica è imposto dall'esigenza di "chiarezza, univocità e omogeneità del quesito" e di "una parallela lineare evidenza delle conseguenze abrogative", sì da consentire agli elettori l'espressione di un voto consapevole.

3. Il fine intrinseco dell'atto abrogativo proposto e le conseguenze dell'abrogazione sono apprensibili con chiarezza e compiutezza dal primo quesito, concernente l'art. 17, secondo comma, del la legge n. 29 del 1948, nel testo modificato dalla legge n. 33 del 1992. Fine intrinseco è l'eliminazione del quorum del 65 per cento dei voti validi prescritto nell'inciso finale per la proclamazione dell'eletto nel collegio, che finora ha reso di fatto inoperante, tranne in uno o due casi isolati, il criterio maggioritario enunciato nella prima parte del comma; conseguenza dell'abrogazione è la sostituzione del sistema attuale con un sistema misto prevalentemente maggioritario, e precisamente maggioritario con unico turno per i 238 seggi da assegnare nei collegi, proporzionale per i restanti 77 seggi aggiuntivi (pari a circa il 25 per cento del totale di 315).

Questa conseguenza si produce necessariamente in base alla disciplina residua dell'art. 17, secondo comma, senza alterare "la sequenza temporale delle operazioni relative all'assegnazione dei seggi, così come disciplinata nell'art.19" (cfr. sent. n. 47 del 1991 cit., punto 5 in diritto): il candidato designato dal voto maggioritario è proclamato eletto dal presidente dell'ufficio elettorale circoscrizionale, a norma dell'art. 17, prima dell'inizio delle operazioni regolate dall'art. 19, non, alla fine di queste, dal presi dente dell'ufficio regionale a norma dell'ultimo comma dell'art. 19, come prevedeva la richiesta referendaria del 1990 dichiarata inammissibile. Il significato normativo dell'art. 19 viene ridefinito alla stregua di una rilettura della legge che valorizza la potenziale coerenza funzionale della sua struttura logico-sistematica col principio maggioritario corretto, in una certa misura, dal principio proporzionale. Con tale principio non appare incompatibile nemmeno l'art. 9, che prescrive la presentazione delle candidature "per gruppi ai quali i candidati aderiscono con l'accettazione".

4. Le ulteriori modifiche della legge n. 29 del 1948, proposte in ordine agli artt. 18 e 19, sono strettamente conseguenziali all'abrogazione parziale dell'art. 17, secondo comma, nei termini e con gli esiti suddetti.

La più importante investe l'art. 19, secondo comma, espungendo l'inciso "presentatisi nei collegi", il quale determina l'inutilizzabilità, ai fini del calcolo della cifra elettorale dei singoli gruppi di candidati, di tutti i voti espressi nei collegi in cui è avvenuta la proclamazione dell'eletto ai sensi dell'art. 17. Nel sistema risultante dall'abrogazione del quorum del 65 per cento, l'assegnazione di tutti i 238 seggi col criterio maggioritario comporterebbe l'azzeramento dei voti validi espressi dagli elettori, rendendo impossibile l'assegnazione dei restanti 77 seggi col criterio proporzionale. La soppressione dell'inciso modifica la regola in guisa da escludere dalla base di calcolo i soli voti ottenuti dai candidati proclamati eletti nei collegi col sistema maggioritario.

Tale modifica - oltre a richiedere una lieve correzione formale dell'art. 19, terzo comma, dove non ha più senso l'aggettivo "suddetti", essendo caduto il suo referente nel comma precedente - esige a sua volta che, venuta meno l'alternativa del "caso contrario" prevista nell'art. 18, primo comma, l'incidenza su questa norma dell'abrogazione del quorum del 65 per cento sia rovesciata nel senso di prevedere in ogni caso l'invio immediato di un esemplare del verbale delle operazioni dell'ufficio circoscrizionale all'ufficio regionale, senza di che questo non sarebbe in grado di calcolare le cifre elettorali di gruppo. Non per ciò il Senato resta escluso da ogni comunicazione: resta fermo l'obbligo dei presidenti degli uffici circoscrizionali di dare immediata notizia alla segreteria del Senato dell'avvenuta proclamazione degli eletti col sistema maggioritario (art. 17, terzo comma).

All'alternativa formulata nell'art. 18, primo comma, è correlata, in termini invertiti, l'alternativa prevista nell'art. 19, primo comma, la quale, pertanto, deve pure essere eliminata, non potendo più verificarsi il caso di invio all'ufficio elettorale regionale soltanto della comunicazione di avvenuta proclamazione ai sensi dell'art. 17, anzichè di un esemplare del verbale delle operazioni elettorali dell'ufficio circoscrizionale.

Infine la richiesta in esame provvede coerentemente a modificare l'ultimo comma dell'art. 19 sostituendo all'attuale fattispecie, che non avrebbe più senso dopo l'eliminazione del quorum del 65 per cento, l'ipotesi di parità di voti conseguiti dai candidati più votati in un collegio. Provvede allora alla proclamazione dell'eletto, dopo gli opportuni accertamenti, il presidente dell'ufficio regionale scegliendo il candidato più anziano di età.

5. La Corte non si nasconde che la normativa di risulta può dar luogo ad inconvenienti, ad esempio per ciò che riguarda, da un lato, la diseguale proporzione in cui l'uno e l'altro sistema di elezione sarebbero destinati ad operare nelle singole regioni, dall'altro - fermi restando gli artt. 9, secondo comma, e 28 della legge n. 29 del 1948 - gli effetti che il passaggio al sistema maggioritario semplice determina in caso di ricorso alle elezioni suppletive, secondo la legge 14 febbraio 1987, n. 31, al fine di ricoprire i seggi rimasti vacanti per qualsiasi causa, e in particolare per effetto di eventuali opzioni effettuate da candidati eletti in più collegi o eletti contemporaneamente al Senato e alla Camera dei deputati. Ma questi aspetti non incidono sull'operatività del sistema elettorale, nè paralizzano la funzionalità dell'organo, e pertanto non mettono in causa l'ammissibilità della richiesta di referendum. Nei limiti del divieto di formale o sostanziale ripristino della normativa abrogata dalla volontà popolare (sent. 468 del 1990), il legislatore potrà correggere, modificare o integrare la disciplina residua.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara ammissibile la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione, nelle parti indicate in epigrafe, degli artt.17, secondo comma, 18, primo comma, 19, primo, secondo, terzo e ottavo comma, della legge 6 febbraio 1948, n. 29 (Norme per la elezione del Senato della Repubblica), modificata dalla legge 23 gennaio 1992, n. 33 (Modificazioni alla legge 6 febbraio 1948, n. 29, sulla elezione del Senato della Repubblica), richiesta dichiarata legittima dall'Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione con ordinanza del 15 dicembre 1992.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16/01/93.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Luigi MENGONI, Redattore

Depositata in cancelleria il 04/02/93.