Ordinanza n.11 del 1993

CONSULTA ONLINE

 

ORDINANZA N. 11

ANNO 1993

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), promosso con ordinanza emessa l'8 aprile 1992 dal Tribunale di Teramo nel procedimento per la dichiarazione di fallimento della s.n.c. B. I. di G.B. e C., iscritta al n. 346 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell'anno 1992.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 19 novembre 1992 il Giudice relatore Francesco Guizzi.

Ritenuto che nel corso di un procedimento per la dichiarazione di fallimento della B. I. di G.B. & C. s.n.c., avente ad oggetto l'esercizio del commercio di bevande di vario genere, promosso a seguito di varie istanze dei creditori, il Tribunale di Teramo ha sollevato, in relazione all'art. 3 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nella parte in cui non esonera dal fallimento le piccole società commerciali;

che il Tribunale ha osservato come la legge- quadro per l'artigianato dell'8 agosto 1985, n. 443, avrebbe esteso la qualifica di artigiano (e quindi di piccolo imprenditore) anche ai gruppi organizzati in forma di società in nome collettivo, a condizione che le stesse non superino i limiti dimensionali prefissati nella legge, mentre invece analoga disciplina legislativa non sarebbe intervenuta per gli esercenti le piccole attività commerciali in forma di società in nome collettivo;

che ne conseguirebbe per questi ultimi la soggezione al fallimento indipendentemente dalle loro dimensioni con palese ed irrazionale disparità di trattamento fra le due categorie di piccole imprese con violazione del parametro costituzionale stabilito dall'art. 3 della Costituzione, posto che le due categorie di piccole imprese non perseguono finalità di lucro e di profitto, ma solo il procacciamento dei mezzi elementari di sussistenza personale e familiare;

che la questione troverebbe la sua rilevanza nella modesta entità del capitale sociale (complessivamente dieci milioni di lire), nell'esiguo apporto di ciascuno dei soci (quotisti per lire cinque milioni), nella mancanza di dipendenti e, pertanto, nel personale ed esclusivo lavoro dei soci medesimi.

Considerato che questa Corte, con sentenza n. 54 del 1991, ha già dichiarato inammissibile analoga questione;

che l'ordinanza di rimessione non contiene nuove argomentazioni.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 del regio decreto 16 marzo 1942, n.267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), nella parte in cui non esonera dal fallimento le piccole società commerciali, sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Teramo con l'ordinanza in epigrafe.

così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12/01/93.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Francesco GUIZZI, Redattore

Depositata in cancelleria il 19/01/93.