Ordinanza n. 482 del 1992

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ORDINANZA N. 482

ANNO 1992

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-          Prof. Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

-          Dott. Francesco GRECO

-          Prof. Gabriele PESCATORE

-          Avv. Ugo SPAGNOLI

-          Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-          Avv. Mauro FERRI

-          Prof. Luigi MENGONI

-          Prof. Enzo CHELI

-          Dott. Renato GRANATA

-          Prof. Francesco GUIZZI

-          Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 453, 456 e 458 del codice di procedura penale promosso con ordinanza emessa il 19 marzo 1992 dal Tribunale di Ancona nel procedimento penale a carico di Massimo Cingolani iscritta al n. 257 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 20, prima serie speciale dell'anno 1992;

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 19 novembre 1992 il Giudice relatore Enzo Cheli;

RITENUTO che nel corso del procedimento penale a carico di Cingolani Massimo, il Tribunale di Ancona, con ordinanza del 19 marzo 1992 (R.O. n.257 del 1992), ha sollevato, in riferimento all'art. 24 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale nei confronti:

a) degli artt. 453, 456 e 458 c.p.p., nella parte in cui non prevedono che il giudice del dibattimento possa dichiarare l'inammissibilità del giudizio immediato, quando manchi il requisito dell'evidenza della prova a causa della carenza di indagini preliminari, nell'ipotesi in cui dall'erronea valutazione di evidenza della prova discenda la reiezione dell'istanza di giudizio abbreviato, non essendo il processo definibile allo stato degli atti;

b) degli artt. 453 e 456 c.p.p., nella parte in cui non prevedono che il giudice del dibattimento possa dichiarare l'inammissibilità del giudizio immediato, quando la mancanza del requisito dell'evidenza della prova, a causa della carenza di indagini preliminari, influenzi l'ammissibilità dell'applicazione della pena ex art. 444 c.p.p.;

che il giudice a quo rileva che, nel caso di specie, il giudice per le indagini preliminari ha disposto nei confronti dell'imputato il giudizio immediato malgrado la prova non fosse evidente per carenza di indagini, e che - costituendo tale difetto di presupposto per il giudizio medesimo la ragione per la successiva pronuncia di non decidibilità allo stato degli atti con la quale è stata rigettata l'istanza di giudizio abbreviato - il giudice del dibattimento non potrebbe, di conseguenza, effettuare alcuna seria valutazione ai fini della applicazione della riduzione di pena ex art.442, secondo comma, c.p.p.;

che, sempre ad avviso del giudice remittente, nella situazione processuale descritta, la proposizione del giudizio immediato svuoterebbe di contenuto l'avviso all'imputato, previsto dall'art. 456, secondo comma, c.p.p., e la sua facoltà di richiedere il patteggiamento o l'adozione del rito abbreviato, con violazione del suo diritto di difesa;

che nel giudizio ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, per chiedere che le questioni sollevate siano dichiarate inammissibili e comunque infondate.

CONSIDERATO che, per quanto attiene alla questione indicata sub a), il Tribunale remittente ritiene che dalla erronea decisione del giudice per le indagini preliminari in ordine alla evidenza della prova sia conseguita la reiezione dell'istanza di giudizio abbreviato per l'assenza del requisito della decidibilità del processo allo stato degli atti;

che il requisito probatorio necessario per l'instaurazione del giudizio immediato e quello richiesto per il giudizio abbreviato sono tra loro distinti, dal momento che la prova evidente, idonea all'accoglimento da parte del giudice della richiesta di giudizio immediato, è quella che, per la sua sufficienza ai fini del rinvio a giudizio, rende superflua l'effettuazione dell'udienza preliminare, mentre la definibilità del processo allo stato degli atti richiesta per disporre il giudizio abbreviato si fonda sulla completezza dell'intero quadro probatorio e sulla previsione della sua non modificabilità anche ai fini della individuazione delle circostanze del reato e della commisurazione della pena (v. Cass. Sez. unite penali, 21 aprile 1992, n. 22);

che nessuna disposizione del codice di procedura penale consente al giudice del dibattimento di sindacare la valutazione del giudice per le indagini preliminari circa l'evidenza della prova che giustifica il giudizio immediato, mentre le scelte relative all'eventuale introduzione di tale sindacato non potrebbero non rientrare nella discrezionalità del legislatore (v. sent. n. 92 del 1992);

che questa Corte con la sentenza n. 23 del 1992 ha già dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 458, primo e secondo comma, c.p.p.

nella parte in cui non prevede che il giudice, all'esito del dibattimento, ove ritenga che il processo poteva essere definito allo stato degli atti dal giudice per le indagini preliminari, possa applicare la riduzione di pena prevista dall'art. 442, secondo comma, dello stesso codice;

che, pertanto, anche nel giudizio a quo, va riconosciuto al Tribunale il potere di valutare, all'esito del dibattimento, se il giudice per le indagini preliminari abbia fondatamente ritenuto non definibile il processo allo stato degli atti e rigettato la richiesta di giudizio abbreviato, disponendo, nell'ipotesi di valutazione negativa, la prevista riduzione di pena;

che, pertanto, la questione indicata sub a) deve essere dichiarata manifestamente infondata.

che, per quanto concerne la questione sub b), va rilevato che l'ammissibilità del patteggiamento non dipende da una particolare situazione probatoria (evidenza della prova o decidibilità allo stato degli atti), ma da una valutazione di opportunità affidata alle parti e soggetta alla verifica del giudice, con la conseguenza che l'eventuale carenza di indagini non interferisce necessariamente sul controllo che il giudice è chiamato a compiere circa l'ammissibilità della specifica domanda che le parti gli hanno concordemente rivolto;

che, pertanto, anche la questione indicata sub b) deve essere dichiarata manifestamente infondata.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 453, 456 e 458 c.p.p., sollevate, con riferimento all'art. 24 della Costituzione, dal Tribunale di Ancona con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14/12/92.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Enzo CHELI, Redattore

Depositata in cancelleria il 22/12/92.