Sentenza n. 466 del 1992

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SENTENZA N. 466

ANNO 1992

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-          Dott. Aldo CORASANITI, Presidente

-          Prof. Giuseppe BORZELLINO

-          Dott. Francesco GRECO

-          Prof. Gabriele PESCATORE

-          Avv. Ugo SPAGNOLI

-          Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

-          Prof. Antonio BALDASSARRE

-          Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-          Avv. Mauro FERRI

-          Prof. Luigi MENGONI

-          Prof. Enzo CHELI

-          Dott. Renato GRANATA

-          Prof. Giuliano VASSALLI

-          Prof. Francesco GUIZZI

-          Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 38, comma 6, della legge della Regione Lazio 5 maggio 1990, n. 41 ("Approvazione della disciplina contenuta nell'accordo per il triennio 1988-90 riguardante il personale dipendente dalle regioni a statuto ordinario, dagli enti pubblici non economici da esse dipendenti, dagli Istituti autonomi per le case popolari, dai consorzi regionali degli istituti stessi nonchè dai consorzi e dai nuclei per le aree di sviluppo industriale"), promosso con ordinanza emessa il 12 dicembre 1991 dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio sui ricorsi riuniti proposti da Ajello Salvatore, ed altri, contro l'Istituto autonomo case popolari della provincia di Roma, ed altra, iscritta al n. 253 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 20, prima serie speciale, dell'anno 1992.

Visti gli atti di costituzione di Ajello Salvatore, ed altri, e di Minà Giovanni, ed altri, nonchè l'atto di intervento del Presidente della Giunta della Regione Lazio;

udito nell'udienza pubblica del 20 ottobre 1992 il Giudice relatore Francesco Guizzi;

uditi gli avvocati Federico Sorrentino per Ajello Salvatore, ed altri, e Giampiero Pallotta per Minà Giovanni, ed altri e l'avvocato dello Stato Luigi Criscuoli per la Regione Lazio.

Ritenuto in fatto

1. Gli avvocati Salvatore Ajello, Giovanni Minà ed altri, tutti "professionisti legali" presso l'Istituto autonomo case popolari della provincia di Roma, hanno adito il T.A.R. del Lazio per ottenere l'annullamento delle delibere adottate dalla Giunta regionale del Lazio il 26 febbraio, il 5 marzo e il 25 marzo 1991, in sede di controllo di legittimità su altrettante delibere del Consiglio di amministrazione dell'Istituto autonomo case popolari di Roma (in particolare, la delibera della Giunta regionale del 26 febbraio 1991 approvava solo parzialmente la deliberazione dell'I.A.C.P. di Roma del 27 novembre 1990, concernente l'attuazione degli istituti contrattuali regolamentati dalla legge regionale 5 maggio 1990, n. 41).

Il Tribunale adito ha annullato, con decisione parziale (n. 208 del 1992), la delibera del 25 marzo 1991, mentre ha sospeso il giudizio sulle altre per sollevare questione di legittimità costituzionale con riguardo all'art. 38, comma 6, della legge regionale n. 41 del 1990.

Con il citato art. 38, la Regione Lazio ha recepito la corrispondente disposizione dell'accordo sindacale per il comparto degli enti locali per il triennio 1988-1990. Detto adeguamento, secondo il Tribunale rimettente, sarebbe stato effettuato a danno dei dirigenti di prima qualifica dell'Istituto, avendo la legge regionale salvaguardato solo i dirigenti direttamente dipendenti dalla regione.

Mentre l'accordo assume come elemento di distinzione tra i dirigenti l'essere o no preposto alla direzione di struttura o di staff (art.38, comma 3, d.P.R. n. 333 del 1990), l'art. 38, comma 6, richiama, oltre alla "direzione di struttura", le "posizioni" previste dall'art. 4 della legge regionale 11 aprile 1985, n. 36.

Tali posizioni, sostiene il giudice a quo, possono essere conferite attualmente solo ai dirigenti regionali, e non anche a quelli dell'Istituto autonomo: esse sono infatti previste per lo svolgimento di compiti di studio, ispettivi e di controllo presso il Consiglio regionale e la Giunta regionale (art. 4 della legge regionale n. 36 del 1985). In applicazione dell'art. 4 di tale legge n. 36, sono state poi istituite dieci "posizioni di studio" presso la Giunta regionale - riservate in via ordinaria al settore "avvocatura" - da attribuire a funzionari della prima qualifica dirigenziale, ai sensi dell'art. 14 della legge n. 36 del 1985.

Queste "posizioni di studio", prosegue il rimettente, non possono essere istituite, con delibera del Consiglio d'amministrazione, presso l'ufficio legale dell'Istituto autonomo case popolari, proprio perchè l'art.38, comma 6, della legge regionale n. 41 del 1990 non estende ai dirigenti dell'Istituto l'art. 4 della legge n. 36, più volte menzionata.

(Di tale estensione verrebbero a beneficiare i ricorrenti in virtù della delibera del Consiglio di amministrazione dell'Istituto del 27 novembre 1990).

Il T.A.R. del Lazio sospetta, innanzitutto, la violazione del principio di eguaglianza: gli avvocati dell'ufficio legale dello I.A.C.P. di Roma - equiparati a tutti gli effetti ai dirigenti di prima qualifica - subirebbero un trattamento deteriore rispetto ai colleghi dell'Avvocatura regionale, senza alcuna ragionevole giustificazione.

Vi sarebbe altresì lesione del principio di buon andamento di cui all'art.97 della Costituzione: i ricorrenti, che hanno usufruito fino al 30 settembre 1990 di un trattamento giuridico ed economico comprensivo dell'indennità, la verrebbero a perdere dal 1 ottobre 1990, per cui si potrebbero determinare "situazioni di tensione, con pregiudizio del buon andamento degli uffici".

2. Si è costituito il Presidente della Giunta della Regione Lazio, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'infondatezza della questione.

Ricorda l'insegnamento di questa Corte in ordine alla discrezionalità del legislatore per quanto tiene alla previsione di trattamenti retributivi diversi e della loro decorrenza (ord. n. 836 del 1988, sent. nn.138 del 1979, 138 del 1977 e 92 del 1975).

Nel merito, osserva che la legge regionale 29 agosto 1991, n. 41, ha stabilito la dotazione organica delle qualifiche dirigenziali degli Istituti autonomi per le case popolari del Lazio prevedendo, per l'Istituto di Roma, 4 dirigenti di seconda qualifica e 19 dirigenti di prima qualifica, incrementati di 14 "posizioni di studio" (v. la tabella B dalla legge regionale n. 41 del 1991).

Ora, la legge regionale n. 41 del 1990 (art. 38, comma 3) conferisce alle singole amministrazioni - compresi gli Istituti autonomi case popolari (v. l'art. 1, comma 2, della stessa legge) - il potere di applicare la norma in questione, individuando i coefficienti dell'indennità da attribuire alle diverse funzioni, entro il limite di quanto determinato per i dirigenti regionali di pari qualifica.

Non sarebbe dunque fondato il dubbio di costituzionalità di detto art. 38, comma 6.

3. Si sono costituite le parti private.

Gli avvocati Ajello ed altri ricordano che, in base alla decisione parziale del T.A.R. adito n. 208 del 1992, il d.P.R. n. 268 del 1987 e la legge regionale n. 41 del 1990 devono interpretarsi nel senso che sono fatti salvi i profili professionali e gli inquadramenti previgenti (e, dunque, anche il ruolo legale dello I.A.C.P. di Roma, con il correlativo trattamento economico).

Essi ritengono che non sia conferente - quale norma applicabile al caso di specie - l'art. 38, comma 6, della legge n. 41 del 1990.

Equiparati, grazie alla sentenza parziale n. 208 del 1992, i professionisti legali dell'Istituto ai dirigenti di prima qualifica, erano da applicarsi non il comma 6, ma i commi 1 e 3 del citato art. 38. La questione di costituzionalità dovrebbe quindi ritenersi irrilevante.

Gli avvocati Minà ed altri, a loro volta, ricordano che la Giunta regionale ha annullato la delibera del Consiglio di amministrazione dell'Istituto autonomo di Roma soltanto su due specifici punti, confermando che spetta all'Istituto di determinare - ai sensi del comma 3 dell'art. 38 - i criteri per l'individuazione dei coefficienti dell'indennità, con il solo limite di non superare quelli fissati per i dirigenti regionali di pari qualifica.

Considerato in diritto

1. Dubita il T.A.R. del Lazio, III sezione, della legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 3 e 97 della Costituzione, dell'art. 38, comma 6, della legge della Regione Lazio 5 maggio 1990, n.41, nella parte in cui non prevede che ai dirigenti di prima qualifica dell'Istituto autonomo case popolari di Roma (e soggetti equiparati), sia applicato l'art. 4 della legge regionale 11 aprile 1985, n. 36, che istituisce posizioni di studio, ricerca, ispettive e di controllo.

L'Istituto autonomo non potrebbe riconoscere queste "posizioni" ai suoi dirigenti di prima qualifica (ed equiparati) che verrebbero così discriminati ingiustamente rispetto ai dirigenti regionali di pari qualifica, con lesione dei precetti costituzionali prima individuati.

2. Il giudice a quo non rileva, però, che lo stesso art. 38 della legge regionale n. 41 del 1990, al comma 3, conferisce alle <<singole amministrazioni destinatarie della legge>> il potere di individuare parametri e criteri delle varie indennità da corrispondere ai suoi dirigenti, entro il limite dei coefficienti stabiliti per i dirigenti regionali di pari qualifica.

La stessa legge n. 41 del 1990 chiarisce che fra le <<amministrazioni destinatarie>> vi sono gli enti pubblici non economici dipendenti dalla regione, ivi compresi gli istituti autonomi case popolari (art. 1, comma 2).

Spetta dunque all'Istituto autonomo case popolari determinare - considerate le modalità previste dal suo ordinamento interno - le singole indennità da corrispondere ai dirigenti, secondo gli incarichi loro conferiti.

Nè vale obiettare che ai dirigenti di prima qualifica degli istituti autonomi case popolari non possono riconoscersi quelle <<posizioni di studio, di ricerca, ispettive e di controllo>> di cui all'art. 4 della legge regionale n. 36 del 1985, con evidenti riflessi negativi sul regime delle indennità. Come ha ricordato l'Avvocatura dello Stato, una recente legge regionale (n. 41 del 1991, tabella B) ha previsto, proprio per l'Istituto autonomo di Roma, 14 posizioni di studio, integrando così, nella sostanza, l'originaria previsione dell'art. 4 della legge regionale n.36 del 1985.

3. Ai fini del giudizio di merito, è dunque inconferente il dubbio di costituzionalità dell'art. 38, comma 6, della citata legge n. 41 del 1990, nei termini prospettati dal T.A.R. del Lazio.

Risultando irrilevante la questione proposta, essa va dichiarata inammissibile.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art.38, comma 6, della legge della Regione Lazio 5 maggio 1990, n. 41 ("Approvazione della disciplina contenuta nell'accordo per il triennio 1988-90 riguardante il personale dipendente dalle regioni a statuto ordinario, dagli enti pubblici non economici da esse dipendenti, dagli Istituti autonomi per le case popolari, dai consorzi regionali degli istituti stessi nonchè dai consorzi e dai nuclei per le aree di sviluppo industriale"), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, dal T.A.R. del Lazio, III sezione, con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 05/11/92.

Aldo CORASANITI, Presidente

Francesco GUIZZI, Redattore

Depositata in cancelleria il 19/11/92.