Sentenza n. 464 del 1992

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SENTENZA N. 464

ANNO 1992

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-          Dott. Aldo CORASANITI, Presidente

-          Prof. Giuseppe BORZELLINO

-          Dott. Francesco GRECO

-          Prof. Gabriele PESCATORE

-          Avv. Ugo SPAGNOLI

-          Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

-          Prof. Antonio BALDASSARRE

-          Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-          Avv. Mauro FERRI

-          Prof. Luigi MENGONI

-          Prof. Enzo CHELI

-          Dott. Renato GRANATA

-          Prof. Giuliano VASSALLI

-          Prof. Francesco GUIZZI

-          Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 708 del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 12 ottobre 1991 dal Pretore di Brescia nel procedimento penale a carico di Mosca Franca, iscritta al n. 35 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7, prima serie speciale, dell'anno 1992.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 15 aprile 1992 il Giudice relatore Francesco Guizzi.

Ritenuto in fatto

1. Nel corso del procedimento penale a carico di Mosca Franca il Pretore di Brescia ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'art.708 del codice penale per contrasto con l'art. 25, secondo comma, o in subordine, con l'art. 42, ovvero, in via ulteriormente subordinata, con l'art. 24, secondo comma, della Costituzione.

Afferma il remittente che, pur essendo già stata decisa con precedenti pronunce della Corte, la questione di legittimità costituzionale della norma indicata in epigrafe deve essere nuovamente sollevata sotto altri e nuovi profili.

Il primo profilo di contrasto andrebbe posto con riferimento all'art. 25, secondo comma, della Costituzione, ove si prevede che ogni reato deve essere caratterizzato da un <<fatto commesso>> e, dunque, da una condotta omissiva o commissiva.

Nella specie, invece, la norma verrebbe a incriminare soltanto il <<mero sospetto>>, cioè <<una situazione individuale, che di per sè stessa non costituisce infrazione di alcun comando o divieto penale, ma che è incriminata solo per il sospetto che desta>>.

Il secondo profilo di contrasto emergerebbe dalla comparazione fra le ben diverse situazioni del possessore degli strumenti indicati nell'articolo 707 del codice penale e quello del possessore dei valori indicati nell'articolo 708 dello stesso codice. Mentre sarebbe concepibile un divieto di detenere gli strumenti atti ad aprire o forzare serrature (così come è previsto quello di detenere gli strumenti atti a offendere la persona), poichè tale divieto, pur non essendo di per sè offensiva una siffatta condotta, sarebbe ispirato alla giusta esigenza di ostacolare la commissione di altri reati, non altrettanto potrebbe dirsi per la detenzione del denaro. Non sarebbe concepibile, infatti, una sanzione per il possesso del denaro di cui non si sia accertata l'illegittima provenienza, giacchè tale possesso costituirebbe una situazione soggettiva costituzionalmente garantita e dunque, oltre a difettare una vera e propria condotta criminosa, il divieto si porrebbe in netto contrasto con l'art. 42 della Costituzione.

Qualora, poi, si ritenesse di includere nella condotta incriminata il rifiuto di fornire giustificazioni circa la provenienza del denaro (e delle altre cose indicate nell'art. 708 del codice penale), si finirebbe per far collidere la norma con la disposizione prevista dal secondo comma dell'art.24 della Costituzione. In tal caso, infatti, la norma sanzionerebbe il rifiuto di confessare modi illegittimi di acquisto delle suddette cose, ponendosi in contrasto con il principio del nemo tenetur se detegere che non potrebbe non essere ricompreso nel diritto costituzionale di difesa.

2. Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dell'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo dichiararsi l'inammissibilità o l'infondatezza della questione.

Ha osservato l'Avvocatura che il profilo del contrasto con l'art.25, secondo comma, della Costituzione è già stato confutato nella sentenza n.110 del 1968 della Corte, dove si è rilevata la rispondenza della fattispecie di cui all'art. 708 del codice penale all'esigenza della precisa indicazione del fatto punibile.

Non sembrerebbe pertinente, a dire dell'Avvocatura, neppure il riferimento all'art. 42 della Costituzione, poichè la tutela accordata alla proprietà privata non vieterebbe di sanzionare i modi illegali della sua acquisizione: e, anzi, lo esigerebbe, com'è disposto ad esempio nelle ipotesi di ricettazione o di riciclaggio.

Non sarebbe infine violato neppure il diritto di difesa, poichè l'art. 708 del codice penale limiterebbe l'onere alla mera giustificazione e non invece alla prova, bastando, a compensare il rapporto squilibrato tra possesso e stato soggettivo del possessore, la mera allegazione della provenienza del bene.

Considerato in diritto

1. Il Pretore di Brescia dubita della legittimità costituzionale dell'art.708 del codice penale, in riferimento sequenziale ai parametri costituiti dall'art. 25, secondo comma, o in subordine dall'art. 42 o, in via ulteriormente subordinata, dall'art. 24, secondo comma, della Costituzione.

2. La questione, come sollevata, è costituita da tre doglianze fra loro diverse, che risultano proposte la prima in via principale e le altre due in via fra loro ulteriormente subordinata. Così puntualizzato, l'ordine delle questioni si presenta lineare ed ammissibile, come peraltro questa Corte ha già affermato per una situazione simile, caratterizzata da una graduazione del petitum effettuata dal giudice a quo (sent. n. 469 del 1988).

In un caso identico, peraltro, la stessa Corte ha asserito che nei dedotti motivi in via gradata <<non è dato ravvisare un rapporto di pregiudizialità, data la loro indipendenza logica>> onde potrebbe essere <<opportuno invertire l'ordine col quale erano stati originariamente enunciati>> (sent. n.34 del 1961).

Le questioni sottoposte dal Pretore di Brescia sono fra loro del tutto indipendenti sul piano logico e possono, dunque, essere esaminate anche in un ordine diverso da quello suggerito dal remittente.

3. Con l'ordinanza in epigrafe viene riproposta una questione che ha già formato oggetto di esame da parte di questa Corte (sentt. nn. 14 del 1971 e 110 del 1968 e ordinanze nn. 65 del 1981 e 88 del 1972).

Se si prescinde dalla prima decisione (n. 110 del 1968), che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della norma impugnata nella parte in cui fa richiamo alle condizioni personali di condannato per mendicità, di ammonito, di sottoposto a misura di sicurezza personale e a cauzione di buona condotta, la Corte ha sempre rigettato, o dichiarato inammissibili, le questioni riproposte dai giudici a quibus.

A seguito di quel primo intervento decisorio, che ha espunto la parte della norma penale incriminatrice relativa alle figure soggettive originarie (i cui antecedenti storici, riferibili ai vagabondi e ai mendicanti, sono da ricercarsi nell'art. 278 del codice napoleonico del 1810), l'attuale area della norma è tornata a essere quella, soggettivamente ben più ristretta, che caratterizzava il codice Zanardelli del 1889 (art. 492).

La Corte, tuttavia, non ha mai ritenuto determinanti le censure, pure sollevate dai giudici a quibus con riferimento agli art. 25, secondo comma, 27, secondo e terzo comma (sent. nn. 14 del 1971 e n. 110 del 1968, ord. n. 65 del 1981), e all'art. 24, secondo comma, della Costituzione (ord. n. 88 del 1972), vale a dire a quasi tutti gli stessi parametri o agli argomenti indicati nell'ordinanza in epigrafe. Non del tutto nuovi, per vero, eccettuato quello di cui all'art. 42 della Carta costituzionale.

4. In particolare, questa Corte ha reputato priva di pregio la tesi, sostenuta nell'ordinanza con riferimento all'art. 25, secondo comma, della Costituzione, secondo cui la norma tende ad incriminare il <<mero sospetto>> di un diverso reato non dimostrabile aliunde ed a punire, per tale sospetto, chi si trovi in una siffatta, evanescente situazione. La norma, al contrario, <<presuppone una necessaria condotta, di cui il possesso attuale di determinate cose, che, quoad personam, inducono al sospetto, non è che una conseguenza>> (sent. 14 del 1971).

Nè migliore considerazione ha già ricevuto l'argomento dell'inversione dell'onere della prova nell'accertamento della responsabilità per questo tipo di reato. Esso, pur prospettato in riferimento alla asserita violazione dell'art. 27, secondo comma, della Costituzione, è stato già disatteso da questa Corte in considerazione del fatto che la norma incriminatrice non esige << la prova della legittimità della destinazione e della provenienza, limitandosi, invece, a pretendere una attendibile e circostanziata spiegazione, da valutarsi in concreto nelle singole fattispecie, secondo i principi della libertà delle prove e del libero convincimento, i quali, ovviamente, si atteggeranno in modo diverso a seconda che si tratti ... di somme ingenti o di cose pregiate e rare oppure di somme modeste o di cose correnti>> (sent. n. 14 del 1971).

5. Questa Corte, insomma, nel ribadire la giustezza delle argomentazioni sopra riportate non può non sottolinearne anche l'attualità delle molteplici e mutevoli forme con le quali <<lo svolgimento di iniziative economiche>> viene a collegarsi <<ad attività criminali>> (ord. n.105 del 1989). In questa medesima linea ispiratrice la Corte ha dichiarato la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionali di alcune disposizioni relative alle misure di prevenzione in quanto poste a salvaguardia della genuinità dei traffici economici e della corretta osservanza delle regole del mercato (ord. nn. 105 del 1989 e 675 del 1988).

É stato rilevato infatti, che <<la ratio>> di queste disposizioni consiste nell'<<impedire, anche in relazione alle predette fattispecie, l'eventuale ingresso nel mercato del denaro ricavato dall'esercizio di attività delittuose o di traffici illeciti>> (ord. n. 675 del 1988).

Con tale osservazione si palesa pure l'infondatezza dell'ultimo dei profili della ipotizzata illegittimità della norma, in riferimento all'art. 42 della Costituzione, atteso che l'art. 708 del codice penale, al pari delle misure antimafia predette, sia pure su un diverso versante della legislazione, tende a far conseguire, ai soggetti privati, l'unico possibile corretto significato del diritto di proprietà, invocato con il riferimento alla norma parametro.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.708 del codice penale, sollevata, in riferimento agli artt. 25, secondo comma, 42 e 24, secondo comma, della Costituzione, dal Pretore di Brescia con l'ordinanza di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 05/11/92.

Aldo CORASANITI, Presidente

Francesco GUIZZI, Redattore

Depositata in cancelleria il 19/11/92.