Ordinanza n. 448 del 1992

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ORDINANZA N. 448

ANNO 1992

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-          Dott. Aldo CORASANITI, Presidente

-          Prof. Giuseppe BORZELLINO

-          Dott. Francesco GRECO

-          Prof. Gabriele PESCATORE

-          Avv. Ugo SPAGNOLI

-          Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

-          Prof. Antonio BALDASSARRE

-          Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-          Prof. Luigi MENGONI

-          Prof. Enzo CHELI

-          Dott. Renato GRANATA

-          Prof. Giuliano VASSALLI

-          Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 147, secondo comma, del codice penale militare di pace, promossi con quattro ordinanze emesse il 1 aprile, il 27 maggio (n. 2 ordinanze) ed il 28 maggio 1992 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale militare di Roma nei procedimenti penali a carico di Troya Ciro, Ragozzino Massimo, Malcotti Renzo e Vicanò Alessandro, rispettivamente iscritte ai nn. 250, 360, 361 e 362 del registro ordinanze 1992 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 20 e 29, prima serie speciale, dell'anno 1992.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 21 ottobre 1992 il Giudice relatore Francesco Paolo Casavola.

RITENUTO che nel corso di alcuni procedimenti penali per il reato di ritardata presentazione in servizio -- in cui gli imputati ed il P.M. avevano richiesto l'applicazione della pena di un mese di reclusione ex art.444 c.p.p. -- il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale militare di Roma, con quattro identiche ordinanze emesse tra il 1° aprile ed il 28 maggio 1992, ha sollevato, in relazione agli artt.3, 13, 25 e 27, terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 147, secondo comma, del codice penale militare di pace, ove si sanziona penalmente la condotta del militare il quale, legittimamente assente, non si presenti senza giustificato motivo nel giorno successivo a quello prefisso;

che, secondo il giudice rimettente, la norma censurata, non rintracciabile nel previgente codice penale militare del 1869, verrebbe a ledere il principio di proporzionalità tra gravità del fatto e conseguenze sanzionatorie, in quanto, malgrado il carattere primario dell'interesse tutelato, sarebbe evidente che il giudizio di disvalore collegato a ritardi da uno a quattro giorni nella presentazione al reparto non presenterebbe i connotati di riprovevolezza tipici dell'illecito penale;

che, a parere del giudice a quo, risulterebbero altresì vanificate le finalità rieducative della pena -- la quale non dovrebbe mai esplicarsi nei confronti di comportamenti, quale quello in argomento, privi del carattere di antisocialità -- ed il principio di necessaria offensività della condotta;

che, inoltre, risalterebbe la minore gravità -- e quindi l'irragionevolezza dell'equiparazione sul piano sanzionatorio -- rispetto all'ipotesi di allontanamento illecito di cui al primo comma dell'impugnato art. 147 c.p.m.p., mentre la previsione della pena detentiva sarebbe del tutto irragionevole se confrontata a reati ben più gravi puniti con la pena detentiva nella misura minima di un mese;

che residuerebbero infine ulteriori profili di disparità di trattamento rispetto al personale della Polizia di Stato od ai Vigili del Fuoco per i quali non sussistono ipotesi assimilabili all'impugnato art. 147, secondo comma, nonchè in confronto con l'ipotesi (ex art. 151 c.p.m.p.) di mancanza alla chiamata in cui il ritardo penalmente rilevante è di cinque giorni;

che è intervenuto -- con atti identici in tutti i giudizi -- il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, la quale ha preliminarmente osservato come la norma sia stata già scrutinata in positivo da questa Corte (cfr. ordinanza n. 495 del 1991), sia pure sotto la diversa ottica della richiesta del Comandante di corpo;

che l'Avvocatura rileva nel merito come la norma -- la cui eventuale modifica o soppressione spetterebbe sempre al legislatore -- tuteli l'interesse primario alla prestazione del servizio militare obbligatorio, la cui lesione ben può essere sanzionata con il minimo edittale.

CONSIDERATO che i giudizi, per l'identità della questione, possono essere riuniti e decisi con un unico provvedimento;

che questa Corte, anche con specifico riferimento a norme contenute nel codice penale militare di pace, ha in più occasioni sottolineato come le valutazioni relative alla proporzione tra la pena prevista ed il fatto contemplato rientrino nell'ambito della discrezionalità legislativa, con il limite della ragionevolezza (sentenze n. 26 del 1979; n. 72 del 1980; n.103 del 1982; n. 49 del 1989 e n. 299 del 1992);

che nell'ipotesi de qua sono state individuate nello stesso modello di genere più fattispecie diverse per struttura e disvalore, attraverso una qualificazione di illecito adeguata alla tutela dell'interesse della presenza alle armi;

che il trattamento sanzionatorio è stato articolato in modo da consentire al giudice di far emergere la differenza tra le varie sottospecie graduando in concreto la pena nell'ambito dei minimi edittali (sentenza n.285 del 1991);

che il meccanismo della procedibilità a richiesta del Comandante di corpo -- ex art. 260 c.p.m.p. -- assicura un'ulteriore garanzia di congruità del sistema delle sanzioni rispetto alla specifica gravità del fatto (ordinanza n. 495 del 1991);

che la censurata previsione della reclusione militare risulta del tutto conforme al carattere proprio della pena detentiva militare, consistente in una finalità rieducativa "funzionalizzata" al recupero al servizio e più in generale al dovere di difesa della Patria (sentenza n. 414 del 1991);

che, infine, la specialità dell'ordinamento militare e la peculiarità della situazione soggettiva di chi è tenuto alla prestazione del servizio escludono la possibilità di richiamare quali tertia comparationis i regimi di altre categorie;

che la questione è quindi manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 147, secondo comma, del codice penale militare di pace, sollevata, in relazione agli artt. 3, 13, 25 e 27, terzo comma, della Costituzione, dal Tribunale militare di Roma con le ordinanze di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 02/11/92.

Aldo CORASANITI, Presidente

Francesco Paolo CASAVOLA, Redattore

Depositata in cancelleria il 13/11/92.