Ordinanza n. 447 del 1992

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ORDINANZA N. 447

ANNO 1992

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-          Dott. Aldo CORASANITI, Presidente

-          Prof. Giuseppe BORZELLINO

-          Dott. Francesco GRECO

-          Prof. Gabriele PESCATORE

-          Avv. Ugo SPAGNOLI

-          Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

-          Prof. Antonio BALDASSARRE

-          Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-          Prof. Luigi MENGONI

-          Prof. Enzo CHELI

-          Dott. Renato GRANATA

-          Prof. Giuliano VASSALLI

-          Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 6, settimo comma, del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463 (Misure urgenti in materia previdenziale e sanitaria e per il contenimento della spesa pubblica, disposizioni per vari settori della pubblica amministrazione e proroga di taluni termini), convertito, con modificazioni, in legge 11 novembre 1983, n. 638, dell'art. 4, primo comma, del decreto-legge 21 gennaio 1992, n. 14 (Misure urgenti in campo economico ed interventi in zone terremotate), dell'art. 4, primo comma, del decreto-legge 20 marzo 1992, n. 237 e dell'art. 4, primo comma, del decreto-legge 20 maggio 1992, n. 293, promossi con ordinanze emesse il 19 febbraio 1992 dal Tribunale di Genova (n. 2 ordinanze), il 1 aprile 1992 dal Tribunale di Genova, il 28 aprile 1992 dal Tribunale di Treviso, il 26 maggio 1992 dalla Corte di cassazione ed il 19 marzo 1992 dal Tribunale di Ravenna, rispettivamente iscritte ai nn. 242, 243, 311, 347, 355 e 378 del registro ordinanze 1992 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 20, 25, 28 e 29, prima serie speciale, dell'anno 1992.

Visti gli atti di costituzione di Cavanna Francesca, Sella Adelia ed altra, Canneva Caterina, Berintelli Domenica ed altre, dell'I.N.P.S.

nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 21 ottobre 1992 il Giudice relatore Francesco Paolo Casavola.

RITENUTO che nel corso di un giudizio -- in cui i ricorrenti, titolari di pensioni dirette integrate al minimo, avevano richiesto la condanna dell'I.N.P.S. al pagamento dei ratei arretrati d'integrazione al minimo di un secondo trattamento -- il Tribunale di Genova, con ordinanza emessa il 19 febbraio 1992 (R.O. n. 242 del 1992), ha sollevato, in relazione agli artt.77, secondo comma, 101, secondo comma, 104, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, primo comma, del decreto-legge 21 gennaio 1992, n. 14;

che tale norma, nell'interpretare l'art. 6 del decreto-legge n. 463 del 1983 (convertito, con modificazioni, in legge 11 novembre 1983, n.638) nel senso di conservare, dal 1 ottobre 1983, l'integrazione al minimo su una sola pensione (escludendo la "cristallizzazione" dell'integrazione fino a quel momento spettante sulla seconda pensione) sarebbe intervenuta, secondo il Tribunale, per smentire la consolidata giurisprudenza di legittimità, che aveva affermato l'opposto principio della cristallizzazione;

che argomentando, anche sulla scorta dei lavori preparatori del citato art.6, nel senso della illegittimità di un ridimensionamento del reddito previdenziale, siffatto orientamento era poi divenuto diritto vivente a seguito della sentenza n. 418 del 1991 in cui la Corte costituzionale era giunta ad analoghe conclusioni;

che, a parere del giudice a quo, risulterebbero lese le prerogative della magistratura, cui compete l'interpretazione della legge ed alla quale viene viceversa imposto un criterio ermeneutico, atto a vanificare quanto deciso, oltretutto attraverso lo strumento del decreto-legge, ma in carenza dei presupposti richiesti dall'art. 77, secondo comma, della Costituzione;

che, inoltre, il "taglio" del trattamento pensionistico renderebbe evidente la violazione dell'art. 38 della Costituzione;

che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, pregiudizialmente rilevando la decadenza dell'impugnato decreto-legge per mancata conversione, ed esprimendo nel merito dubbi sull'efficacia vincolante (per il legislatore) della citata sentenza di questa Corte n. 418 del 1991;

che si sono costituite le parti private Cavanna, Sella, Bordone, Canneva e Peruzzo, aderendo alle argomentazioni svolte nell'ordinanza di rimessione ed in particolare chiedendo che, ex art. 27 della legge n. 87 del 1953, l'invocata declaratoria d'illegittimità venga a colpire i decreti successivi a quello impugnato, riproduttivi del medesimo;

che le parti pongono altresì in risalto l'assurdità di una norma asseritamente interpretativa intervenuta ad otto anni dalla disposizione da interpretare, in presenza di una consolidata ed univoca giurisprudenza, norma che costituirebbe "uno scorretto mezzo" per sottrarre al potere giudiziario, attraverso la retroattività propria dell'interpretazione autentica, il compito di applicare la legge;

che, con ordinanza emessa nella stessa data del 19 febbraio 1992 (R.O. n.243 del 1992), il Tribunale di Genova ha sollevato, in altro giudizio, identica questione di legittimità costituzionale;

che, del pari, identico è il tenore dell'atto d'intervento dell'Avvocatura dello Stato e della memoria della parte privata Amadon, costituitasi nel giudizio dinanzi a questa Corte;

che l'art. 4, primo comma, del decreto-legge 20 marzo 1992, n. 237, integralmente riproduttivo dell'art. 4, primo comma, del decreto-legge n.14 del 1992, è sospettato d'illegittimità costituzionale, in relazione agli artt. 77, secondo comma, 101, secondo comma, 104, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione sempre dal Tribunale di Genova;

che lo stesso Tribunale di Genova, con ordinanza emessa il 1° aprile 1992 (R.O. n. 311 del 1992), attraverso argomentazioni del tutto analoghe a quelle più sopra illustrate, richiama la propria ordinanza precedente relativa al decreto-legge n. 14 del 1992 e ricorda, a sostegno della non manifesta infondatezza della questione, come la norma, già inserita nel disegno di legge "finanziaria", ma "bocciata" dalla Camera, sia stata proposta nella forma del decreto-legge, in violazione dei requisiti imposti dall'art. 77 della Costituzione;

che, preso atto dell'intervenuta decadenza -- per mancata conversione del decreto-legge n. 14 del 1992 -- e della integrale riproduzione, nel successivo decreto-legge n. 237 del 1992, della norma impugnata, sempre sub art. 4, primo comma, il giudice a quo insiste sull'uso improprio del decreto-legge e sull'ulteriore profilo lesivo del citato art. 77 della Costituzione conseguente alla reiterazione di tale provvedimento (a fortiori allorchè il contenuto rimanga sempre identico);

che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, che ha depositato il medesimo atto di cui sopra;

che nel giudizio dinanzi a questa Corte si è costituita la parte privata Mondino, insistendo per la declaratoria di illegittimità, con le stesse motivazioni di cui all'ordinanza di rimessione;che anche il Tribunale di Treviso con ordinanza emessa il 28 aprile 1992 (R.O. n. 347 del 1992), ha sollevato questione di legittimità del combinato disposto dell'art. 6, settimo comma, del decreto- legge 12 settembre 1983, n. 463 (convertito, con modificazioni, in legge 11 novembre 1983, n. 638) e dell'art. 4, primo comma, del decreto-legge 20 marzo 1992, n. 237, in relazione ai soli artt. 3 e 38, secondo comma, della Costituzione;

che il giudice a quo osserva come il legislatore avesse parametrato il trattamento pensionistico, in caso di più pensioni integrate al minimo, sul principio della "cristallizzazione" del trattamento non più soggetto ad integrazione a partire dal 1° ottobre 1983;

che tale soluzione -- contenuta nel citato art. 6 e legittimata poi e dalla Corte di cassazione e da questa Corte -- non potrebbe essere ora smentita senza ledere la garanzia dell'adeguatezza dei mezzi e lo stesso principio di ragionevolezza;

che l'atto d'intervento dell'Avvocatura è il medesimo degli altri giudizi;

che si è costituita la parte privata Abate chiedendo la declaratoria d'illegittimità costituzionale della norma impugnata e "delle successive";

che il Tribunale di Ravenna, con ordinanza emessa il 19 marzo 1992 (R.O. n.378 del 1992), ha sollevato questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dei citati artt. 6, settimo comma, del decreto-legge n.463 del 1983 e 4, primo comma, del decreto-legge n. 14 del 1992, in relazione agli artt. 3 e 38 della Costituzione, sinteticamente motivando attraverso il richiamo alla sentenza n. 418 del 1991 di questa Corte;

che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, che, dopo aver eccepito l'inammissibilità per mancata conversione, ha sottolineato che rientra nella discrezionalità del legislatore introdurre norme interpretative e retroattive;

che infine la Corte di cassazione, con ordinanza emessa il 26 maggio 1982, ha nuovamente sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art.6, settimo comma, del decreto-legge n. 463 del 1983 e della norma d'interpretazione autentica -- questa volta contenuta nell'art. 4, primo comma, del decreto-legge 20 maggio 1992, n. 293 -- svolgendo motivazioni che ricalcano quelle svolte in una precedente ordinanza di rimessione, riferita al "primo" decreto-legge n. 14 del 1992, e adducendo l'ulteriore profilo, connesso alla lesione dell'art. 77 della Costituzione, per cui la reiterazione del decreto-legge susciterebbe gravi dubbi relativamente agli equilibri istituzionali ed ai principi costituzionali;

che è intervenuta, per il Presidente del Consiglio dei ministri, l'Avvocatura dello Stato, rilevando l'identità della questione rispetto a quella sollevata con ordinanza n. 127 del 1992 e richiamandosi all'intervento in tale occasione spiegato;

che nel giudizio dinanzi a questa Corte si sono costituiti la ricorrente e l'I.N.P.S., la prima insistendo per la declaratoria d'illegittimità, l'Istituto per la manifesta infondatezza, argomentando dalla natura assistenziale dell'integrazione pur riconoscendone la "funzione" previdenziale.

che, in particolare parrebbe ragionevole alla parte privata che il legislatore abbia deciso la riduzione del trattamento integrato (peraltro già desumibile dal disposto del più volte citato art. 6 del decreto-legge n. 463 del 1983).

CONSIDERATO che le questioni, concernenti le medesime censure, ed aventi ad oggetto la stessa norma, sia pur contenute in diverse disposizioni, possono essere congiuntamente decise;

che il decreto-legge 21 gennaio 1992, n. 14, recante l'interpretazione dell'art. 6, settimo comma, del decreto-legge 12 settembre 1983, n.463 -- convertito, con modificazioni, in legge 11 novembre 1983, n. 638 -- censurata dai giudici a quibus in quanto antitetica a quella asserita da questa Corte con la sentenza n. 418 del 1991, non è stato convertito in legge entro il termine di sessanta giorni dalla sua pubblicazione, come risulta dal comunicato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 68 del 21 marzo 1992;

che in analoga decadenza sono incorsi anche i successivi decreti-legge nn.237 e 293 del 1992, riproduttivi della norma impugnata (cfr.rispettivamente, Gazzetta Ufficiale n. 117 del 21 maggio 1992 e n.170 del 21 luglio 1992;

che, da ultimo, anche il decreto-legge 21 luglio 1992, n. 345, il cui art.5, primo comma, riproponeva per la quarta volta il censurato art. 4 del decreto-legge n. 14 del 1992, non è stato convertito nel termine (come da Gazzetta Ufficiale n. 185 del 7 agosto 1992) e non è stato più replicato;

che, pertanto, per consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr. ordinanza n. 390 del 1992) la questione dev'essere dichiarata manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 6, settimo comma, del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463 (Misure urgenti in materia previdenziale e sanitaria e per il contenimento della spesa pubblica, disposizioni per vari settori della pubblica amministrazione e proroga di taluni termini), convertito, con modificazioni, in legge 11 novembre 1983, n. 638, dell'art. 4, primo comma, del decreto-legge 21 gennaio 1992, n. 14 (Misure urgenti in campo economico ed interventi in zone terremotate), dell'art. 4, primo comma, del decreto- legge 20 marzo 1992, n. 237, e dell'art. 4, primo comma, del decreto-legge 20 maggio 1992, n. 293, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 38, secondo comma, 77, secondo comma, 101, secondo comma, e 104, primo comma, della Costituzione, dalla Corte di cassazione e dai Tribunali di Genova, Ravenna e Treviso, con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 02/11/92.

Aldo CORASANITI, Presidente

Francesco Paolo CASAVOLA, Redattore

Depositata in cancelleria il 13/11/92.