Sentenza n. 430 del 1992

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SENTENZA N. 430

ANNO 1992

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-          Dott. Aldo CORASANITI, Presidente

-          Prof. Giuseppe BORZELLINO

-          Dott. Francesco GRECO

-          Prof. Gabriele PESCATORE

-          Avv. Ugo SPAGNOLI

-          Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

-          Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-          Avv. Mauro FERRI

-          Prof. Luigi MENGONI

-          Prof. Enzo CHELI

-          Dott. Renato GRANATA

-          Prof. Giuliano VASSALLI

-          Prof. Francesco GUIZZI

-          Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 83 del codice di procedura penale, pro mosso con ordinanza emessa il 23 giugno 1990 dal Tribunale di Roma nel procedimento penale a carico di Torri Mauro, iscritta al n. 350 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell'anno 1991.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 19 febbraio 1992 il Giudice relatore Giuliano Vassalli.

Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza del 23 giugno 1990 il Tribunale di Roma ha sollevato - su eccezione del difensore di un responsabile civile al quale il decreto di citazione per il giudizio era stato notificato a meno di venti giorni dall'udienza - questione di legittimità costituzionale dell'art.83 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede per il responsabile civile il termine a comparire di venti giorni, stabilito per l'imputato e per la persona offesa dall'art. 429, terzo e quarto comma, dello stesso codice.

La mancata previsione di un termine violerebbe l'art. 24 della Costituzione, essendo la difesa di ritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento, e l'art. 3 della Costituzione stessa, per la ingiustificata disparità di trattamento rispetto all'imputato e alla persona offesa, in ordine ai quali l'art. 429, terzo e quarto comma, prevede un termine non inferiore a venti giorni. "Per analogia con la posizione difensiva dell'imputato" - afferma il giudice a quo - lo stesso termine non previsto espressamente può valere anche per il responsabile civile, utilizzando i meccanismi di cui all'art.465 del codice di procedura penale.

2. L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie speciale, del 5 giugno 1991.

3. Nel giudizio davanti a questa Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, il quale ha concluso per l'inammissibilità e comunque per l'infondatezza della questione.

Nell'atto di intervento si osserva che la lesione dei principi costituzionali richiamati potrebbe dirsi sussistente solo ove la lacuna normativa denunciata comportasse l'applicazione di una disciplina lesiva del diritto di difesa del responsabile civile o ne discriminasse il trattamento rispetto a quello riservato alle altre parti priva te.

Per contro, nel caso in esame non sussisterebbe alcun ostacolo - come riconosciuto dallo stesso giudice rimettente - all'applicazione in via analogica dell'art. 429, terzo e quarto comma, nei confronti del responsabile civile la cui posizione, ai fini che qui interessano, è assimilabile a quella dell'imputato e della parte civile. Il giudice a quo avrebbe, quindi, potuto e dovuto colmare in via analogica la lacuna normativa, ritenendo applicabile l'art.429, terzo e quarto comma, con conseguente dichiarazione di nullità del decreto di citazione a giudizio a norma dell'art. 178, lettera c.

Considerato in diritto

1. Con l'ordinanza in epigrafe il Tribunale di Roma censura l'art. 83 del codice di procedura penale, "nella parte in cui non prevede per il responsabile civile il termine a comparire di 20 giorni di cui all'art. 429, 3 e 4 co. c.p.p.".

La norma denunciata contrasterebbe con l'art.24 della Costituzione perchè non contempla "l'osservanza di un termine a comparire per la citazione a giudizio del responsabile civile, sicchè si appalesa contraddizione con il diritto alla sua difesa";

vulnererebbe pure l'art. 3 della Costituzione, "per la ingiustificata disparità di trattamento rispetto alla disciplina dettata per l'imputato e la persona offesa".

La questione non è fondata.

2. Il giudice a quo muove dall'implicita premessa in base alla quale, poichè il terzo e il quarto comma dell'art. 429 del codice di procedura penale non indicano il responsabile civile fra i soggetti nei confronti dei quali è prescritta l'osservanza del termine minimo di venti giorni dalla data del decreto che dispone il giudizio alla data fissata per il giudizio, relativamente ai termini riguardanti tale parte privata non possa farsi riferimento se non all'art. 83 contenente la disciplina della citazione del responsabile civile; ma, non prevedendo tale precetto "l'osservanza di un termine a comparire", ne scaturirebbe la violazione degli invocati parametri costituzionali.

Nonostante nulla si dica espressamente sul punto, è da ritenere - pure per i profili attinenti alla rilevanza - che il rimettente limiti le sue censure circa la mancata previsione del detto ter mine alla sola ipotesi di assenza del responsabile civile. Risulta, infatti, dal raffronto fra il terzo ed il primo comma, lettera a, dello stesso articolo, che, ove il responsabile civile sia stato presente all'udienza preliminare, l'art. 429, terzo comma, troverà applicazione anche nei suoi confronti.

3. Così delimitato l'oggetto della censura, la questione sottoposta all'esame della Corte si in centra nella verifica di legittimità dell'art. 83 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede per il responsabile civile che non sia stato citato o non sia intervenuto all'udienza preliminare, lo stesso termine di venti giorni fra la data del decreto che dispone il giudizio e la data del giudizio, previsto per l'imputato e per la persona offesa. Donde il richiamo al tertium comparationis indicato nel combinato disposto del terzo e quarto comma, dell'art. 429, da estendere al civilmente responsabile pure considerando che "lo stesso termine non previsto espressamente può valere anche per il responsabile civile, utilizzando eventualmente i meccanismi di cui all'art. 465".

Senonchè il presupposto da cui muove l'ordinanza di rimessione è da ritenere erroneo.

Il combinato disposto del terzo e quarto comma dell'art.429, se interpretato nel contesto più generale concernente lo schema dell'udienza preliminare, si presta, infatti, ad una soluzione di versa da quella indicata dal giudice a quo; per di più attenta, quanto ai soggetti coinvolti dalla detta previsione, all'esigenza di tutela del diritto di difesa del responsabile civile, in ciò seguendo il principio, numerose volte enunciato da questa Corte, in base al quale fra più interpretazioni possibili va preferita quella conforme a Costituzione (v., ancora di recente, sentenze n. 353 del 1991 e 559 del 1990).

4. Un'interpretazione logico-sistematica del quarto comma dell'art.429, letto nel contesto del le varie cadenze in cui si articola l'accesso al l'udienza preliminare delle parti private diverse dall'imputato, conduce a dubitare fortemente che alla dedotta lacuna possa essere assegnato l'univoco valore significativo indicato dal rimettente.

Più in particolare, tale precetto menziona soltanto l'imputato e la persona offesa (quest'ultima purchè identificata; arg. ex artt. 417, lettera a, e 419, primo comma) in quanto l'uno è il soggetto nei cui confronti è stata esercitata l'azione penale, l'altra è il soggetto che potrà esercitare nel processo penale l'azione di danno derivante da reato, mentre, pur recuperando le parti private di verse dall'imputato presenti alla stessa udienza - alla stregua del già ricordato disposto dell'art.429, primo comma, lettera a - non le prende espressamente in considerazione quando assenti. A quest'ultimo riguardo, anzi, assume valore dirimente, ai fini che qui interessano, il dato offerto dall'art. 133 del testo delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale (testo approvato con il decreto legislativo 28 luglio 1989, n.271). Essendo infatti stabilito che il decreto che dispone il giudizio deve essere notificato alle parti private diverse dall'imputato che non sono state presenti alla udienza preliminare, e che tale notifica viene effettuata "a norma dell'art. 429 comma 4 del codice", risulta testualmente sancito il principio che, nei confronti del responsabile civile citato per l'udienza preliminare e che a questa non sia stato presente, deve procedersi alla notificazione del decreto stesso "almeno venti giorni prima della data fissata per il giudizio". Se, dunque, la disciplina processuale assicura il termine dilato rio di venti giorni al responsabile civile citato per l'udienza preliminare, e quindi posto in condizione di prendere conoscenza degli atti e predisporre le proprie difese, risulterà di tutta evidenza che lo stesso termine deve a fortiori essere assicurato ai fini della citazione del responsabile civile per il dibattimento, ove questi non sia stato citato precedentemente o non abbia spiegato atto di intervento.

5. Che l'art. 429, terzo e quarto comma, valga a ricomprendere nella sua, sia pur implicita, previsione anche tutte le parti private diverse dall'imputato si ricava in modo certo dall'art.465 che, nel disciplinare l'anticipazione o il differimento dell'udienza dibattimentale, prevede che il provvedimento con il quale o l'una o l'altro venga disposto deve essere comunicato, pure "alle altre parti private", espressamente richiamando, in caso di anticipazione - e sempre con riferimento, ancora, "alle parti private" e "alla persona offesa" - l'osservanza dei termini previsti dall'art.429, terzo e quarto comma. Un precetto, quello prima ricordato, rispetto alla cui concreta operatività diviene necessaria l'estensione dell'art.429, terzo e quarto comma, a tutte le parti private e, quindi, anche al responsabile civile, non menzionato da tali disposizioni solo perchè, al pari della parte civile, parte meramente eventuale.

6. Un ulteriore apporto interpretativo alla soluzione che ravvisa tra i soggetti cui si riferisce l'art. 429, terzo e quarto comma, anche il responsabile civile proviene pure dalla previsione dell'art. 178, lettera c, del codice di procedura penale (interpretato anche alla stregua degli arti coli 179 e 180), che include la nullità concernente il responsabile civile fra le nullità di ordine generale in relazione al suo intervento nonchè alla sua assistenza e rappresentanza, secondo un regime che lo accomuna a tutte le altre parti private diverse dall'imputato e che lo differenzia rispetto alla posizione della persona offesa e del querelante, in relazione ai quali la nullità di or dine generale vale solo in quanto attenga alla citazione a giudizio, in tal modo delineando una disciplina unitaria sotto il profilo soggettivo (imputato, altre parti private, persona offesa) in or dine agli aspetti sanzionatori derivanti dall'invalidità.

Se, dunque, si prevedono a pena di nullità le disposizioni che regolano l'intervento delle parti private diverse dall'imputato, e fra queste, quindi, anche del responsabile civile, si presuppone l'esistenza, nel sistema, del principale e ineludibile presidio che cautela l'intervento della parte convenuta: vale a dire, appunto, la previsione di un termine dilatorio per preparare una difesa che consenta una "effettiva" partecipazione al giudizio. Altrimenti, paradossalmente, dovrebbe ipotizzarsi l'esistenza di una contraddizione interna al sistema stesso, giacchè al convenuto in sede penale per i danni non sarebbe assicurato un fondamentale diritto che gli è invece riconosciuto in sede civile.

Una volta che l'art. 429, terzo e quarto comma, venga interpretato nel senso di una sua applicazione pure nei confronti del responsabile civile che non abbia già assunto tale qualità nella udienza preliminare, la norma denunciata si sottrae alle censure di legittimità prospettate dal giudice a quo.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 83 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23/10/92.

Aldo CORASANITI, Presidente

Giuliano VASSALLI, Redattore

Depositata in cancelleria il 10/11/92.