Sentenza n. 396 del 1992

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SENTENZA N. 396

ANNO 1992

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-          Dott. Aldo CORASANITI, Presidente

-          Prof. Giuseppe BORZELLINO

-          Dott. Francesco GRECO

-          Prof. Gabriele PESCATORE

-          Avv. Ugo SPAGNOLI

-          Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

-          Prof. Antonio BALDASSARRE

-          Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-          Avv. Mauro FERRI

-          Prof. Luigi MENGONI

-          Prof. Enzo CHELI

-          Dott. Renato GRANATA

-          Prof. Giuliano VASSALLI

-          Prof. Francesco GUIZZI

-          Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 38 del d.P.R.29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), promosso con ordinanza emessa il 15 ottobre 1991 dalla Commissione Tributaria di primo grado di Macerata sul ricorso proposto da Giovanna Cingolani contro l'Intendenza di Finanza di Macerata, iscritta al n. 167 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell'anno 1992;

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 1 luglio 1992 il Giudice relatore Gabriele Pescatore.

Ritenuto in fatto

1. La Commissione tributaria di primo grado di Macerata, con ordinanza 15 ottobre 1991, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24, 53 e 113 Cost., dell'art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, "nella parte in cui fa decorrere il termine di diciotto mesi per la presentazione dell'istanza di rimborso, dalla data del versamento, anche quando i presupposti di legge del rimborso medesimo siano maturati successivamente".

Nell'ordinanza si espone che la ricorrente, nella dichiarazione dei redditi relativa all'anno 1980, aveva erroneamente dichiarato una plusvalenza da operazione speculativa conseguente alla vendita di un appartamento di sua proprietà eseguita nel 1979, versando la relativa imposta.

Nel dicembre 1985 le era stato notificato avviso di accertamento per l'omessa inclusione di tale plusvalenza nella dichiarazione dei redditi per l'anno 1979. Proposto ricorso contro tale avviso, la commissione tributaria lo rigettava, afferendo il reddito in questione al 1979 e dovendo, pertanto, essere incluso nella dichiarazione dei redditi per quell'anno.

Si espone nell'ordinanza che, dopo avere provveduto al pagamento dell'imposta accertata, la ricorrente aveva presentato istanza all'organo competente chiedendo di ripetere quanto erroneamente versato per il titolo suddetto. Non avendo ottenuto il provvedimento richiesto, aveva adito il giudice a quo deducendo, quanto alla tempestività dell'istanza, che trattandosi di doppia imposizione, non dovevano ritenersi operanti i termini previsti dall'art. 38 del d.P.R. n. 602 del 1973, ma soltanto il termine ordinario di prescrizione decennale di cui all'art. 2946 cod. civ..

Si osserva in proposito che la restituzione era stata richiesta in conseguenza di una duplicazione d'imposta, imputabile ad errore del contribuente e l'istanza di rimborso doveva essere presentata, a norma dell'art. 38 del d.P.R. n. 602 del 1973, entro il termine di decadenza di diciotto mesi dalla data del versamento.

Tuttavia - secondo il giudice a quo - ove, come nel caso di specie, il presupposto del rimborso per duplicazione d'imposta, venga in esistenza in epoca successiva allo scadere del termine di diciotto mesi, l'art.38 anzi detto, prevedendo la decorrenza di esso dal momento del versamento del tributo, contrasterebbe:

a) con l'art. 53 Cost., violato dalla irripetibilità dell'imposta duplicata;

b) con gli artt. 24 e 113 Cost. in quanto impedisce la tutela giurisdizionale del diritto al rimborso;

c) con l'art. 3 Cost., per la differenza di trattamento tra contribuenti, a seconda che i presupposti giuridici del rimborso si siano maturati entro, ovvero oltre, i diciotto mesi dal versamento dell'imposta.

Quanto alla rilevanza della questione, il giudice a quo deduceva che l'istanza di rimborso, tardiva rispetto alla data del versamento dell'imposta, dovrebbe invece ritenersi tempestiva ove il dies a quo dei diciotto mesi per proporla "fosse costituito dall'insorgenza del diritto al rimborso, coeva al realizzarsi del presupposto della duplicazione d'imposta".

Dinanzi a questa Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, col patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata.

Nell'atto d'intervento si osserva al riguardo che la questione è stata proposta sulla base della premessa che la norma impugnata stabilisce la decorrenza del termine di decadenza di diciotto mesi dalla data del versamento diretto, per ogni caso d'indebito e quindi anche per l'ipotesi, come quella oggetto del giudizio a quo, in cui la "duplicazione d'imposta" abbia a verificarsi "nei suoi presupposti giuridici" in epoca successiva al versamento indebitamente effettuato.

Ma nel caso all'esame del giudice a quo, non vi era stata alcuna duplicazione d'imposta, non essendovi stati due atti impositivi, bensì un versamento - indebito - ed un solo atto impositivo dell'ufficio.

Pertanto, non è esatto che il diritto al rimborso sia sorto in conseguenza di una duplicazione d'imposta verificatasi dopo la decorrenza del termine di decadenza, essendo il primo pagamento ab origine, indebito, in quanto afferente ad un periodo d'imposta nel quale il presupposto tributario non si era verificato.

Pertanto, non sarebbe configurabile una violazione dell'art.53 Cost., mancando la duplicazione d'imposta; nè degli artt. 24 e 113 Cost., avendo avuto il contribuente un congruo termine per chiedere la ripetizione; nè, infine, dell'art. 3, Cost., mancando ogni discriminazione fra contribuenti.

Considerato in diritto

1. La Commissione tributaria di primo grado di Macerata ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 - "nella parte in cui fa decorrere il termine di diciotto mesi per la presentazione dell'istanza di rimborso, dalla data del versamento, anche quando i presupposti di legge del rimborso medesimo siano maturati successivamente" - deducendone il contrasto: a) con l'art.53 Cost., che sarebbe violato dalla irripetibilità in detta ipotesi dell'imposta duplicata; b) con gli artt. 24 e 113 Cost., in quanto in tale ipotesi impedirebbe la tutela giurisdizionale del diritto al rimborso; c) con l'art. 3 Cost., per la differenza di trattamento tra contribuenti, a seconda che i presupposti giuridici del rimborso si siano maturati entro, ovvero oltre, i diciotto mesi dal versamento dell'imposta.

2. La questione è inammissibile per difetto di rilevanza.

Nell'ordinanza di rimessione si espone che il giudizio a quo è stato proposto dalla ricorrente in data 20 gennaio 1988 ed ha ad oggetto la ripetizione di una somma erroneamente pagata, nel 1981, a titolo di Irpef per l'anno 1980 in relazione ad una plusvalenza conseguente alla vendita di un appartamento effettuata nel 1979; l'amministrazione finanziaria aveva provveduto a tassare, con apposito accertamento, detta plusvalenza per l'anno 1979 e la ricorrente, il 27 ottobre 1986, aveva dovuto pagare l'imposta accertata.

Secondo il giudice a quo, in tale momento sarebbe sorto il diritto del contribuente a ripetere l'imposta erroneamente versata nel 1981.

Tale diritto, però, non sarebbe stato azionabile, essendo già decorso, - alla stregua del disposto dell'art. 38 del d.P.R. n. 602 del 1973 - il termine di diciotto mesi per proporre l'istanza di rimborso, poichè detta norma ne fissa il dies a quo dal giorno del versamento dell'imposta indebitamente pagata. Viceversa, la declaratoria d'illegittimità costituzionale dell'art. 38 in questione, - nella parte in cui fissa, "anche quando i presupposti di legge del rimborso si siano maturati successivamente", la decorrenza del termine dal giorno del versamento dell'imposta, - renderebbe tempestiva la proposizione del giudizio a quo, con la conseguente rilevanza della questione proposta.

Tale prospettazione, peraltro, è del tutto erronea, in quanto nel caso di specie i presupposti di legge per il rimborso non si sono verificati successivamente alla scadenza del termine fissato dall'art. 38 del d.P.R. n. 602 del 1973, ma sono coevi al pagamento, per la sua natura d'"indebito" ab origine, avendo il contribuente corrisposto un'imposta non dovuta in relazione al periodo di riferimento dell'erogazione. Si poteva quindi chiederne la restituzione immediatamente ed è circostanza di mero fatto, irrilevante ai fini del giudizio di costituzionalità, la cognizione del carattere "indebito" della prestazione soltanto a seguito dell'accertamento tributario.

La eventuale declaratoria d'illegittimità costituzionale della norma impugnata, nei sensi indicati dal giudice remittente, è pertanto ininfluente nel giudizio a quo; ne consegue l'inammissibilità della questione per difetto di rilevanza.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art.38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), sollevata in riferimento agli artt.3, 24, 53 e 113 della Costituzione, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 07/10/92.

Aldo CORASANITI, Presidente

Gabriele PESCATORE, Redattore

Depositata in cancelleria il 19/10/92.