Sentenza n. 383 del 1992

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SENTENZA N.383

ANNO 1992

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-          Dott. Aldo CORASANITI, Presidente

-          Prof. Giuseppe BORZELLINO

-          Dott. Francesco GRECO

-          Prof. Gabriele PESCATORE

-          Avv. Ugo SPAGNOLI

-          Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

-          Prof. Antonio BALDASSARRE

-          Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-          Avv. Mauro FERRI

-          Prof. Luigi MENGONI

-          Prof. Enzo CHELI

-          Dott. Renato GRANATA

-          Prof. Giuliano VASSALLI

-          Prof. Francesco GUIZZI

-          Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 58, quarto comma, della legge 8 giugno 1990, n. 142 (Ordinamento delle autonomie locali), promossi con n. 3 ordinanze emesse il 29 gennaio ed il 22 marzo 1991 dalla Corte dei conti-Sezione I giurisdizionale - nei giudizi di responsabilità amministrativa promossi dal Procuratore generale nei confronti degli eredi di Mei Amerigo ed altri, di De Boni Gemma ed altri e di Bisaglia Mario ed altri, iscritte ai nn. 144, 145 e 206 del registro ordinanze 1992 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 13 e 18, prima serie speciale, dell'anno 1992. Visto l'atto di costituzione di Testa Mario;

udito nell'udienza pubblica del 30 giugno 1992 il Giudice relatore Luigi Mengoni; udito l'avv. Luigi Manzi per Testa Mario.

Ritenuto in fatto

l. - Nel corso di un giudizio di responsabilità amministrativa promosso, con atto di citazione in data 24 aprile 1981, contro amministratori e dirigenti dell'Ente Nazionale Artigianato e Piccole Industrie, ad alcuni dei quali sono succeduti, pendente lite, i rispettivi eredi, la Corte dei conti, con ordinanza del 29 gennaio 1991, Pervenuta alla Corte costituzionale il 10 marzo 1992 (R.o. 144/92), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 58, comma 4, della legge 8 giugno 1990, n. 142, sull'ordinamento delle autonomie locali, il quale riduce a cinque anni la prescrizione dell'azione di responsabilità contro gli amministratori e i dipendenti degli enti locali e dispone, inoltre, che "la responsabilità nei confronti degli amministratori e dei dipendenti dei comuni e delle province é personale e non si estende agli eredi".

La questione é sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 97 Cost., sotto un duplice profilo enunciato in motivazione. Sotto il primo profilo la norma é censurata perchè esclude dal beneficio della non trasmissibilità agli eredi gli amministratori e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici non economici, creando una ingiustificato disparità di trattamento. Sotto il secondo profilo, la Corte ravvisa d'ufficio una violazione di segno diverso dell'art. 3 Cost., in quanto la norma impugnata deroga irragionevolmente ai principi dell'ordinamento sia pubblicistico sia privatistico, e conseguentemente anche una violazione dei principi di imparzialità e di buon andamento dell'amministrazione sanciti dall'art. 97.

2.1.- Analoga impostazione, ma con motivazione più diffusa, ha un'altra ordinanza della medesima Corte, in data 22 marzo 1991, pervenuta alla Corte costituzionale l'8 aprile 1992 (R o. n. 206/92), emessa nel corso di un giudizio di responsabilità promosso con atto di citazione in data 28 giugno 1989 contro gli eredi di Antonio Bisaglia e altri.

Il giudice a quo ritiene non manifestamente infondata l'eccezione di illegittimità costituzionale dell'art. 58, comma 4, della legge n. 142 del 1990, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., per la disparità di trattamento tra gli eredi degli amministratori e dei dipendenti dei comuni e delle province e gli eredi degli amministratori e dei dipendenti dello Stato (anche in relazione all'esercizio di difesa), ingiustificato in sè e contraddittoria con la direttiva di omogeneizzazione della disciplina enunciata nel primo comma.

Peraltro, qualora per le dette ragioni la norma denunciata fosse ritenuta di applicazione generale, la Corte dei conti si sente in dovere di sollevare di ufficio questione di legittimità costituzionale della medesima per contrarietà all'art. 24 Cost., perchè, in caso di morte del pubblico amministratore o dipendente prima dell' esercizio dell'azione di responsabilità, viene "sottratta al Procuratore generale la possibilità di agire in difesa dell'erario", e altresì per violazione dell'art. 97 Cost., perchè la deroga al principio della successione degli eredi nei debiti del defunto "incide sulla capacità preventiva che l'eventualità dell'esercizio dell'azione di responsabilità esplica".

2.2.- Nel giudizio davanti alla Corte costituzionale si é costituito l'avv. Mario Testa, erede con altri di Antonio Bisaglia, sostenendo in principalità, contro l'avviso dei giudice a quo, la possibilità di interpretare estensivamente la norma in esame nel senso dell'applicabilità anche agli eredi di amministratori o dipendenti dello Stato, e in linea subordinata aderendo al primo dei profili di incostituzionalità della norma svolto nell'ordinanza di rimessione in corrispondenza all'eccezione sollevata dalla difesa dello stesso avv. Testa e dei coeredi.

In una memoria depositata in prossimità dell'udienza di discussione, la parte privata tratta la questione pregiudiziale circa l'applicabilità della norma in esame anche ai processi di responsabilità già pendenti al momento dell'entrata in vigore della legge n. 142 del 1990. Ad avviso dell'istante, alla questione si dovrebbe dare risposta affermativa indipendentemente dalla natura processuale o sostanziale della norma, in quanto le regole che essa detta - prescrizione quinquennale e personalità della responsabilità amministrativa - sono di ordine pubblico e quindi inderogabili. Tali regole avrebbero impresso alla responsabilità amministrativa un nuovo carattere, non più di responsabilità patrimoniale-civilistica, come continua a pensare il giudice a quo, ma di responsabilità sanzionatoria-pubblicistica, vicina alla responsabilità penale.

3.- Nel corso di un giudizio di responsabilità amministrativa, promosso nel 1977 contro alcuni funzionari dell'Azienda Nazionale Autonoma delle Strade, a uno dei quali sono subentrati, pendente lite, i rispettivi eredi, la Corte dei conti, con ordinanza del 29 gennaio 1991, pervenuta alla Corte costituzionale il 10 marzo 1992 e iscritta nel R.o. n. 145 del 1992, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 26 (recte 24) Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 58, comma 4, della legge 8 giugno 1990, n. 142, "per la parte in cui si limita a dichiarare la natura personale della responsabilità, con conseguente venir meno dell'obbligo di rispondere con il proprio patrimonio per fatto del proprio dante causa, in riferimento ai soli eredi dei dipendenti ed amministratori degli enti locali, venendo così ad escludere gli eredi dei dipendenti statali, oltre che di tutti gli altri dipendenti ed amministratori delle regioni e degli enti pubblici, dall'ambito di applicabilità della norma".

Ad avviso della Corte remittente, la norma si applica anche ai giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della legge, perchè "finisce per incidere sia sulla giurisdizione di questa Corte (sottraendo una astratta categoria di soggetti, gli eredi appunto), sia sulla legittimazione attiva del Procuratore generale nell'ambito di rapporti ancora pendenti".

Ciò premesso in punto di rilevanza della questione, il giudice a quo ritiene che il legislatore non abbia voluto modificare la natura della responsabilità amministrativa, ma soltanto introdurre, in favore degli amministratori e dei dipendenti degli enti locali, una "speciale deroga" alla regola della trasmissibilità mortis causa (artt. 752 e 754 cod. civ.). Tale deroga determina una ingiustificato disparità di trattamento in contrasto sia col principio di eguaglianza, sia col principio di razionalità, in quanto contraddittoria con la direttiva impartita nel primo comma dell'art. 58.

Sarebbe inoltre violato l'art. 24 Cost., perchè la riduzione della prescrizione da dieci a cinque anni a beneficio del solo personale degli enti locali si traduce in un aggravamento delle difficoltà di difesa degli eredi dei dipendenti dello Stato.

Considerato in diritto

l. -Con le ordinanze indicate in epigrafe la Corte dei conti mette in dubbio la legittimità costituzionale dell'art . 58 , comma 4, della legge 8 giugno 1990, n. 142, sull'ordinamento delle autonomie locali, il quale, previa riduzione a cinque anni della prescrizione dell'azione di responsabilità contro gli amministratori e i dipendenti degli enti locali, dispone che <la responsabilità nei confronti degli amministratori e dei dipendenti dei comuni e delle province è personale e non si estende agli eredi>.

2. -I tre giudizi hanno per oggetto questioni analoghe, e pertanto vanno riuniti per essere decisi con unica sentenza.

3.l.-Dalle ordinanze iscritte in R.o. nn. 144 e 206/1992 la questione è sollevata sotto due profili, espressamente richiamati nel dispositivo, riferiti il primo agli artt. 3 e 24 Cost., il secondo anche all'art. 97 Cost.

Sotto il primo profilo, conforme ai termini in cui la questione è stata proposta dalle parti private, la norma è censurata perchè deroga alla regola generale della successione nelle obbligazioni del de cuius (artt. 752 e 754 cod. civ.) soltanto in favore degli eredi degli amministratori e dei dipendenti degli enti locali, in contrasto sia col principio di eguaglianza, per l'ingiustificata disparità di trattamento degli altri amministratori e dipendenti pubblici, sia col principio di razionalità, per l'evidente contraddizione con la direttiva di uniformazione della disciplina a quella degli impiegati civili dello Stato, enunciata nel primo comma dell'art. 58.

In relazione all'art. 3 Cost. sarebbe violato anche l'art. 24 Cost., attesa la maggiore gravosità di esercizio del diritto di difesa che la norma comporta a carico delle categorie escluse.

Sotto il secondo profilo - sul presupposto che per le dette ragioni la norma sia ritenuta di applicazione generale - la Corte remittente solleva d'ufficio questione di legittimità costituzionale in riferimento ai medesimi parametri, ma per motivi di segno opposto a quelli svolti sotto il primo profilo, ravvisando, per un verso, una violazione dell'art. 3 Cost. in quanto la norma in esame deroga irragionevolmente ai principi dell'ordinamento pubblicistico e privatistico, per altro verso, una violazione dell'art. 24 Cost. in quanto, in caso di morte del pubblico amministratore o dipendente prima della promozione dell'azione di responsabilità, <sottrae al Procuratore generale la possibilità di agire in difesa dell'erario>, e ciò pur quando si tratti di responsabilità plurisoggettiva, posto che, esclusa la successione degli eredi, la quota spettante al de cuius rimarrebbe a carico dell'erario.

Si ravvisa inoltre una violazione dei principi di imparzialità e di buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.) perchè la deroga al principio della successione dell'erede nei debiti del defunto, sottraendo il patrimonio ereditario alla responsabilità del de cuius per i danni arrecati all'ente pubblico, <incide sulla capacità di prevenzione che l'eventualità dell'esercizio dell'azione di responsabilità esplica>.

3.2. - I due profili indicati sono tra loro contraddittori: il primo mira a una dichiarazione di illegittimità costituzionale di tipo additivo, che estenda la norma denunciata a tutti i pubblici amministratori o dipendenti (eccettuati quelli degli enti pubblici economici), il secondo porta, invece, a una sentenza caducatoria.

Così prospettata, la questione è inammissibile indipendentemente dall'applicabilità o no della norma impugnata anche ai giudizi di responsabilità pendenti al momento dell'entrata in vigore della legge n.142 del 1990.

Del resto, il sollevato incidente di costituzionalità essendo diretto, in definitiva, all'invalidazione della norma impugnata, emerge anche un motivo di inammissibilità per irrilevanza, posto che la norma non è applicabile nei giudizi a quibus, nei quali non si controverte sulla responsabilità amministrativa di amministratori o dipendenti di un comune o di una provincia (cfr. ord. n. 407 del 1991).

4. - Unicamente sotto il primo profilo la questione di legittimità costituzionale dell'art. 58, comma 4, della legge n.142 del 1990 è sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., dall'ordinanza iscritta in R.o. n. 145/1992.

Supposta, come sostiene la Corte remittente, l'applicabilità della norma anche nei giudizi già instaurati al momento dell'entrata in vigore della legge, la questione non è fondata.

Esattamente l'ordinanza precisa che la legge n. 142 non ha modificato la natura della responsabilità amministrativa, che è e rimane una figura della responsabilità per danni da fatto illecito, ma ha inteso soltanto introdurre una <speciale deroga> al principio della successione degli eredi nei debiti del defunto.

Non esattamente, invece, essa riduce il significato della deroga al <venir meno dell'obbligo degli eredi di rispondere col proprio patrimonio per fatto del proprio dante causa>, indipendentemente dall'accettazione dell'eredità col beneficio d'inventario. La deroga significa principalmente che i beni del de cuius si trasmettono agli eredi dell'amministratore o del dipendente liberi dal vincolo di responsabilità da cui, prima dell'apertura della successione, erano astretti per il soddisfacimento del credito risarcitorio spettante all'ente. Sotto questo aspetto la norma non appare giustificata.

Non si vede per quale ragione la responsabilità amministrativa degli amministratori e dei dipendenti delle province e dei comuni non si trasferisce agli eredi almeno nei limiti del valore dei beni ereditari, con la conseguenza che, in virtù dell'evento fortuito della morte del responsabile del danno prima dell'esercizio dell'azione di responsabilità, la corrispondente voce passiva del suo patrimonio si converte in un vantaggio dei suoi successori.

Un simile privilegio non può fornire un utile termine di confronto ai fini dell'art. 3 Cost. É insegnamento costante di questa Corte che il principio di eguaglianza non può essere invocato quando la disposizione di legge da cui è tratto il tertium comparationis ha natura di norma derogatoria a una regola generale. In questo caso la funzione del giudizio di legittimità costituzionale alla stregua dell'art. 3 Cost . non può essere se non il ripristino della disciplina generale, ingiustificatamente derogata da quella particolare, non l'estensione ad altri casi di quest'ultima, la quale aggraverebbe, anzichè eliminare, il difetto di coerenza del sistema normativo (cfr. sent. nn. 46 del 1983, 6 e 769 del 1988, 427 del 1990, 194 del 1991, 190 del 1992).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 58, comma 4, della legge 8 giugno 1990, n. 142 (Ordinamento delle autonomie locali), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 26 (recte: 24) della Costituzione, dalla Corte dei conti con l'ordinanza in epigrafe, iscritta nel R.o. n. 145/1992;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art.58, comma 4, della legge n. 142 del 1990 citata, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 97 della Costituzione, dalla medesima Corte con le ordinanze in epigrafe, iscritte nel R.o. n. 144 e 206/1992.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21/07/92.

Aldo CORASANITI, Presidente

Luigi MENGONI, Redattore

Depositata in cancelleria il 29/07/92.