Sentenza n. 342 del 1992

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SENTENZA N. 342

ANNO 1992

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-          Dott. Aldo CORASANITI, Presidente

-          Prof. Giuseppe BORZELLINO

-          Dott. Francesco GRECO

-          Prof. Gabriele PESCATORE

-          Avv. Ugo SPAGNOLI

-          Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

-          Prof. Antonio BALDASSARRE

-          Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-          Avv. Mauro FERRI

-          Prof. Luigi MENGONI

-          Prof. Enzo CHELI

-          Prof. Giuliano VASSALLI

-          Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 28, primo e secondo comma, del d.P.R. 27 aprile 1968, n. 488 (Aumento e nuovo sistema di calcolo delle pensioni a carico dell'assicurazione generale obbligatoria), promosso con ordinanza emessa il 4 febbraio 1992 dal Pretore di Lecce sul ricorso proposto da Seracca Guerrieri Vitantonio contro S.C.A.U., iscritta al n. 151 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell'anno 1992.

Visti gli atti di costituzione di Seracca Guerrieri Vitantonio e dello S.C.A.U., nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 16 giugno 1992 il Giudice relatore Francesco Greco;

uditi gli avvocati Claudio Dell'Antoglietta per Seracca Guerrieri Vitantonio, Antonio Cochetti per lo S.C.A.U. e l'Avvocato dello Stato Antonio Bruno per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Il Pretore di Lecce, nel giudizio civile tra Seracca Guerrieri Vitantonio e SCAU, diretto ad ottenere l'accertamento in via principale del diritto alla ripetizione di contributi agricoli versati fino al 1968 in virtù di norme che dovevano ritenersi abrogate e, in via subordinata, per la ripetizione di somme versate in più del dovuto, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 28, primo e secondo comma, del d.P.R. 27 aprile 1968, n. 488, anche in combinato disposto con l'art. 1, primo comma, del decreto-legge 9 ottobre 1989, n. 338, convertito in legge 7 dicembre 1989, n. 389, nella parte in cui non consente di tenere conto, al fine della determinazione della base imponibile, di usi provinciali che fissano la durata della giornata lavorativa in misura diversa da quella utilizzata dalla contrattazione collettiva di settore e di categoria ed, in particolare, di quello vigente in Provincia di Lecce (durata della giornata lavorativa di cinque ore e mezzo, cioè di un'ora e quaranta minuti inferiore a quella delle altre Provincie e che è presa in considerazione per il calcolo della contribuzione).

A parere del giudice remittente risulterebbero violati:

a) l'art. 3 della Costituzione, per la discriminazione che si verificherebbe a danno di quei datori di lavoro o concedenti soggetti ad usi che impongono una durata della giornata lavorativa minore di quella stabilita dai contratti collettivi o che, per una ragione qualsiasi, non utilizzano la manodopera per l'intera giornata quale prevista dai contratti collettivi; o di quei piccoli coloni che impiegano nella coltivazione del loro fondo una giornata di minore durata ma sono costretti a corrispondere la contribuzione in base alla giornata lavorativa di maggiore durata utilizzata da quelli di altra provincia per la medesima coltivazione;

b) l'art. 24 della Costituzione, in quanto il giudice eventualmente adito potrebbe solo disapplicare il decreto ministeriale che fissa i contributi da pagarsi sulla base delle retribuzioni risultanti dai contratti collettivi ma non potrebbe determinare il contributo da pagarsi in base alla retribuzione effettivamente corrisposta;

c) l'art. 39 della Costituzione, perchè si imporrebbe la osservanza del contratto collettivo che stabilisce un orario più lungo anche ai datori di lavoro che potrebbero convenire un orario inferiore nonostante che il suddetto contratto non abbia efficacia erga omnes.

2. - L'ordinanza è stata ritualmente comunicata, notificata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale.

3. - Nel giudizio si sono costituite le parti ed è intervenuta l'Avvocatura Generale dello Stato, in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri.

3.1. - La difesa dello S.C.A.U. ha concluso per la inammissibilità della questione in quanto la ordinanza di rimessione non contiene alcuna precisazione del thema decidendum fissato nel ricorso introduttivo, specie in ordine alle eventuali convenzioni individuali di utilizzazione della manodopera per una parte soltanto della giornata lavorativa e al trattamento contributivo dei piccoli coloni; e per la infondatezza, perchè il problema della disapplicazione dell'atto amministrativo di determinazione della base contributiva è meramente astratto ed ipotetico, non avendo il giudice a quo preso posizione circa la natura prettamente ricognitiva dei diritti nascenti dalla legge.

Ha rilevato, poi, l'insussistenza delle dedotte discriminazioni poichè la determinazione della base contributiva non legata alla retribuzione effettiva trova giustificazione nella necessità di fissare un minimo di contribuzione per assicurare la tutela previdenziale dei lavoratori ex art.38 della Costituzione in un sistema previdenziale eminentemente solidaristico; il richiamo alla contrattazione collettiva non impone al datore di lavoro la sua osservanza; non è stata prospettata nel giudizio a quo una doglianza relativa all'art. 39 della Costituzione.

3.2. - La difesa del ricorrente ha condiviso le argomentazioni del giudice a quo. Ha anche sollevato dubbi di illegittimità costituzionale delle norme denunciate, che avrebbero introdotto per l'accertamento delle giornate lavorative prestate da lavoratori agricoli e dai compartecipanti familiari il criterio delle tabelle per ettaro-cultura, già dichiarato costituzionalmente illegittimo.

3.3. - L'avvocatura Generale dello Stato ha concluso, in via principale, per la inammissibilità della questione e, in via subordinata, per l'infondatezza.

In particolare, ha osservato che il giudice a quo avrebbe dovuto disapplicare l'atto amministrativo di determinazione della contribuzione su base provinciale per contrasto con gli usi della Provincia di Lecce.

4. - Nella imminenza dell'udienza la difesa dello S.C.A.U. ha presentato memoria nella quale ha rilevato che il ricorrente ha irritualmente esteso i limiti della questione; che il ricorso a criteri presuntivi è pienamente legittimo siccome correlato a pratiche di forme contrattuali atipiche riferentisi ad appezzamenti di terreno di modesta estensione e a lavorazione per brevissimi periodi di tempo; che per le compartecipazioni familiari la distribuzione del salario all'interno della famiglia è effettuata dal capo-famiglia in maniera non rigida, il che non avviene per i salariati.

Considerato in diritto

1.- La Corte è chiamata a verificare se l'art. 28 del d.P.R.27 aprile 1968, n. 488, anche in combinato disposto con l'art. 1, primo comma, del decreto-legge 9 ottobre 1989, n. 338 - convertito in legge 7 dicembre 1989, n. 389 -, nella parte in cui non consente di tenere conto, ai fini della determinazione della base imponibile sulla quale vanno calcolati i contributi agricoli unificati dovuti da datori di lavoro e concedenti per braccianti agricoli e piccoli coloni, di usi normativi, applicabili nella provincia di ubicazione del fondo, che stabiliscano una giornata lavorativa di durata inferiore a quella fissata dalla contrattazione collettiva di settore e categoria, violi gli artt.:

a) 3 della Costituzione, per la discriminazione che crea in danno dei datori di lavoro e concedenti soggetti agli usi suddetti, in quanto la contribuzione che essi pagano è più onerosa di quella dovuta da quanti, invece, utilizzano l'orario fissato in sede collettiva; perchè non si tiene conto delle pattuizioni individuali le quali prevedono un impiego di manodopera che non copra la durata ordinaria del turno giornaliero; perchè, a parità di valori medi di impiego di manodopera per singole colture, impone una contribuzione commisurata ad un maggior numero di giornate lavorative ai concedenti di fondi siti in un ambito provinciale ove si osserva un minore orario giornaliero;

b) l'art. 24 della Costituzione, perchè non consente al giudice ordinario, che disapplichi il decreto ministeriale determinativo della contribuzione, ritenendolo illegittimo, di provvedere egli stesso alla quantificazione dell'onere contributivo nel caso controverso;

c) l'art. 39 della Costituzione, perchè indebitamente comprime la libertà del contribuente imponendogli l'applicazione di contratti collettivi che non sono obbligatori erga omnes.

2.- La questione non è fondata.

La determinazione dei contributi agricoli unificati, dopo la sentenza di questa Corte (n. 65 del 1962), con la quale si è dichiarata la illegittimità del sistema di accertamento cosiddetto presuntivo, viene ora effettuata sulla base della manodopera effettivamente impiegata in ciascuna attività. I datori di lavoro devono denunciare, all'inizio dell'anno di competenza, la manodopera impiegata su appositi modelli approvati con decreto ministeriale. In caso di omessa denuncia, gli uffici provinciali dello S.C.A.U. procedono in via induttiva.

Il procedimento impositivo si completa con la determinazione del contributo dovuto; a tal fine si moltiplicano le giornate di lavoro per le rispettive aliquote contributive.

Poichè il dato retributivo costituisce un fattore indispensabile per la detta determinazione, si è previsto un sistema che tiene conto delle retribuzioni medie convenzionali per ogni provincia sulla base dei contratti collettivi vigenti al 30 ottobre di ciascun anno e le relative risultanze sono recepite in appositi decreti del Ministro del Lavoro e della previdenza sociale (art. 28, d.P.R. 27 aprile 1968, n. 488; art. 8 del decreto-legge 1 luglio 1972, n. 287, conv. in legge 8 agosto 1972, n.459; art. 3, legge 8 agosto 1972, n. 457).

L'art. 14 del decreto-legge n. 791 del 1981, convertito in legge n. 54 del 1982, ha stabilito che dal 1 gennaio 1982, limitatamente agli operai agricoli a tempo indeterminato, il contributo previdenziale si determini anzichè sulle retribuzioni medie convenzionali, sulla base di quelle effettivamente ad essi corrisposte, così come indicato dall'art.12 della legge n. 153 del 1969.

2.1 - Il ricorso al criterio della retribuzione media imponibile per grandi categorie di soggetti si è reso necessario nella realtà socio- culturale ed organizzativa interessante masse di lavoratori e lavorazioni varie da provincia a provincia, che richiedono, negli specifici settori, un impiego differente di manodopera e che possono esigere anche una diversità di tempi di lavoro. Non potendosi tener conto delle particolari situazioni di ciascun lavoratore, si è dovuto prescindere, in via generale, da una specifica individualizzazione e ricorrere necessariamente ad un sistema impositivo altamente generalizzato.

Il sistema seguito consente di tenere sufficientemente conto delle varie realtà provinciali e di effettuare un bilanciamento di interessi assicurato dalla utilizzazione di contratti collettivi come modelli generali o parametri validi per la generalità dei datori di lavoro. Il che è possibile anche allo stato della vigente legislazione e dell'indirizzo giurisprudenziale secondo cui i detti contratti hanno natura di diritto privato.

3. - Per gli operai a tempo determinato si prende in considerazione il salario (paga base ed indennità di contingenza) per ciascuna qualifica (comuni, qualificati, specializzati, superspecializzati), maggiorato dal salario integrativo provinciale e dal cosiddetto terzo elemento (trattamento forfettario sostitutivo della indennità di anzianità).

Per altri (per es. per i compartecipanti familiari ed i piccoli coloni) si prendono in considerazione diversi elementi tra cui il minimo di retribuzione imponibile, salvo i trattamenti più favorevoli previsti da accordi collettivi o da contratti individuali.

Peraltro, nei confronti degli operai agricoli non trovano applicazione le norme in materia di lavoro a tempo parziale (art. 5, decreto-legge n.726 del 1984, convertito in legge n. 863 del 1984). E, quindi, nel caso di coloro che sono impiegati per un numero di ore di lavoro giornaliero inferiore a quello previsto dai contratti collettivi, si calcola una retribuzione giornaliera imponibile non inferiore a quella minima necessaria per l'assolvimento degli oneri contributivi e per la realizzazione delle finalità assicurative e previdenziali. Se si dovesse prendere in considerazione una retribuzione imponibile inferiore, i contributi determinati in base ad essa risulterebbero tali da non poter in alcun modo soddisfare le suddette esigenze.

4. - In tale situazione non sussiste violazione dell'art. 3 della Costituzione in quanto il sistema seguito trova un ragionevole fondamento, siccome diretto a realizzare un regime previdenziale ed assicurativo validamente applicabile ed operativo per tutte le categorie (datori di lavoro e lavoratori) il più possibile in aderenza alle varie realtà provinciali. In caso di controversie che riguardano le retribuzioni imponibili contenute in decreti ministeriali, il giudice adito può disapplicare questi ultimi se ne riscontra la illegittimità ed, in particolare, se le retribuzioni prese in considerazione risultino oltremodo sperequate rispetto a quelle imposte dalle pattuizioni intercorse tra le parti o dagli usi, considerando ovviamente le finalità da raggiungersi che, come già si è detto, esigono un minimo inderogabile perchè sia garantito l'assolvimento degli oneri richiesti. Si dovrà, poi, nelle sedi competenti approntare la determinazione di nuove retribuzioni medie al posto di quelle contenute negli atti amministrativi disapplicati, non essendo la suddetta di competenza del giudice ordinario.

Da tale situazione non deriva alcuna lesione del diritto di difesa delle parti in quanto la tutela apprestata anche nei limiti indicati garantisce sufficientemente ai titolari il diritto preteso.

Inoltre, l'applicazione dei contratti collettivi utilizzati come parametro per la determinazione della retribuzione imponibile, secondo il costante indirizzo giurisprudenziale, non lede affatto la libertà dei datori di lavoro non iscritti alle associazioni sindacali di categoria.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.28, primo e secondo comma, del d.P.R. 27 aprile 1968, n. 488 (Aumento e nuovo sistema di calcolo delle pensioni a carico dell'assicurazione generale obbligatoria) in riferimento agli artt. 3, 24 e 39 della Costituzione, sollevata dal Pretore di Lecce con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 07/07/92.

Aldo CORASANITI, Presidente

Francesco GRECO, Redattore

Depositata in cancelleria il 20/07/92.