Sentenza n. 330 del 1992

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SENTENZA N. 330

ANNO 1992

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-          Dott. Aldo CORASANITI, Presidente

-          Prof. Giuseppe BORZELLINO

-          Dott. Francesco GRECO

-          Prof. Gabriele PESCATORE

-          Avv. Ugo SPAGNOLI

-          Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

-          Prof. Antonio BALDASSARRE

-          Avv. Mauro FERRI

-          Prof. Luigi MENGONI

-          Prof. Enzo CHELI

-          Dott. Renato GRANATA

-          Prof. Giuliano VASSALLI

-          Prof. Francesco GUIZZI

-          Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1 del decreto legge 8 luglio 1974, n. 261, come modificato dall'art. 1, sesto comma, della legge di conversione 14 agosto 1974, n. 355, promosso con ordinanza emessa il 3 maggio 1991 dalla Corte dei conti - sezione terza giurisdizionale - sul ricorso proposto da Beni Giulio, iscritta al n. 99 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10, prima serie speciale, dell'anno 1992.

Visto l'atto di costituzione di Beni Giulio;

udito nell'udienza pubblica del 2 giugno 1992 il Giudice relatore Francesco Guizzi;

udito l'avvocato Franco Agostini per Beni Giulio.

Ritenuto in fatto

Beni Giulio, dipendente dell' ECA di Treviso, nel corso dell'anno 1974 chiedeva il collocamento a riposo anticipato ai sensi della legge 24 maggio 1970, n. 336, recante norme di favore per i dipendenti civili, dello Stato e degli enti pubblici, ex combattenti ed assimilati.

L'amministrazione di appartenenza, riconoscendogli il beneficio di ex combattente, lo assegnava al contingente di pensionamento del 1 gennaio 1978 (non essendovi disponibilità in data anteriore) ma lo collocava in pensione anteriormente a tale scadenza, in data 1 gennaio 1976, a causa dell'avvenuta soppressione del posto di impiego.

L'amministrazione previdenziale provvedeva in senso opposto.

Con decreto n. 86019 del 4 agosto 1980, il Ministero del tesoro riconosceva al Beni la complessiva anzianità di servizio di 28 anni, 8 mesi e 27 giorni e gli conferiva la pensione annua lorda di lire 2.354.000, con decorrenza 1 marzo 1976, escludendo dal computo l'abbuono settennale previsto dall'art. 3 della legge n. 336 del 1970.

L'impiegato ricorreva contro il decreto avanti la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per le pensioni civili, con atto del 12 gennaio 1983, sostenendo che la cessazione dal servizio <<per soppressione del posto>> non doveva costituire impedimento alla fruizione dei benefici per gli ex combattenti stabiliti dalla citata legge n. 336.

A fronte delle opposte tesi confliggenti (richiesta di reiezione del ricorso da parte dell'Avvocatura generale dello Stato e, viceversa, di suo accoglimento da parte del ricorrente e del Procuratore generale della Corte) i giudici hanno, con ordinanza del 3 maggio 1991, sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 1 del decreto legge 8 luglio 1974, n. 261, come modificato dall'articolo 1, sesto comma, della legge di conversione 14 agosto 1974, n. 355.

Premettono i remittenti che, per ovviare al massiccio esodo dei pubblici dipendenti ex combattenti che, numerosi, avevano domandato di avvalersi dei previsti benefici, il Governo aveva approntato il decreto legge 8 luglio 1974, n. 261, stabilendo il contingentamento annuale dei pensionamenti in scaglioni non superiori al venti per cento delle richieste pervenute a ciascuna amministrazione. La legge di conversione aveva abbassato ulteriormente l'entità degli scaglioni, portandola alla misura annua del dieci per cento. Sia il decreto che la legge di conversione avevano statuito la salvezza dei benefici per coloro che fossero cessati dal servizio per il raggiungimento dei limiti di età o dei limiti massimi di anzianità o di servizio o per motivi di salute (dispensa) o per decesso o in applicazione della legge n.804 del 1973 (art. 1, legge 14 agosto 1974, n. 355).

Osserva la Corte dei conti che la norma contenuta in queste ultime disposizioni legislative tende a garantire l'applicazione dei benefici riservati agli ex combattenti anche agli impiegati cessati dal servizio per una delle <<cause fatte salve>>, di cui alla predetta elencazione.

Essa, tuttavia, verrebbe ad escludere il ricorrente dal beneficio invocato, essendo lo stesso cessato dal servizio per una causa diversa da quelle ivi analiticamente menzionate. Nè il caso della <<soppressione del posto>> potrebbe enuclearsi in via d'interpretazione analogica, avendo la norma carattere eccezionale, ed essendo previste in via tassativa le figure in essa indicate. Ma dall'esame della voluntas legis emergerebbe chiaramente l'intenzione del legislatore d'includere nelle ipotesi fatte salve tutte quelle cause di cessazione dal servizio degli impiegati verificatesi indipendentemente dalla volontà degli stessi. A tale comune sostrato potrebbero richiamarsi sia la previsione della morte (evento naturale) che quella del raggiungimento dei limiti di età (naturale fluire del tempo) sia, infine, la previsione di decisioni soggettive (quali le dimissioni per motivi di salute) alla realizzazione del cui presupposto il dipendente non abbia volontariamente dato luogo. Di contro, la legge avrebbe chiaramente escluso dal godimento dei benefici tutti gli impiegati cessati dal servizio per una di quelle ipotesi determinate dal volontario concorso del dipendente, come nel caso della dispensa per motivi diversi dalla inabilità fisica (ad esempio, per insufficiente rendimento) o nella decadenza dall'impiego (per assenza ingiustificata o mancata riassunzione del servizio) o nella destituzione (a seguito di procedimento disciplinare).

Il caso del ricorrente, escluso dai benefici a differenza degli altri dipendenti la cui cessazione dall'impiego è avvenuta per causa formalmente diversa ma sostanzialmente analoga, verrebbe a palesare il contrasto fra la norma (prevista dall'art. 1 del decreto legge 8 luglio 1974, n.261, come modificato dall'art. 1, sesto comma, della legge di conversione 14 agosto 1974, n. 355) e l'articolo 3 della Costituzione, nella parte in cui la prima non prevede, tra le ipotesi di cessazione dal servizio <<fatte salve>> (in ordine al godimento dei benefici), anche quella dell'estinzione del rapporto per soppressione del posto di lavoro.

2. É intervenuto nel giudizio il Beni che ha chiesto, in via principale, il rigetto della questione con una sentenza interpretativa, sostenitrice dell'estensione analogica, anche al suo caso, della disposizione censurata; in subordine, ha chiesto la declaratoria di illegittimità costituzionale della norma denunciata.

Considerato in diritto

1. La Corte dei conti, con l'ordinanza indicata in epigrafe, dubita, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell'articolo 1 del decreto legge 8 luglio 1974, n.261 (Modificazioni alla legge 24 maggio 1970, n. 336, concernente norme a favore dei dipendenti dello Stato ed enti pubblici, ex combattenti e assimilati), come modificato dall'articolo 1, sesto comma, della legge di conversione 14 agosto 1974, n. 355, nella parte in cui non include - tra le ipotesi di cessazione dal servizio non pregiudicanti il godimento dei benefici stabiliti per gli ex combattenti - anche quella della cessazione del rapporto per soppressione del posto di lavoro.

2. La questione è fondata.

La legge 24 maggio 1970, n. 336 (Norme a favore dei dipendenti civili dello stato ed enti pubblici, ex combattenti ed assimilati) concedeva a tutti i dipendenti civili dello Stato, compresi quelli delle amministrazioni ed aziende con ordinamento autonomo, che fossero ex combattenti, partigiani, mutilati ed invalidi di guerra, vittime civili di guerra, orfani, vedove di guerra o per causa di guerra o profughi per l'applicazione del trattato di pace e categorie equiparate, vari benefici inerenti il rapporto d'impiego.

Fra questi, la possibilità di <<chiedere il collocamento a riposo entro cinque anni dalla data di entrata in vigore>> della legge previa concessione d'un aumento di servizio di sette anni (che arrivavano a dieci per i mutilati o invalidi di guerra e per le vittime civili).

Alla iniziale sfera di soggetti ex combattenti elencati dalla legge n.336 del 1970 si aggiunsero quelli <<assimilati>> a seguito della legge 8 luglio 1971, n. 541 (Norme di applicazione della legge 24 maggio 1970, n.336, recante benefici a favore dei dipendenti pubblici ex combattenti ed assimilati): gli ex deportati, gli ex perseguitati, sia politici che razziali.

Per ovviare al massiccio esodo dei pubblici dipendenti ex combattenti che, numerosi, avevano chiesto di avvalersi di tali benefici, il Governo aveva, successivamente, varato il decreto legge 8 luglio 1974, n.261, stabilendo il contingentamento annuale dei pensionamenti in scaglioni non superiori al venti per cento delle richieste pervenute a ciascuna amministrazione, contingentamento ridotto ulteriormente, nella misura del dieci per cento, dalla legge di conversione. Sia il decreto che la legge di conversione avevano stabilito la salvezza dei benefici per coloro che fossero cessati dal servizio <<per raggiungimento dei limiti di età o dei limiti massimi di anzianità di servizio di cui all'articolo 2 della legge 15 febbraio 1958, n. 46, o per dispensa dal servizio per motivi di salute, per decesso dell'impiegato o in applicazione della legge 10 dicembre 1973, n. 477>> (art. 1, comma sesto).

Quest'ultima ipotesi, in particolare, nel quadro del riordinamento degli organici dei corpi militari ed equiparati, concedeva ai soli ufficiali dell' Esercito, della Marina, dell' Aeronautica e dei Corpi di polizia dello Stato, la salvezza dei benefici combattentistici, quand'anche gli stessi ufficiali, dopo essere stati collocati <<in aspettativa per riduzione di quadri>> e, non avendo raggiunto allo scadere dei due anni previsti il limite di età, venissero a cessare dal servizio permanente. In tal caso << ai fini della liquidazione della pensione e dell'indennità di buonuscita>> venivano computati in loro favore <<tanti anni quanti sono gli anni o la frazione di anno superiore ai sei mesi intercorrenti tra la data di cessazione dal servizio permanente e quella del raggiungimento del limite di età, in aggiunta a qualsiasi altro beneficio spettante>> (articolo 7, quinto comma della legge 10 dicembre 1973, n. 477).

3. Risulta dal detto quadro normativo l'intenzione del legislatore d'includere nelle ipotesi fatte salve tutte quelle cause dell'estinzione dal servizio degli impiegati verificatesi indipendentemente dalla volontà degli stessi.

La mancata salvezza dei benefici combattentistici anche all'ipotesi della cessazione anticipata del rapporto d'impiego, rispetto alla data dello scaglionamento prevista dalle singole amministrazioni, per fine del periodo (biennale) di disponibilità conseguente alla soppressione di un ufficio o alla riduzione di un ruolo organico, quando l'impiegato non possa essere utilizzato in un altro ramo dell'amministrazione, costituisce una evidente anomalia per l'irragionevole disparità di trattamento tra i dipendenti cessati anticipatamente dall'impiego per le cause involontarie elencate dalla legge e quelli cessati per la non prevista ipotesi della soppressione del posto.

A tale razionalizzazione non può non pervenirsi che attraverso una pronuncia d'illegittimità costituzionale, come il giudice a quo ha rettamente affermato escludendo la possibilità di giungere attraverso un procedimento d'interpretazione analogica, alla soluzione positiva del caso offerto dal ricorrente, poichè, quella norma avrebbe carattere eccezionale essendo le ipotesi di salvezza da essa previste in via tassativa.

Conforta tale soluzione il fatto che il legislatore ha esteso l'abbuono settennale a fini pensionistici, oltre che per coloro che fossero cessati dal servizio per il raggiungimento dei limiti di età o dei limiti massimi di anzianità o di servizio o per motivi di salute (dispensa) o per decesso, pure per il caso della cessazione del rapporto per fine periodo di disponibilità, anche se solo con riferimento ad alcune categorie in esubero (gli ufficiali dell'Esercito, della Marina, dell'Aeronautica e dei corpi di polizia dello Stato).

Orbene, se l'abbuono settennale a fini pensionistici è stato concesso a tutto l'ampio settore dei lavoratori del comparto pubblico non può restringersi questa specifica ipotesi di salvezza soltanto a coloro i quali, in una particolare circostanza di riassetto, venuta pressappoco a coincidere temporalmente con il processo di scaglionamento dei benefici combattentistici, hanno visto disciplinare dal legislatore la fase transitoria tra il vecchio ed il nuovo assetto degli organici.

Seppure prevista da un'apposita legge ( la n. 477 del 1973), quella disposizione, formalmente chiamata di <<aspettativa per riduzione di quadri>>, ma sostanzialmente riconducibile alle normali figure della disponibilità per soppressione del posto o per riduzione dell'organico, non è da queste ultime diversa. L'abbuono settennale per gli ex combattenti ed assimilati deve, in conclusione, essere assicurato a tutti i pubblici dipendenti anche nell'ipotesi di salvezza esaminata, senza discriminare fra le varie categorie. Una tale distinzione, infatti, viene a determinare una ingiustificata disparità di trattamento da eliminare attraverso la declaratoria d'incostituzionalità della norma denunciata nella parte in cui non estende la salvezza dell'abbuono pensionistico, assicurata alle categorie di cui alla legge 10 dicembre 1973, n. 804, anche a tutti gli altri dipendenti cui si applica la legge 24 maggio 1970, n. 336.

In tal modo viene integralmente accolta la censura d'incostituzionalità sollevata dalla Corte rimettente.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la illegittimità costituzionale dell'articolo 1 del decreto legge 8 luglio 1974, n. 261 (Modificazioni alla legge 24 maggio 1970, n.336, concernente norme a favore dei dipendenti dello Stato ed enti pubblici, ex combattenti e assimilati), come modificato dall'articolo 1, sesto comma, della legge di conversione 14 agosto 1974, n. 355, nella parte in cui non estende a tutti gli altri lavoratori destinatari di quelle provvidenze, tra le ipotesi di cessazione dal servizio non pregiudicanti il godimento dei benefici stabiliti per gli ex combattenti, anche quella della anticipata estinzione del rapporto di lavoro per soppressione del posto o riduzione dell'organico.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 02/07/92.

Aldo CORASANITI, Presidente

Francesco GUIZZI, Redattore

Depositata in cancelleria il 15/07/92.