Sentenza n. 318 del 1992

 CONSULTA ONLINE 

 

SENTENZA N. 318

 

ANNO 1992

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

 

-          Dott. Aldo CORASANITI, Presidente

 

-          Dott. Francesco GRECO

 

-          Prof. Gabriele PESCATORE

 

-          Avv. Ugo SPAGNOLI

 

-          Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

-          Prof. Antonio BALDASSARRE

 

-          Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

-          Avv. Mauro FERRI

 

-          Prof. Luigi MENGONI

 

-          Prof. Enzo CHELI

 

-          Prof. Francesco GUIZZI

 

-          Prof. Cesare MIRABELLI

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 440, 441, 442, primo comma e 458, secondo comma, del codice di procedura penale, promossi con le seguenti ordinanze:

 

1) ordinanza emessa il 23 aprile 1991 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Torino nel procedimento penale a carico di Fusco Carmine ed altra, iscritta al n. 740 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, prima serie speciale, dell'anno 1992;

 

2) ordinanza emessa il 29 gennaio 1992 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Milano nel procedimento penale a carico di Allievi Dario, iscritta al n. 147 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell'anno 1992.

 

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

Ritenuto in fatto

 

l. A seguito dell'instaurazione, all'udienza preliminare, di un giudizio abbreviato chiesto da due imputati, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Torino ammetteva l'interrogatorio di uno di costoro, in quanto mezzo di difesa e non di prova, non escluso dalle disposizioni dell'udienza preliminare richiamate dall'art. 441 cod. proc. pen. Poichè da tale interrogatorio risultava modificata la versione precedentemente resa, il Giudice, ritenendo il processo non più decidibile allo stato degli atti, revocava l'ordinanza ammissiva del giudizio abbreviato e, all'esito dell'udienza preliminare, disponeva il rinvio a giudizio.

 

Il Tribunale di Torino, peraltro, ritenendo che l'ordinanza ammissiva del giudizio abbreviato non possa essere revocata neanche in presenza di dichiarazioni spontanee dell'imputato, dato che con essa è preclusa ogni ulteriore attività diretta all'acquisizione di nuovi elementi di prova, dichiarava la nullità del provvedimento di revoca e stabiliva la competenza dello stesso Giudice dell'udienza preliminare a definire il processo con rito abbreviato.

 

Detto Giudice con ordinanza del 23 aprile 1991 sollevava allora questione di legittimità costituzionale dell'art. 440 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede esplicitamente che l'ordinanza ammissiva del giudizio abbreviato sia revocabile nel caso in cui lo < stato degli atti> sia modificato a seguito dell'interrogatorio dell'imputato.

 

Ad avviso del giudice rimettente, non essendo consentito sollevare conflitto di competenza contro il suddetto provvedimento del Tribunale, dal vincolo allo svolgimento del giudizio abbreviato nonostante il venir meno del presupposto della decidibilità allo stato degli atti deriverebbe una violazione del principio del giudice naturale di cui all'art. 25, primo comma, Cost.

 

Inoltre, poichè lo < stato degli atti> potrebbe mediante l'interrogatorio essere modificato anche strumentalmente, dall'irrevocabilità deriverebbero una limitazione della pienezza di giudizio del giudice ed una possibilità di interferenza nell'esercizio della funzione giurisdizionale, e perciò una violazione degli artt. 101, secondo comma e 102, primo comma, Cost.

 

Infine, la motivazione della decisione conclusiva del giudizio abbreviato non potrebbe avere la necessaria adeguatezza e completezza rispetto alle acquisizioni processuali intervenute nel corso di esso, con conseguente violazione dell'art. 111, primo comma, Cost. delle parti o sia maturata una valutazione giudiziale di sopravvenuta indecidibilità allo stato degli atti.

 

2.1. Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, richiama innanzitutto, quanto alla possibilità di integrazione probatoria nel giudizio abbreviato, la sentenza di questa Corte n. 92 del 1992. Osserva, poi, che le norme in tema di giudizio abbreviato non stabiliscono espressamente che l'ordinanza ammissiva sia irrevocabile e che questa presuppone che il processo possa essere deciso allo stato degli atti.

 

Perciò, ove tale presupposto venga meno perchè le stesse parti deducono che vi sono altri elementi da prendere necessariamente in considerazione, l'ordinanza dovrebbe ritenersi revocabile in base al principio generale di revocabilità delle ordinanze; e di conseguenza, la questione dovrebbe essere dichiarata inammissibile o infondata perchè basata su un assunto normativo inesatto.

 

Considerato in diritto

 

1. I due procedimenti concernono questioni analoghe, ed è perciò opportuno disporne la riunione.

 

2. - Il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Torino, muovendo dal presupposto che sia ammissibile esperire nel giudizio abbreviato l'interrogatorio dell'imputato di cui all'art.421 del codice di procedura penale, dubita che l'art. 440 dello stesso codice, in quanto non prevede la revocabilità dell'ordinanza ammissiva del giudizio abbreviato in caso di modifica dello stato degli atti conseguente a detto interroga torio, contrasti:

 

-con l'art. 25, primo comma, Cost., in quanto il vincolo a decide re con rito abbreviato, anzichè ordinario, nonostante la modifica dello stato degli atti comporterebbe una violazione del principio del giudice naturale;

 

-con gli artt. 101, secondo comma e 102, primo comma, Cost., in quanto, potendo lo stato degli atti essere modificato anche strumentalmente mediante l'interrogatorio, dall'irrevocabilità deriverebbe una limitazione della pienezza di giudizio del giudice ed una possibilità di interferenza nell'esercizio della funzione giurisdizionale;

 

- con l'art. 111, primo comma, Cost., in quanto la motivazione della decisione conclusiva del giudizio abbreviato non potrebbe avere la necessaria adeguatezza e completezza rispetto alle acquisizioni processuali intervenute nel corso di esso.

 

A sua volta, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Milano dubita che gli artt. 441, 442, primo comma e 458, secondo comma, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevedono, in caso di prospettazione di fatti nuovi o di nuove fonti di prova, la revoca del consenso al giudizio abbreviato o del provvedimento ammissivo di esso, contrastino:

 

- con l'art. 13 Cost., perchè la rinuncia negoziale, espressa col consenso a tale giudizio, all'eventuale effetto di circostanze accadute o emerse dopo di esso si tradurrebbe, in caso di condanna, in lesione del principio di indisponibilità della libertà personale;

 

-con l'art. 3 Cost., sia sotto il profilo del diverso trattamento, di fronte a prove < nuove>, dei soggetti giudicati col rito ordinario ovvero con quello abbreviato, sia sotto il profilo della diversa regolamentazione di questo a seconda che si tratti di reati di competenza del tribunale ovvero del pretore, dato che nel secondo caso, non essendovi una previa pronuncia sulla decidibilità allo stato degli atti, il procedimento resta reversibile fino alla fine della discussione (art. 562);

 

- con l'art. 27 Cost.: sia perchè la possibilità di una condanna senza colpevolezza lede il principio di personalità della responsabilità penale (primo comma); sia perchè la chiusura integrale alla prova nel processo è in contrasto con la presunzione di non colpevolezza (secondo comma); sia perchè se la pena si collega non alla commissione di un reato, ma ad un'opzione processuale compiuta prima che si manifestasse una prova potenziale dell'innocenza, ne resta frustrata la finalità rieducativa (terzo comma).

 

3. L' Avvocatura dello Stato contesta l'assunto interpretativo da cui muove la prima delle predette ordinanze, sostenendo che l'interrogatorio dell'imputato sarebbe incompatibile con il giudizio abbreviato e che perciò mancherebbe il presupposto da cui il giudice a quo desume la necessità di consentire la revoca dell'ordinanza ammissiva. Tale tesi non è però condivisa dalla Corte di cassazione (sez. I, 27 marzo 1991, n. 3501), oltre che dalla maggior parte della dottrina: di conseguenza, questa Corte non ritiene di poterla far propria.

 

Del pari non accoglibile è la tesi dell'Avvocatura - prospettata in riferimento alla seconda ordinanza-secondo la quale l'ordinanza ammissiva sarebbe revocabile già alla stregua dell'attuale disciplina, dato che la gran parte degli studiosi ne ritiene invece argomentatamente l'irrevocabilità.

 

4.-Alla base delle censure sta l'illustrazione di tre evenienze concretamente verificatesi nei due giudizi a quibus dopo l'emanazione dell'ordinanza ammissiva del rito abbreviato. Nel primo, la prospettazione da parte di uno dei due imputati, in sede di interrogatorio, di una versione del fatto diversa da quella resa all'atto della convalida dell'arresto e tale da comportare una sostanziale modifica dello < stato degli atti> considerato in sede di emanazione dell'ordinanza ammissiva e da richiedere ulteriori approfondimenti delle rispettive posizioni (alla stregua di essa, infatti, il coimputato avrebbe dovuto essere scagionato).

 

Nel secondo, il deposito di alcuni documenti coi quali la difesa tendeva a suffragare una versione del fatto diversa da quella emergente dalle indagini del pubblico ministero poste a base del rito abbreviato, documenti qualificati perciò dal giudice a quo come nuovi mezzi di prova in ordine a nuove circostanze di fatto; ed inoltre, il deposito di un'attestazione circa l'avvenuto risarcimento del danno, costituente nuova prova di una nuova circostanza.

 

A fronte di tali evenienze - osservano i giudici a quibus- sta la cristallizzazione del quadro probatorio rispetto al quale sono maturati l'accordo delle parti e la valutazione giudiziale di idoneità degli atti a consentire la decisione, che non consente nè la prospettazione di fatti nuovi nè l'introduzione di nuovi mezzi di prova sui fatti già ricompresi in tale quadro: onde la necessità di permettere che ciò avvenga attraverso la revoca dell'ordinanza ammissiva del giudizio abbreviato e la conseguente introduzione di quello ordinario, che sarebbe, a loro avviso, la soluzione idonea ad evitare il sacrificio dei principi costituzionali di cui lamentano la violazione.

 

5. - Le questioni, pur nella diversità delle norme impugnate e dei parametri costituzionali invocati, investono il nucleo essenziale dell'attuale disciplina del giudizio abbreviato, che si configura < < come giudizio 6a prova contratta", basato, cioè, su uno scambio in cui la riduzione di pena non ha come contropartita il solo interesse dell'ordinamento alla semplificazione attraverso la rinuncia dell'imputato al dibattimento ed il riconoscimento del valore di prova agli elementi acquisiti dal pubblico ministero, ma richiede, in più, la rinuncia al diritto ad eventuali allegazioni difensive> (sentenza n. 92 del 1992); un giudizio, in altri termini, in cui il meccanismo convenzionale fa premio sulle esigenze di accertamento reale del fatto e di salvaguardia del diritto dell'imputato a < difendersi provando> (cfr. art. 190 cod. proc. pen.).

 

Se ciò è vero, ne discende che lo scrutinio che la Corte è chiamata a compiere non può esaurirsi nella considerazione di aspetti particolari della disciplina, ma deve allargarsi a valutarne l'assetto complessivo e le implicazioni che sul piano costituzionale discenderebbero dalla correzione di tale assetto che i giudici rimettenti propongono.

 

In effetti, talune almeno delle censure avanzate evidenziano profili che non sono in sintonia rispetto al quadro costituzionale in riferimento.

 

Se si ammette che l'imputato possa rendere l'interrogatorio a propria difesa, e quindi prospettare circostanze esulanti dal quadro probatorio prefissato, non può poi stabilirsi che tali deduzioni siano a priori irrilevanti ed insuscettibili di verifica attraverso gli appropriati mezzi processuali di accertamento. In tal modo, il diritto di difesa resta mera enunciazione e vengono alterati i connotati propri all'esercizio della funzione giurisdizionale stabiliti negli artt. 101, secondo comma, 102, primo comma e 111, primo comma, della Costituzione. La legge può infatti, in vista di particolari esigenze, porre limitazioni agli strumenti probatori utilizzabili nel processo: ma una volta che ammetta l'ingresso di un determinato mezzo, non può poi, senza violare quei principi, prescrivere al giudice di non considerare gli elementi di giudizio che da esso scaturiscono ai fini della formazione del proprio convincimento.

 

Inoltre, se la legge sostanziale considera una certa circostanza, come il risarcimento del danno avvenuto prima del giudizio, come rilevante per connotare il < fatto> ai fini della commisurazione della sanzione, una norma processuale che stabilisce l'irrilevanza di tale circostanza precludendone la deduzione comporta che la responsabilità penale può essere affermata per un fatto che è, sia pure solo parzialmente, diverso da quello < proprio>: ciò che non può dirsi in armonia con il principio di < personalità> di tale responsabilità (art. 27, primo comma, Cost.).

 

6.-Per porre rimedio a siffatti vizi, ed agli altri da essi denunziati, i giudici a quibus propongono che la disciplina del giudizio abbreviato venga modificata nel senso di prevedere che, di fronte alle suesposte evenienze, sia consentito al giudice di revocare l'ordinanza ammissiva.

 

Ma una simile pronuncia < correttiva> non può considerarsi ammissibile, dato che la Corte non può introdurre modifiche normative che, per sanare vizi pur riconosciuti, siano suscettibili a loro volta, sotto altri profili, di dar luogo a censure di incostituzionalità.

 

In effetti, riesaminando le fattispecie già considerate dal punto di vista delle implicazioni della regressione al rito ordinario, è agevole constatare che, se la deduzione di una ragione di attenuazione di pena < fino ad un terzo> (ad esempio, l'avvenuto risarcimento del danno) dovesse condurre alla revoca di un rito che di per sè comporta la riduzione fissa di un terzo della pena, l'imputato sarebbe verosimilmente indotto a rinunciare alla stessa prospettazione dell'attenuante per non perdere tale beneficio.

 

Allo stesso modo, se l'esposizione di pur consistenti ragioni difensive -ad esempio, attraverso l'interrogatorio o la produzione di nuovi documenti - dovesse determinare il passaggio al rito ordinario, l'imputato 412 N. 318 - Sentenza 29 giugno 1992 si troverebbe posto nella difficile alternativa tra tentare di difendersi e rinunciarvi per beneficiare dello sconto di pena.

 

L'inammissibilità delle questioni, d'altra parte, emerge anche dalla considerazione che la soluzione della revocabilità dell'ordinanza ammissiva, non solo non appare idonea per le ragioni ora esposte a far fronte a tutte le implicazioni della configurazione del giudizio abbreviato come giudizio < a prova contratta>, ma non sarebbe neanche l'unica possibile, dato che ben potrebbe disporsi che l'introduzione di ulteriori elementi di giudizio avvenga nell'ambito dello stesso giudizio abbreviato, come del resto già si prevede in quello disciplinato dall'art.452, secondo comma, cod. proc. pen.

 

Questa Corte, invero, esaminando il problema sotto il diverso ma in certo modo complementare-profilo del condizionamento che alla delimitazione del quadro probatorio può derivare da scelte discrezionali del pubblico ministero, ha già sottolineato la necessità che la riconduzione dell'istituto < a piena sintonia con i princìpi costituzionali> avvenga mediante < l'introduzione di un meccanismo di integrazione probatoria> (sentenza n. 92 del 1992; cfr. anche, nella stessa direzione, in riferimento al giudizio di appello, la sentenza n. 470 del 1991).

 

Un simile meccanismo era peraltro già esplicitamente previsto nell'originario testo della legge delega (approvato dalla Commissione giustizia della Camera il 15 luglio 1982: direttive nn. 47 e 48) e la sua positiva previsione fu poi sostenuta da < ampia parte della Commissione redigente> (cfr. Relazione al progetto preliminare del codice, pp. 105-106).

 

Del resto, è lo stesso giudice rimettente, nella seconda delle ordinanze qui in esame, ad indicare tale soluzione come alternativa a quella poi proposta e ad evidenziarne l'idoneità a sanare le violazioni lamentate; e le considerazioni svolte nella presente decisione rafforzano indubbiamente tale prospettiva.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

1) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 440 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede la revocabilità dell'ordinanza ammissiva del giudizio abbreviato in caso di modifica dello stato degli atti conseguente all'interrogatorio dell'imputato, sollevata, in riferimento agli artt. 25, primo comma, 101, secondo comma, 102, primo comma e 111, primo comma, della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Torino con ordinanza del 23 aprile 1991;

 

2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 441, 442, primo comma e 458, secondo comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui, in caso di prospettazione di fatti nuovi o nuove fonti di prova, non consentono la revoca del provvedimento ammissivo del giudizio abbreviato, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 13 e 27 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Milano con ordinanza del 29 gennaio 1992.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 29/06/92.

 

Aldo CORASANITI, Presidente

 

Ugo SPAGNOLI, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 08/07/92.