Sentenza n. 300 del 1992

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SENTENZA N. 300

ANNO 1992

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-        Dott. Aldo CORASANITI, Presidente

-        Prof. Giuseppe BORZELLINO

-        Dott. Francesco GRECO

-        Prof. Gabriele PESCATORE

-        Avv. Ugo SPAGNOLI

-        Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

-        Prof. Antonio BALDASSARRE

-        Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-        Avv. Mauro FERRI

-        Prof. Luigi MENGONI

-        Prof. Enzo CHELI

-        Dott. Renato GRANATA

-        Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 458, primo e secondo comma, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 15 novembre 1991 dal Tribunale di Brindisi nel procedimento penale a carico di Caputi Aldo iscritta al n. 27 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.6, prima serie speciale, dell'anno 1992.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 15 aprile 1992 il Giudice relatore Cesare Mirabelli.

Ritenuto in fatto

1. - Con ordinanza emessa il 15 novembre 1991 nel procedimento penale a carico di Caputi Aldo il Tribunale di Brindisi ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 458, primo e secondo comma, del codice di procedura penale, in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

Il Tribunale ha osservato che in ordine alla richiesta di giudizio abbreviato formulata dall'imputato successivamente alla notifica del decreto che dispone il giudizio immediato la disposizione del codice di rito denunciata prevede il consenso o il dissenso motivato, ma non il "silenzio", del pubblico ministero. La sentenza della Corte costituzionale n. 81 del 1991 ha dichiarato la illegittimità dell'art. 458 del codice di procedura penale nella parte in cui non prevede che il pubblico ministero, in caso di dissenso sulla richiesta di giudizio abbreviato formulata dall'imputato, è tenuto ad enunciarne le ragioni, ma non ha previsto l'ipotesi del silenzio del pubblico ministero.

Il silenzio, ad avviso del Tribunale rimettente, non può essere considerato "consenso" (la cui manifestazione deve essere espressa) e non può avere il significato del dissenso: questo, in forza della citata sentenza n. 81 del 1991, deve essere motivato, perchè il giudice del dibattimento possa valutare le ragioni del dissenso ed eventualmente applicare la riduzione di pena prevista dall'art. 442 del codice di procedura penale.

Il giudice a quo ha osservato inoltre che, anche a voler ritenere il silenzio del pubblico ministero una manifestazione di dissenso, non lo si potrebbe comunque definire dissenso motivato. Da ciò il Tribunale di Brindisi deduce che il silenzio, non disciplinato dall'art. 458 del codice di procedura penale, precluderebbe al giudice la possibilità di esprimere, all'esito del dibattimento, una valutazione circa la fondatezza o meno delle ragioni del pubblico ministero.

2. - É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la infondatezza della questione.

Il caso prospettato rappresenterebbe, secondo l'Avvocatura, un momento di patologia processuale, che non può essere assunto a parametro per una norma in sè e per sè legittima. L'art. 458 del codice di procedura penale, prevedendo le sole ipotesi del consenso o del dissenso motivato, escluderebbe la possibilità per il pubblico ministero di astenersi legittimamente dal formulare il proprio parere: si tratta di un atto dovuto la cui omissione può avere rilievo sotto il profilo sia disciplinare che penale. L'Avvocatura ricorda in proposito che l'art.124 del codice di procedura penale impone ai magistrati l'osservanza delle norme di rito ed affida ai dirigenti degli uffici il compito della relativa vigilanza. Il silenzio del pubblico ministero deve essere considerato comportamento illegittimo. Non si può quindi ritenere che la norma, così come è formulata, sia carente di previsioni circa l'ipotesi del silenzio, in quanto la stessa norma ha inteso escludere proprio la possibilità di tale evenienza.

Considerato in diritto

1. - Il Tribunale di Brindisi dubita, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, della legittimità dell'art. 458, primo e secondo comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede - anche a seguito della sentenza di questa Corte n. 81 del 1991 (che ha dichiarato la illegittimità costituzionale della disposizione nella parte in cui non prevede che il pubblico ministero in caso di dissenso sulla richiesta di giudizio abbreviato proposta dall'imputato sia tenuto a enunciarne le ragioni) - l'ipotesi del silenzio del pubblico ministero, come tale non motivato, che precluderebbe la verifica della fondatezza o meno delle ragioni del dissenso ed in caso di condanna la applicabilità della diminuzione di pena prevista dall'art.442, secondo comma, del codice di procedura penale.

2. - La questione di legittimità costituzionale è stata prospettata dal giudice a quo sulla base di un duplice e necessario presupposto:

a) che il pubblico ministero, il quale non ha manifestato il proprio consenso alla richiesta di giudizio abbreviato avanzata dall'imputato successivamente al decreto che dispone il giudizio immediato, non possa più enunciare le ragioni del suo dissenso;

b) che in mancanza della formale enunciazione delle ragioni di tale dissenso il giudice, all'esito del dibattimento, non possa applicare la diminuzione di pena prevista dall'art. 442 del codice di procedura penale, se ritiene che il processo poteva essere definito, in conformità alla richiesta dell'imputato, allo stato degli atti.

Queste due premesse logiche appaiono inesatte.

L'art. 458 del codice di procedura penale, nel disciplinare la richiesta di giudizio abbreviato quando, apparendo evidente la prova, il pubblico ministero ha chiesto ed il giudice ha disposto il giudizio immediato, stabilisce che il pubblico ministero ha il termine di cinque giorni dalla notificazione della richiesta dell'imputato per esprimere il proprio consenso. La mancata manifestazione del consenso entro tale termine ha l'effetto che al decreto che dispone il giudizio immediato, già adottato ai sensi dell'art. 456 del codice di procedura penale, segue il dibattimento; ma non implica necessariamente che non possano più essere in seguito enunciate dal pubblico ministero le ragioni del mancato consenso sulla richiesta di giudizio abbreviato. Di tali ragioni il giudice del dibattimento, a conclusione dello stesso, terrà conto per valutare se il giudizio avrebbe potuto essere definito allo stato degli atti, con l'effetto sostanziale di applicare in tal caso la diminuzione di pena prevista dall'art. 442 del codice di procedura penale. Questa valutazione del giudice del dibattimento non ha la funzione di sindacare le "motivazioni" del dissenso del pubblico ministero in ordine al giudizio abbreviato e non ha effetto alcuno sul rito. Costituisce piuttosto una valutazione volta ad apprezzare, in caso di condanna, se il giudizio avrebbe già potuto essere a suo tempo definito con il rito abbreviato.

La mancata enunciazione formale del dissenso del pubblico ministero con le ragioni dello stesso non paralizza, nel caso di richiesta formulata dall'imputato successivamente al decreto che fissa il giudizio immediato, l'ulteriore corso del processo nè priva il giudice del dibattimento del potere di apprezzamento ai fini della applicazione della diminuzione di pena, tenendo conto di ogni valutazione a tal fine rilevante che il pubblico ministero abbia manifestato, eventualmente nel contesto della richiesta di giudizio immediato, ovvero anche della assoluta carenza di ragioni di dissenso per la celebrazione del giudizio abbreviato.

Mancano dunque le premesse dalle quali il giudice a quo muove per prospettare il dubbio di legittimità costituzionale. La questione sollevata non è pertanto fondata.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 458, primo e secondo comma, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Brindisi con ordinanza emessa il 15 novembre 1991.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15/06/92.

Aldo CORASANITI, Presidente

Cesare MIRABELLI, Redattore

Depositata in cancelleria il 24/06/92.