Ordinanza n. 262 del 1992

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ORDINANZA N. 262

ANNO 1992

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-        Prof. Giuseppe BORZELLINO, Presidente

-        Dott. Francesco GRECO

-        Prof. Gabriele PESCATORE

-        Avv. Ugo SPAGNOLI

-        Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

-        Prof. Antonio BALDASSARRE

-        Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-        Avv. Mauro FERRI

-        Prof. Luigi MENGONI

-        Prof. Enzo CHELI

-        Dott. Renato GRANATA

-        Prof. Giuliano VASSALLI

-        Prof. Francesco GUIZZI

-        Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 197 del codice di procedura penale promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 22 novembre 1991 dal Pretore di Asti nei procedimenti penali riuniti a carico di Santalucia Angela ed altri, iscritta al n. 18 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell'anno 1992;

2) ordinanza emessa il 17 ottobre 1991 dal Pretore di Pescara nei procedimenti penali riuniti a carico di Berghella Vincenzo ed altri, iscritta al n. 43 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7, prima serie speciale, dell'anno 1992.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri: udito nella camera di consiglio del 6 maggio 1992 il Giudice relatore Mauro Ferri.

RITENUTO che con le ordinanze in epigrafe, di contenuto sostanzialmente identico, il Pretore di Asti ed il Pretore di Pescara hanno sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 197, lett. b), del codice di procedura penale, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione;

che, in particolare, i giudici remittenti rilevano che l'art.197 vieta l'assunzione come teste solo del coimputato dello stesso reato o delle persone imputate di un reato connesso a norma dell'art. 12 del codice di procedura penale, o di un reato collegato a norma dell'art. 371, secondo comma, lett. b), mentre non prevede alcuna incompatibilità a testimoniare per le persone imputate di reati commessi in danno reciproco le une delle altre, le quali assumono vicendevolmente la veste di imputato e di persona offesa dal reato, come avviene nei giudizi a quibus;

che, a loro avviso, sarebbe invece evidente la sostanziale coincidenza delle situazioni sopraindicate, ai fini della posizione dei soggetti chiamati a deporre come testi, con conseguente violazione dei principi costituzionali di eguaglianza e della pari possibilità di tutela giurisdizionale, in veste di imputati di reati comunque connessi;

che in entrambi i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall' Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'infondatezza della questione.

CONSIDERATO che i giudizi possono essere riuniti per essere decisi congiuntamente poichè sollevano la medesima questione;

che questa Corte, con la sentenza n. 109 del 1992 ha già dichiarato non fondata questione identica (pur se formalmente sollevata in riferimento al solo art. 3 della Costituzione) rilevando che il criterio posto a base della norma impugnata, in ordine al divieto di essere assunto come testimone, è quello dell'esistenza di un vincolo probatorio tra i procedimenti nei quali il medesimo soggetto si trovi ad assumere rispettivamente la veste di imputato e quella di testimone: vincolo che sussiste sempre nei casi di coimputati dello stesso reato o di imputati di reati connessi a norma dell'art. 12 (art. 197, lett. a) e che, in ogni altro caso in cui si verifichi, sarà rilevato dal giudice a norma dell'art. 197, lett. b);

che, conseguentemente, - come ha chiarito la citata sentenza - la disciplina denunciata non può essere ritenuta discriminatoria nei confronti delle persone imputate di reati commessi in danno reciproco le une delle altre, in quanto sul piano del vincolo probatorio tale posizione non è certamente assimilabile a quella dei soggetti annoverati nell'art.197, lett. a), per i quali tale vincolo è in re ipsa, mentre nell'ipotesi in esame tale situazione può verificarsi o meno, e, ove in concreto il giudice rilevi l'esistenza di una vera e propria interferenza sul piano probatorio (nell'ipotesi di cui all'art. 371, secondo comma, lett.b), opererà allora, anche per coloro che siano imputati di un reato collegato, il divieto di essere assunti come testi, ai sensi dell'art. 197, lett. b);

che dette argomentazioni valgono pienamente ad escludere l'illegittimità della norma impugnata anche in ordine all'ulteriore profilo sollevato, in riferimento all'art. 24 della Costituzione, dai giudici a quibus;

che pertanto la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n, 87 e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 197 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dai Pretori di Asti e di Pescara con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 01/06/92.

Giuseppe BORZELLINO, Presidente

Mauro FERRI, Redattore

Depositata in cancelleria il 08/06/92.