Sentenza n. 260 del 1992

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SENTENZA N. 260

ANNO 1992

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-        Dott. Aldo CORASANITI, Presidente

-        Prof. Giuseppe BORZELLINO

-        Dott. Francesco GRECO

-        Prof. Gabriele PESCATORE

-        Avv. Ugo SPAGNOLI

-        Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

-        Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-        Prof. Luigi MENGONI

-        Prof. Enzo CHELI

-        Dott. Renato GRANATA

-        Prof. Giuliano VASSALLI

-        Prof. Francesco GUIZZI

-        Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 380, comma secondo, lettera g), del codice di procedura penale, in relazione all'art.5, ultimo comma, della legge 18 aprile 1975, n. 110 (Norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi), promosso con ordinanza, emessa il 7 settembre 1991 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Torino nel procedimento penale a carico di Di Tonno Francesca Daniela ed altri, iscritta al n. 69 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell'anno 1992.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 20 maggio 1992 il Giudice relatore Ugo Spagnoli.

Ritenuto in fatto

1.- Nel settembre del 1991, agenti della Questura di Torino procedettero all'arresto di tre persone colte in flagranza del delitto di cui agli artt.12-14 della legge 14 ottobre 1974, n. 497, in relazione all'art. 2 della legge 21 febbraio 1990, n. 36, perchè, in concorso tra loro, portavano illegalmente in luogo pubblico due pistole giocattolo prive del prescritto tappo rosso.

Il pubblico ministero, non ravvisando la sussistenza di ragioni cautelari, dispose la scarcerazione dei tre, chiedendo quindi, ai sensi dell'art. 121, comma secondo, disp. att. cod. proc. pen., la convalida del loro arresto.

Il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Torino ha ritenuto che nella specie si verificasse un'ipotesi di arresto obbligatorio in flagranza (con conseguente limitazione del controllo demandato al giudice della convalida ai soli profili di regolarità formale dell'atto) ai sensi dell'art. 380, comma secondo, lettera g), cod. proc. pen., che prevede appunto l'arresto obbligatorio in flagranza per il delitto di illegale porto in luogo pubblico o aperto al pubblico di più armi comuni da sparo, escluse quelle previste dall'art. 2, comma terzo, della legge 18 aprile 1975, n. 110 (armi da bersaglio da sala o ad emissione di gas ed armi ad aria compressa).

Secondo il Giudice per le indagini preliminari di Torino tale reato sussiste, ed è quindi obbligatorio l'arresto in flagranza, anche quando la condotta si riferisce ad armi giocattolo prive del prescritto tappo rosso, posto che in virtù dell'art. 2, comma secondo, della legge 21 febbraio 1990, n. 36, "Quando l'uso o il porto d'armi è previsto quale elemento costitutivo o circostanza aggravante del reato, il reato stesso sussiste o è aggravato anche qualora si tratti di arma per uso scenico o di giocattoli riproducenti armi la cui canna non sia occlusa a norma del quarto comma".

Ciò premesso, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Torino, con ordinanza del 7 settembre 1991 (r.o. n. 69/92), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art.380, comma secondo, lettera g), cod. proc. pen. in relazione all'ultimo comma dell'art. 5, legge 18 aprile 1975, n.110, introdotto dall'art. 2, comma secondo, della legge 21 febbraio 1990, n. 36.

Ritiene infatti il giudice remittente che l'obbligatorietà dell'arresto in flagranza nell'ipotesi di porto in luogo pubblico o aperto al pubblico di armi giocattolo prive del tappo rosso determina una violazione del principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione sotto due profili.

Il primo è quello dell'identità del trattamento così disposta per fatti che sono innegabilmente diversi in relazione alle ragioni che giustificano la previsione dell'arresto obbligatorio in flagranza, dato che solo il porto di arma vera, non anche quello di arma giocattolo, presenta concrete potenzialità lesive e denota particolare pericolosità dell'agente. Nè potrebbe opporsi il rilievo che il porto di arma giocattolo con canna non occlusa implica disponibilità a servirsene, ottenendo così l'effetto intimidatorio che le è proprio: infatti, ciò potrebbe rilevare, tutt'al più, nei casi in cui si discute dell'aggravante dell'uso delle armi, ma non certo nel caso in cui il porto sia l'unico elemento costitutivo del reato e dunque si prescinda dalla considerazione delle possibilità di utilizzo dell'arma.

Il secondo profilo è quello della irragionevole disparità di trattamento rispetto alle armi di cui all'art. 2, comma terzo, della legge n.110 del 1975, dato che, nel caso - ad esempio - di porto illegale di più armi ad aria compressa (aventi certamente un grado di offensività superiore a quello delle armi giocattolo), l'arresto obbligatorio è espressamente escluso dal medesimo art. 380, comma secondo, lettera g), cod. proc. pen..

2.- É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o comunque infondata, in quanto l'ultimo comma dell'art. 5, legge n. 110 del 1975, introdotto dall'art. 2, comma secondo, della legge n. 36 del 1990, opera una estensione della sola disciplina sanzionatoria del porto di armi comuni da sparo al porto di armi giocattolo prive del prescritto tappo rosso, ma non legittima alcuna confusione tra le due tipologie di reato, ai fini dell'applicazione della norma denunciata.

Considerato in diritto

1.- Il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Torino ha sollevato questione di legittimità costituzionale, per contrasto con l'art.3 Cost., dell'art. 380, comma secondo, lettera g), del codice di procedura penale in relazione all'art. 5, ultimo comma, della legge 18 aprile 1975, n.110.

La disposizione del codice di procedura penale impugnata prevede, tra l'altro, l'arresto obbligatorio in flagranza per il delitto di illegale porto in luogo pubblico o aperto al pubblico di più armi da sparo, (escluse quelle previste dall'art. 2, comma terzo, della legge 18 aprile 1975, n. 110). Il giudice remittente ritiene che tale misura si applichi anche nei confronti di chi porta in luogo pubblico o aperto al pubblico come pluralità di armi per uso scenico o di giocattoli riproducenti armi la cui canna non sia occlusa con visibile tappo rosso incorporato, in quanto l'art.5, ultimo comma, della legge n. 110 del 1975 (come modificato dall'art. 2, comma secondo, della legge 21 febbraio 1990, n. 36) avrebbe equiparato ad ogni effetto il porto di arma giocattolo con canna non occlusa da tappo rosso al porto d'arma da sparo. Ciò si desumerebbe - secondo il giudice a quo - dal tenore letterale di detta norma, per la quale, quando l'uso o il porto d'armi è previsto quale elemento costitutivo o circostanza aggravante del reato, il reato sussiste o è aggravato anche qualora si tratti di armi per uso scenico o di giocattoli riproducenti armi la cui canna non sia occlusa da tappo rosso incorporato.

Ciò premesso il giudice remittente ritiene che l'equiparazione tra le due fattispecie operi anche in relazione all'arresto obbligatorio in flagranza, previsto dalla citata disposizione contenuta nell'art. 380 cod. proc. pen.: di qui i dubbi sulla conformità di questa norma all'art. 3 della Costituzione, stante la ben diversa pericolosità del porto di una pluralità di armi giocattolo prive di tappo rosso incorporato nella canna, rispetto al porto di una pluralità di armi da sparo.

2.- La questione di legittimità costituzionale così sollevata trova il suo presupposto nella accennata interpretazione adottata dal giudice a quo, circa la portata dell'ultimo comma dell'art. 5 della legge n. 110 del 1975 come novellato dal citato art. 2, comma secondo, della legge n. 36 del 1990.

Secondo il remittente "appare chiaro come il tenore letterale della norma, nella parte che qui interessa, sia inequivocabilmente quello secondo cui, poichè il porto è elemento costitutivo del reato di porto d'armi, qualora l'arma portata sia un giocattolo privo di tappo rosso, tale condotta costituisce reato, più in particolare il delitto di porto illegale di arma comune da sparo" già previsto dagli artt. 12 e 14 della legge n. 497 del 1974 rispetto al quale l'art. 5, ultimo comma, della legge n. 110 del 1975 opererà come ulteriore specificazione di condotta incriminatrice. Più ancora, per l'ordinanza di rimessione, la scelta sottesa alla norma - così interpretata - di ricollegare una sanzione penale al porto d'armi giocattolo in luogo pubblico o aperto al pubblico, viene ritenuta "sommamente opportuna", anche in riferimento ad una pronunzia di questa Corte (sentenza n. 171 del 1986 richiamata dalla sentenza n. 285 del 1991) secondo la quale la norma è mirata a prevenire energicamente usi distorti fraudolentemente criminosi.

Ma la interpretazione assunta dal giudice a quo contrasta con il diritto vivente formatosi per effetto della soluzione adottata dalle Sezioni Unite della Cassazione (sentenza 23 marzo 1992, n. 3394) per la quale il porto d'armi giocattolo privo di tappo rosso in luogo pubblico o aperto al pubblico non costituisce reato.

L'interpretazione fornita dal giudice cui è demandata la funzione nomofilattica elimina il presupposto stesso della questione di costituzionalità sollevata dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Torino.

Onde la questione di costituzionalità sollevata va dichiarata non fondata.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.380, comma secondo, lettera g) del codice di procedura penale in relazione all'art. 5, ultimo comma, della legge 18 aprile 1975, n. 110 (Norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi) in riferimento all'art. 3 della Costituzione sollevata dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Torino con ordinanza del 7 settembre 1991.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 01/06/92.

Aldo CORASANITI, Presidente

Ugo SPAGNOLI, Redattore

Depositata in cancelleria il 08/06/92.