Sentenza n. 258 del 1992

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SENTENZA N. 258

ANNO 1992

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-        Dott. Aldo CORASANITI, Presidente

-        Prof. Giuseppe BORZELLINO

-        Dott. Francesco GRECO

-        Prof. Gabriele PESCATORE

-        Avv. Ugo SPAGNOLI

-        Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

-        Prof. Antonio BALDASSARRE

-        Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-        Avv. Mauro FERRI

-        Prof. Luigi MENGONI

-        Prof. Enzo CHELI

-        Dott. Renato GRANATA

-        Prof. Giuliano VASSALLI

-        Prof. Francesco GUIZZI

-        Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 10 del regio decreto- legge 14 aprile 1939, n. 636 (Modificazioni delle disposizioni sulle assicurazioni obbligatorie per l'invalidità e la vecchiaia, per la tubercolosi e per la disoccupazione involontaria, e sostituzione dell'assicurazione per la maternità con l'assicurazione obbligatoria per la nuzialità e la natalità), convertito nella legge 6 luglio 1939, n.1272, come modificato dall'art. 8 del decreto-legge 12 settembre 1983, n.463 (Misure urgenti in materia previdenziale e sanitaria e per il contenimento della spesa pubblica, disposizioni per vari settori della pubblica amministrazione e proroga di taluni termini), convertito nella legge 11 novembre 1983, n. 638, promosso con ordinanza emessa il 20 maggio 1991 dalla Corte di cassazione nel procedimento civile vertente tra I.N.P.S. e Buccelli Luigi ed altri, iscritta al n. 8 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell'anno 1992.

Visto l'atto di costituzione dell'I.N.P.S., nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 5 maggio 1992 il Giudice relatore Luigi Mengoni;

udito l'Avvocato dello Stato Giorgio D'Amato per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. Nel corso del giudizio sul ricorso proposto dall'INPS contro Luigi Buccelli e altri per l'annullamento della sentenza del Tribunale di Napoli 3/17 luglio 1989, n. 1585, la Corte di cassazione, con ordinanza del 20 maggio 1991, pervenuta alla Corte costituzionale il 9 gennaio 1992, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 38 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 10 del r.d.l. 14 aprile 1939, n. 636, convertito nella legge 6 luglio 1939, n.1272, come modificato dall'art. 8 del d.l. 12 settembre 1983, n.463, convertito nella legge 11 novembre 1983, n. 638, nella parte in cui non esclude dalla determinazione del reddito annuo lordo, ai fini del diritto alla pensione di invalidità, le somme percepite dall'assicurato a titolo di arretrati da lavoro dipendente o da prestazioni previdenziali e non ne dispone, invece, il computo, mediante ricalcolo, nell'anno di maturazione del credito.

Ad avviso del giudice a quo, la norma denunciata crea disparità di trattamento tra soggetti in identica situazione, in quanto i lavoratori che percepiscono con ritardo emolumenti afferenti ad anni anteriori al periodo di paga in corso ricevono un trattamento deteriore rispetto ad altri lavoratori che, nella stessa situazione, hanno percepito tempestivamente gli stessi emolumenti.

Sarebbe violato anche l'art. 38, secondo comma, Cost. perchè, pur in presenza dei presupposti fissati in generale dalla legge per il diritto alla pensione, esclude tale diritto in considerazione di un fatto del tutto estrinseco alla situazione soggettiva dell'assicurato, quale la percezione degli arretrati.

Gli argomenti con cui analoga questione è stata ritenuta infondata da questa Corte, con sentenza n. 1067 del 1988 in relazione alla prestazione degli assegni familiari non sarebbero estensibili alla pensione di invalidità a ragione sia della diversa natura, sia della diversità di situazione soggettiva presupposta dalla prestazione previdenziale di cui ora si tratta.

2. Nel giudizio davanti alla Corte si è costituito l'INPS chiedendo che la questione sia dichiarata infondata per i medesimi motivi svolti nella citata sentenza n. 1067 del 1988, attesa l'inconsistenza della disparità di natura e di presupposti postulata nell'ordinanza di rimessione.

3. É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, concludendo per l'infondatezza della questione.

In particolare, a sostegno della razionalità del criterio di cassa adottato dalla legge, l'Avvocatura osserva che la mancata percezione di un reddito in un certo anno non consente di ritenere effettiva e realizzata, in quell'anno, la capacità economica corrispondente a quel reddito, con la conseguenza che l'opposto criterio di competenza porterebbe contraddittoriamente a considerare "non dovuta", per il fatto sopravvenuto del pagamento di arretrati, e quindi soggetta a recupero con i relativi oneri, una pensione erogata proprio in ragione di una verificata non differibile situazione di bisogno.

Considerato in diritto

1. La Corte di cassazione ritiene contrastante con gli artt. 3 e 38 Cost. l'art. 10 del r.d.l. 14 aprile 1939, n. 636, convertito in legge 6 luglio 1939, n. 1272, nel testo sostituito dall'art. 8 del d.l. 12 settembre 1983, n. 463, convertito in legge 11 novembre 1983, n.638, nella parte in cui include nel computo del reddito annuo lordo, ai fini del diritto alla pensione di invalidità, le somme percepite dall'assicurato a titolo di arretrati da lavoro dipendente o da rapporti previdenziali, anzichè escluderle disponendo il ricalcolo del reddito afferente all'anno di maturazione del credito.

2. La questione non è fondata.

Essa ripropone l'alternativa tra criterio di cassa e criterio di competenza, ai fini della valutazione della posizione reddituale dell'assicurato, già esaminata da questa Corte (sent. n. 1067 del 1988) con riguardo agli assegni familiari, la cui prestazione è pure subordinata a un limite di reddito.

Secondo il giudice remittente, gli argomenti con cui sono state respinte le censure rivolte contro la scelta del criterio di cassa non possono riproporsi nel presente giudizio, dato "il divario concettuale esistente tra la maggiorazione degli assegni familiari e la pensione di invalidità": questa presuppone già in atto uno stato di bisogno dell'assicurato, quelli, invece, tendono a impedire l'insorgere di uno stato di bisogno per effetto del mancato adeguamento del reddito del lavoratore ai carichi familiari.

L'asserito divario concettuale, quale che ne sia in astratto la consistenza logica, è privo di fondamento nel diritto positivo.

Sia gli assegni familiari sia la pensione di invalidità sono prestazioni previdenziali, erogate mediante un sistema assicurativo sul presupposto della sopravvenienza di uno stato di bisogno prodotto dalla presenza di familiari a carico o, rispettivamente, di una menomazione della capacità di guadagno. Ne consegue che, anche ai fini del diritto alla pensione di invalidità, come in ogni altro caso in cui la legge subordina l'intervento della tutela previdenziale a un limite di reddito, tale limite va inteso - giusta il concetto dell'art. 38, secondo comma, Cost. - nel senso di condizione effettiva, di concreta, attuale disponibilità di mezzi economici, mentre è irrilevante che una somma percepita nell'anno considerato si riferisca anzichè allo stesso anno, ad anni precedenti, cioé che si tratti di un arretrato soggetto a tassazione separata.

Con questo concetto è coerente la scelta del criterio di cassa, mentre il criterio di competenza determinerebbe il limite in base a una capacità patrimoniale potenziale, realizzata successivamente al periodo di riferimento del computo e quindi inidonea a prevenire, nel corso di tale periodo, lo stato di bisogno dell'assicurato.

L'altro argomento addotto a giustificazione del criterio di cassa è svalutato dal giudice a quo muovendo da una premessa che riduce il principio di economicità alla sola esigenza di risparmiare operazioni di ricalcolo incidenti sui costi di gestione (esigenza reputata meno pressante in ragione del grado elevato di informatizzazione raggiunto dalla gestione dell'INPS), mentre questo principio deve essere salvaguardato soprattutto sotto il profilo dell'esigenza di evitare all'Istituto l'alea del recupero di somme risultanti indebitamente corrisposte e agli assicurati la pena dell'obbligo di restituirle.

3. L'art. 3 Cost. non è violato nemmeno sotto specie del principio di eguaglianza. La situazione degli assicurati che percepiscono in ritardo emolumenti maturati in un anno anteriore al periodo paga in corso non è confrontabile con quella di coloro che hanno ricevuto tempestivamente il pagamento: solo per i primi si pone il problema circa il metodo di computo del limite di capacità economica cui la legge subordina l'intervento di misure sociali a sostegno del reddito.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.10 del r.d.l. 14 aprile 1939, n. 636 (Modificazioni delle disposizioni sulle assicurazioni obbligatorie per l'invalidità e la vecchiaia, per la tubercolosi e per la disoccupazione involontaria, e sostituzione dell'assicurazione per la maternità con l'assicurazione obbligatoria per la nuzialità e la natalità), convertito nella legge 6 luglio 1939, n.1272, come modificato dall'art. 8 del d.l. 12 settembre 1983, n.463 (Misure urgenti in materia previdenziale e sanitaria e per il contenimento della spesa pubblica, disposizioni per vari settori della pubblica amministrazione e proroga di taluni termini), convertito nella legge 11 novembre 1983, n. 638, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, dalla Corte di cassazione con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 01/06/92.

Aldo CORASANITI, Presidente

Luigi MENGONI, Redattore

Depositata in cancelleria il 08/06/92.