Sentenza n. 256 del 1992

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SENTENZA N. 256

ANNO 1992

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-        Dott. Aldo CORASANITI, Presidente

-        Prof. Giuseppe BORZELLINO

-        Dott. Francesco GRECO

-        Prof. Gabriele PESCATORE

-        Avv. Ugo SPAGNOLI

-        Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

-        Prof. Antonio BALDASSARRE

-        Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-        Avv. Mauro FERRI

-        Prof. Luigi MENGONI

-        Prof. Enzo CHELI

-        Dott. Renato GRANATA

-        Prof. Giuliano VASSALLI

-        Prof. Francesco GUIZZI

-        Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 31 della legge 28 febbraio 1986, n.41 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 1986), come modificato dall'art.10 della legge 11 marzo 1988, n. 67 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 1988) e 5, quattordicesimo comma, della legge 29 dicembre 1990, n. 407 (Disposizioni diverse per l'attuazione della manovra di finanza pubblica 1991-93), promossi con n. 6 ordinanze di diverse Autorità giudiziarie iscritte rispettivamente ai nn. 337, 404, 427, 438, 517 del registro ordinanze 1991 e n. 21 del registro ordinanze 1992, pubblicate nelle Gazzette Ufficiali della Repubblica nn. 22, 23, 25, 27, 33, prima serie speciale, dell'anno 1991 e n.6, prima serie speciale, dell'anno 1992.

Visti gli atti di costituzione di Giannino Cervia ed altri e dell'I.N.P.S. nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 19 maggio 1992 il Giudice relatore Giuseppe Borzellino;

uditi gli avvocati Anna Notarstefano per Giannino Cervia ed altri, Carlo De Angelis e Fausto Prosperi Valenti per l'I.N.P.S. e l'avvocato dello Stato Antonio Bruno per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza emessa il 15 marzo 1991 dal Pretore di La Spezia, nei procedimenti civili riuniti vertenti tra Rodolfo Furter ed altri e I.N.P.S. ed altro (Reg.ord. n.337 del 1991), è stata sollevata questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art.31 della legge 28 febbraio 1986, n.41 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 1986) e dell'art.10 della legge 11 marzo 1988, n.67 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 1988), per contrasto con gli artt. 3, 53 e 97 della Costituzione.

Il giudizio a quo verte sui ricorsi di liberi professionisti e lavoratori autonomi che hanno chiesto al Pretore del Lavoro di dichiarare che gli stessi non sono tenuti al versamento del contributo di malattia di cui alla detta norma.

L'ordinanza richiama quanto affermato dalla Corte costituzionale nelle sentenze n.431 del 1987 e n. 534 del 1989; in particolar modo si ricorda quanto considerato nella sentenza n. 534 e cioé "di aver riconosciuto fin dal 1987 le manifeste incongruenze originate da una globale infondatezza del contenuto normativo; di aver tuttavia escluso nell'immediato la illegittimità costituzionale dell'art.31 della legge 28 febbraio 1986, n.41 nella mera considerazione che il sistema veniva a costituire l'ultimo anello di congiunzione tra il ristretto campo mutualistico del passato e l'odierna realtà di civile solidarismo cui il Servizio Sanitario Nazionale va indubbiamente adeguato; di auspicare la necessità e l'urgenza di una regolamentazione paritaria per tutti i cittadini; di poter ancora eccezionalmente consentire, seppure in via estremamente contingente, la permanenza della vigente normativa di contribuzione di malattia (art.31 legge n. 41 del 1986 e art. 10 legge n.67 del 1988)".

Si osserva, poi, come la Corte abbia quindi dichiarato ancora una volta non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 10 della legge n.67 del 1988 soltanto in un'ottica di "temporaneità estrema" con la specifica avvertenza "che il protrarsi dell'inerzia ovvero il perpetuarsi dell'adozione di interventi disarmonici ed episodici, avulsi dalle garanzia costituzionali, non potrà non essere seguito, nell'immediato futuro, da un conseguente adeguato riesame della materia".

Secondo il Pretore, va rilevato che ad oltre dieci anni dall'entrata in vigore della riforma sanitaria la struttura originaria del sistema contributivo provvisorio continua ad essere sostanzialmente inalterata.

Si insiste, perciò, nell'incostituzionalità del contributo di malattia così previsto, con riferimento all'art. 3 della Costituzione, cioè "al principio di eguaglianza inteso come espressione di coerenza e di armonia dell'ordinamento giuridico", per l'insussistenza di chiarezza in tema di spesa sanitaria.

Ciò integrerebbe anche una violazione del principio di buon andamento della Pubblica Amministrazione con riferimento all'art. 97 della Costituzione.

In contrasto con gli artt. 3 e 53 della Costituzione si deducono ancora le differenti aliquote contributive imposte a lavoratori dipendenti, lavoratori autonomi e liberi professionisti pur trovandosi nell'identica situazione di cittadini assistiti, produttori di reddito, lavoratori e non.

2. - Con quattro ordinanze di analogo contenuto (Reg.ord. n.404, n.427, n.438 e n.517), tutte emesse nel 1991 dal Tribunale di Ravenna nei procedimenti civili d'appello vertenti tra I.N.P.S. ed altri, lavoratori autonomi e liberi professionisti, è stata sollevata "questione di legittimità costituzionale dell'art. 31, ottavo comma, della legge 28 febbraio 1986, n.41 e, per quanto occorrer possa, dell'art. 10, sesto comma, della legge 11 marzo 1988, n.67 in relazione ai principi costituzionali in materia di prelievo fiscale e capacità contributiva e, in particolare, all'art.53 della Costituzione".

Sul rilievo che l'art.10, sesto comma, della legge n. 67 del 1988 introducendo il riferimento al "reddito effettivo" non abbia inciso sulla base di calcolo del contributo in parola, non avendo inteso certamente far riferimento al "reddito netto", il Tribunale assume che pare fuori dubbio come l'impugnata disposizione, col richiamo al "reddito complessivo ai fini dell'IRPEF", faccia riferimento al reddito lordo.

La disposizione in questione così interpretata ad avviso del Tribunale "si appalesa in contrasto con i principi generali dell'ordinamento in materia di capacità contributiva e prelievo fiscale (in particolare art. 53 Cost.), che, pur dovendosi escludere la natura specificamente tributaria del contributo..., rilevano in materia in quanto, facendo riferimento al reddito complessivo ai fini IRPEF, il legislatore ha comunque assunto a giustificazione e misura del dovere del singolo di contribuire alla spesa sanitaria la capacità contributiva dello stesso.

Apparirebbe, quindi, in contrasto con ogni principio di logica e razionalità attribuire ad un medesimo soggetto differenti capacità di concorrere alle spese pubbliche".

3.1 - Nei giudizi si è costituito l'I.N.P.S. concludendo per l'inammissibilità o l'infondatezza delle questioni.

In particolare, sulla questione sollevata dal Pretore di La Spezia viene dedotto che una "certa omogeneità di trattamento" sarebbe stata realizzata con l'art. 5, tredicesimo comma, legge 29 dicembre 1990, n.407, relativa alle pensioni superiori all'importo annuo lordo di L. 18.000.000 di lire, avendo disposto un contributo nella stessa misura di quello dei lavoratori dipendenti.

Quanto alla questione sollevata dal Tribunale si rileva che la legittimità dell'art. 31, comma ottavo, è stata già posta al vaglio della Corte con le richiamate sentenze che ne hanno esclusa l'incostituzionalità, permanendo ancora nel contributo in parola la "tradizionale connotazione assicurativa". Non vi sarebbero dubbi circa il riferimento, da parte della norma impugnata, al "reddito complessivo lordo" ai fini IRPEF (e non al "reddito imponibile netto") senza che possano quindi avere rilievo gli "oneri deducibili" di rilevanza prettamente tributaria.

Si sono costituiti alcuni ricorrenti associandosi ai dubbi dedotti dai remittenti.

3.2 - É intervenuto nei giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l'infondatezza delle questioni sollevate.

4. Con ordinanza emessa il 30 novembre 1991 dal Pretore di Lecce nel procedimento civile vertente tra Quarta Vito ed altri e I.N.P.S. ed altro (Reg. ord. n.21/92) è stata sollevata questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 5, quattordicesimo comma, della legge 29 dicembre 1990, n.407 (Disposizioni diverse per l'attuazione della manovra di finanza pubblica 1991- 1993), nella parte in cui fissa un limite minimo di reddito ai fini della determinazione del contributo sociale di malattia dovuto dai liberi professionisti, per effetto del rinvio all'art. 1, terzo comma, della legge del 2 agosto 1990, n.233 (Riforma dei trattamenti pensionistici dei lavoratori autonomi), in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

Rilevato che nei giudizi a quibus si discute dell'ammontare dei contributi sociali di malattia dovuti dai ricorrenti, quali avvocati e procuratori iscritti nell'apposito albo tenuto presso il Consiglio dell'Ordine di Lecce, il Pretore osserva che, per effetto della norma impugnata, il livello minimo di reddito sul quale calcolare il contributo sociale di malattia dovuto dai liberi professionisti è corrispondente, per l'anno 1991, a L. 15.399.384 (L.49.357 - minimale giornaliero stabilito per gli operai del settore artigianato e commercio - x 312).

Il meccanismo previsto sembrerebbe contrastare con l'art. 3 della Costituzione perchè la presunzione assoluta di una produzione minima di reddito ai fini IRPEF porterebbe irrazionalmente a pregiudicare quei liberi professionisti che dovessero aver conseguito un reddito inferiore.

Questi, infatti, verrebbero obbligati a pagare un contributo superiore al 5% del reddito complessivo ai fini IRPEF per l'anno 1990 a norma dell'art.31, ottavo comma, legge 28 febbraio 1986, n.41, pur trovandosi, come la maggior parte dei ricorrenti, nella condizione di aver da poco tempo avviato l'attività professionale, sì da avere piuttosto bisogno di una maggiore tutela legislativa.

Viene richiamata la sentenza della Corte costituzionale n.431 del 1987 che, con riferimento all'art. 31, comma 10, della legge n.41 del 1986, ebbe a dichiarare l'illegittimità costituzionale di pressocchè analoga disposizione.

5.1 - Si è costituito in giudizio l'I.N.P.S. concludendo per l'inammissibilità e l'infondatezza della questione.

Sulla possibilità per il legislatore di "dettare norme diverse per regolare situazioni che esso ritiene diverse" vengono, tra l'altro, richiamate le norme sui condoni, nonchè sulle presunzioni di reddito.

Viene, comunque, posta in evidenza la complessità, anche in termini temporali, di una riorganizzazione del sistema sanitario, disposta secondo una programmata gradualità in vista dell'interesse generale.

5.2 - É intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l'infondatezza della questione.

A sostegno, vengono poste in evidenza le presunzioni in materia tributaria, costituzionalmente legittime se basate su elementi che le giustifichino razionalmente.

Nella specie, il riferimento tenuto presente dal legislatore sarebbe "estremamente basso" e come tale ragionevole e legittimo.

Considerato in diritto

1. I giudizi vertono su identiche o comunque connesse questioni: vanno riuniti, pertanto, per formare oggetto di un'unica pronuncia.

2. Il Pretore di La Spezia (ord. n.337) ravvisa incoerenza nella struttura del sistema contributivo di malattia previsto dall'art.31 legge 28 febbraio 1986, n.41 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 1986) e dall'art. 10 legge 11 marzo 1988, n. 67 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 1988), richiamando il contenuto delle sentenze di questa Corte n.431 del 1987 e n. 534 del 1989.

Ritiene, in conseguenza, che la normativa di cui trattasi avrebbe violato tanto l'art. 3 della Costituzione, quanto, per la mancata attuazione del programma di fiscalizzazione, il successivo art. 53; ed anche, in assenza di "una puntuale individuazione dei costi del Servizio sanitario nazionale", i principi di buon andamento desumibili dall'art. 97.

Più indicativamente il Tribunale di Ravenna (ordinanze nn.404, 427, 438 e 517) ritiene che le disposizioni contenute nell'ottavo comma dell'art. 31, legge n.41 del 1986 citata e nel sesto comma dell'art. 10 legge n.67 del 1988 pure citata, farebbero riferimento, per il calcolo del contributo di malattia, al reddito lordo degli interessati e non già a quello netto, ponendosi in tal modo in contrasto con "i principi costituzionali in materia di prelievo fiscale e capacità contributiva", garantiti dall'art. 53 della Costituzione.

3.1 - Le questioni, così poste dai giudici a quibus, non appaiono fondate.

Sostanzialmente, le ordinanze di rimessione si richiamano alla pregressa giurisprudenza, in punto, di questa Corte, la quale ha già avuto modo di considerare (sentenza n. 534 del 1989 e sentenza n.431 del 1987) una incoerenza di fondo, ovviamente incidente negativamente sull'intero costrutto del sistema, per un discontinuo atteggiarsi delle disposizioni di prelievo contributivo, che vengono a difettare, nella loro disarmonia, di una compiuta razionalità.

E tutto ciò, ha rilevato nel passato la Corte, è frutto precipuo di una sempre contingente, e non puntuale e organica, individuazione dei costi del servizio sanitario, la cui equilibrata previsione e distribuzione, in uno all'effettivo incremento dell'efficienza, avrebbe senz'altro portato, per contro, e porterebbe a realizzare anche sul versante delle occorrenti entrate un sistema univoco nelle sue previsioni e certo nei suoi contenuti e scopi.

3.2 - Tuttavia, va notato, proprio in tema di configurazione corretta del prelievo sul quale si incentrano gli appunti dei giudici a quibus, come più recente normativa (legge 30 dicembre 1991, n.413, recante disposizioni...per razionalizzare, facilitare e potenziare l'attività di accertamento...) abbia disposto all'art. 14, primo comma, che il contributo per le prestazioni del Servizio sanitario nazionale sia "dovuto sulla base degli imponibili", soggiungendosi, secondo comma, che ai fini dell'accertamento e della riscossione del contributo "si applicano le disposizioni vigenti in materia di imposte sui redditi".

D'altra parte, risulta predisposto un riordinamento del Servizio sanitario nazionale con misure di contenimento della spesa sanitaria, recante - tra l'altro - sia una valenza triennale del piano sanitario nazionale che l'istituzione di un fondo sanitario interregionale di parte corrente.

Coevamente si stabiliva l'efficacia della completa fiscalizzazione degli inerenti oneri sociali a decorrere dal 1 gennaio 1995: le norme in parola sono rimaste in fieri, peraltro, per l'intervenuto scioglimento delle Camere.

V'è dunque, in ogni caso, da notare l'iniziato sforzo di pervenirsi al superamento di una avvertita disorganicità pregressa e tuttavia in gran parte ancora esistente.

La Corte prende atto di tanto considerandolo un inizio, nella esigenza della messe di trasformazione necessaria per gli scopi primari di una tutela del bene insopprimibile della salute costituzionalmente protetto.

Peraltro, le preoccupazioni e le perplessità recate dall'attuale normazione, ancor caratterizzata da forti incertezze e disarmonie permangono: se dunque, precipuamente per i motivi contingenti che traspaiono, può consentirsi una proroga, nel breve periodo, per una meditata attuazione graduale e pur tuttavia esaustiva, si impone, comunque, una risoluzione sollecita, piena, nei sensi indicati, atta a far corrispondere nella spesa sanitaria il sacrificio contributivo di tutti con criteri solidaristici a favore dei meno abbienti. E ciò in correlazione con un servizio sicuro, identicamente a tutti assicurato nella sua efficienza.

Una tale realizzazione, sia in termini di prelievo delle risorse che di coeva correttezza degli interventi, non potrebbe venir protratta per lassi temporali fuor di misura, senza che la Corte venga poi costretta a quei definitivi interventi che restano, ove occorressero, nella sua competenza.

Nei delineati sensi, la questione va dichiarata non fondata.

4. Il Pretore di Lecce (ord. n.21) ravvisa l'illegittimità dell'art. 5, n.14, della legge 29 dicembre 1990, n.407 (Disposizioni diverse per l'attuazione della manovra di finanza pubblica 1991-1993) là dove, per i soggetti ivi contemplati, nella determinazione del contributo è posto, per relationem con altre disposizioni di legge, un tetto minimo contributivo comunque dovuto.

La Corte è chiamata, in tal modo, a decidere se la disposizione contrasti con il principio d'eguaglianza, riposando essa su di una situazione che può rivelarsi, all'esame concreto, anche fittizia: non corrispondente, cioé, alla reale situazione del soggetto, come è stato già considerato, in passato, in ordine a pressocchè analoga normativa dichiarata, in conseguenza, affetta da illegittimità costituzionale (sentenza n.431 del 1987).

Anche la questione odierna va accolta, dunque, per la parte in cui la norma non consente - a fronte della forza probante imposta in astratto - la prova contraria.

Per effetto conseguenziale (ex art. 27 legge 11 marzo 1953, n.87) l'identico provvedimento va adottato a riguardo della consimile contribuzione (pure contenuta nel ridetto art.5, comma 14, legge n.407 cit.) imposta ai coltivatori diretti, mezzadri e coloni e rispettivi concedenti, nonchè per ciascun componente dei rispettivi nuclei familiari.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi;

1) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 5, quattordicesimo comma, della legge 29 dicembre 1990, n.407 (Disposizioni diverse per l'attuazione della manovra di finanza pubblica 1991- 93), nella parte in cui, nella determinazione del contributo dovuto dai soggetti ivi contemplati al primo alinea, non è consentita prova contraria di un minore effettivo imponibile;

2) dichiara, per effetto dell'art. 27 legge 11 marzo 1953, n.87, l'illegittimità costituzionale dell'art. 5, quattordicesimo comma, della legge 29 dicembre 1990, n.407, nella parte in cui, per gli altri soggetti ivi contemplati (coltivatori diretti, mezzadri e coloni e rispettivi concedenti, nonchè per ciascun componente attivo dei rispettivi nuclei familiari) non è consentita, nella determinazione del contributo dovuto, prova contraria di un effettivo minore imponibile.

3) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 31 della legge 28 febbraio 1986, n.41 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 1986) e dell'art. 10 della legge 11 marzo 1988, n.67 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 1988), in riferimento agli artt. 3, 53 e 97 della Costituzione, sollevate dal Pretore di La Spezia e dal Tribunale di Ravenna con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 01/06/92.

Aldo CORASANITI, Presidente

Giuseppe BORZELLINO, Redattore

Depositata in cancelleria il 08/06/92.