Sentenza n. 249 del 1992

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SENTENZA N. 249

ANNO 1992

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-        Dott. Aldo CORASANITI, Presidente

-        Prof. Giuseppe BORZELLINO

-        Dott. Francesco GRECO

-        Prof. Gabriele PESCATORE

-        Avv. Ugo SPAGNOLI

-        Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

-        Prof. Antonio BALDASSARRE

-        Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-        Avv. Mauro FERRI

-        Prof. Luigi MENGONI

-        Prof. Enzo CHELI

-        Dott. Renato GRANATA

-        Prof. Giuliano VASSALLI

-        Prof. Francesco GUIZZI

-        Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma terzo, della legge 26 luglio 1978, n. 417 (Adeguamento del trattamento economico di missione e di trasferimento dei dipendenti statali) promosso con ordinanza emessa il 18 aprile e 21 giugno 1991 dal Tribunale amministrativo regionale per la Basilicata, sul ricorso proposto da Esposito Salvatore contro il Presidente del Consiglio dei ministri ed altri, iscritta al n. 30 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7, prima serie speciale, dell'anno 1992.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 6 maggio 1992 il Giudice relatore Francesco Guizzi.

Ritenuto in fatto

1. Esposito Salvatore, già dipendente distaccato del Comune di Angri e, successivamente, inquadrato nel ruolo del personale direttivo del Consiglio di Stato e dei Tribunali amministrativi regionali alle dipendenze della Presidenza del Consiglio dei ministri, in servizio a Salerno, presso la sede distaccata del Tribunale amministrativo regionale della Campania, il 1 dicembre 1982 veniva chiamato ad espletare le stesse funzioni presso la sede napoletana di quel tribunale. Il ricorrente aveva percepito il trattamento di missione sino al 30 aprile 1984, con il relativo onere a carico dell'amministrazione di provenienza (il comune di Angri); ma, una volta inquadrato alle dipendenze della Presidenza del Consiglio dei ministri, con decreto del 2 maggio 1984, non aveva percepito alcun ulteriore, similare, trattamento economico. Proponeva, pertanto, ricorso contro la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Consiglio di Stato e il Tribunale amministrativo regionale della Campania nonchè del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa per la declaratoria del proprio diritto alla corresponsione dell'indennità di missione per tutto il periodo di lavoro nella diversa sede e la conseguente condanna dell'amministrazione al pagamento dell'indennità, oltre svalutazione monetaria e interessi legali.

Investito della questione il Tribunale amministrativo regionale della Basilicata, con sentenza non definitiva (n. 347 del 1991), accoglieva parzialmente la domanda accertando il diritto del ricorrente alla corresponsione del trattamento di missione per 240 giorni a decorrere dal 2 maggio 1984 e condannava l'amministrazione resistente al pagamento del dovuto.

Il Tribunale, inoltre, sollevava d'ufficio la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, terzo comma, della legge 26 luglio 1978, n. 417, (Adeguamento del trattamento economico di missione e di trasferimento dei dipendenti statali) per contrasto con gli artt.36 e 3 della Costituzione, e sospendeva la restante parte del giudizio.

2. Osserva il tribunale che la norma censurata, vietando il pagamento dell'indennità <<dopo i primi 240 giorni di missione continuativa nella medesima località>> si pone in contrasto con i detti parametri costituzionali, perchè consentirebbe all'amministrazione, legittimamente, di far prestare servizio ai propri dipendenti, in sedi diverse da quelle abituali, anche oltre quel termine temporale.

Essendo il trattamento di missione diretto a tenere indenne il dipendente dalle maggiori spese che deve sopportare a causa della non volontaria prestazione del servizio in luogo diverso dalla abituale sede di servizio, la limitazione temporale posta dalla norma impugnata lederebbe il principio della giusta retribuzione sancito dall'art. 36 della Costituzione, poichè il maggior onere economico verrebbe a incidere direttamente sulla sua retribuzione, rendendo meno remunerato il lavoro svolto rispetto all'analogo lavoro espletato dagli altri dipendenti. Sotto tale ultimo aspetto si coglierebbe, del pari, la violazione del principio di uguaglianza.

La rilevanza della questione consisterebbe nella possibilità di riconoscere il diritto all'indennità di missione, oltre il 240 giorno, solo accogliendo la questione di legittimità costituzionale della norma censurata.

3. Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, con atto d'intervento con il quale si chiede la declaratoria d'infondatezza della questione sollevata.

Ha osservato l'Avvocatura che il tribunale remittente ha omesso del tutto di considerare la natura, la ratio e i limiti dell'istituto della missione.

Questa, infatti, si caratterizzerebbe solo per soddisfare un'esigenza di carattere transitorio, spettando, in caso contrario, una somma una tantum a titolo di indennità di trasferimento e di prima sistemazione. Per questa ragione il limite massimo di permanenza nella medesima località, al fine del godimento dell'indennità di missione, sarebbe di soli 240 giorni, non prorogabili.

Coerentemente con questa impostazione il Consiglio di Stato, con la pronuncia in data 9 dicembre 1989, n. 789, ha osservato che il pubblico dipendente inviato in missione per un periodo superiore a quello di 240 giorni indennizzati, <<senza la predeterminazione di un termine finale pari o inferiore ai 240 giorni, può legittimamente opporsi, nelle forme e con le modalità consentite dall'ordinamento, alla determinazione dell'amministrazione di appartenenza, richiamando quest'ultima al rispetto del divieto legislativo>>. E, perciò, ha escluso la non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità della norma censurata dai giudici del Tribunale amministrativo regionale della Basilicata.

In via subordinata, l'Avvocatura ha osservato che l'indennità di missione non potrebbe mai farsi rifluire nel concetto di retribuzione, per il carattere temporaneo ch'essa deve avere. Del resto, la giurisprudenza della Corte Costituzionale avrebbe più volte affermato che la tutela apprestata dall'art. 36 della Costituzione non si estenderebbe ad ogni compenso, corrispettivo d'una qualsiasi prestazione accessoria ovvero corrispettivo di particolari sacrifici previsti per talune categorie, dovendosi avere riguardo alla globalità della retribuzione e non ai singoli emolumenti che la compongono (sentenze nn. 131 del 1982, 176 del 1980 e 141 del 1979).

Considerato in diritto

1. Il Tribunale amministrativo regionale della Basilicata dubita, in relazione agli artt. 36 e 3 della Costituzione della legittimità costituzionale dell'art. 1, terzo comma, della legge 26 luglio 1978, n. 417 (Adeguamento del trattamento economico di missione e di trasferimento dei dipendenti statali), che limita ai primi 240 giorni il trattamento di missione continuativa nella medesima località, corrisposto al dipendente in servizio presso altra sede.

2. La questione è infondata.

Com'è noto, la missione consiste in un incarico di servizio temporaneo che l'impiegato deve svolgere fuori dalla sua sede ordinaria.

Esso si caratterizza per la transitorietà dell'esigenza organizzativa, in difetto della quale, dove l'impiego del dipendente fuori della sede di servizio venga disposto in via definitiva, si deve ritenere trattarsi d'un vero e proprio trasferimento. Con la conseguenza che allo stesso dipendente non competerà il trattamento economico di missione, ma una vera e propria indennità di trasferimento e di prima sistemazione.

Il carattere transitorio dell'esigenza organizzativa è previsto, in via generale per tutti i pubblici dipendenti, dall' articolo 1, terzo comma, della legge 26 luglio 1978, n. 417, che limita ai primi 240 giorni il trattamento di missione continuativa nella medesima località, corrisposto al dipendente in servizio presso altra sede.

Detta temporaneità della missione, inoltre, è stata più volte ribadita dalla giurisprudenza amministrativa che ha affermato l'inderogabilità del limite dei 240 giorni.

Attenendosi a questa linea giurisprudenziale, il collegio remittente ha prospettato la questione di legittimità costituzionale di tale limite, ma dopo che essa era stata ritenuta già manifestamente infondata dallo stesso Consiglio di Stato, il quale ha osservato che il pubblico dipendente <<può legittimamente opporsi, nelle forme e con le modalità consentite dall'ordinamento, alla determinazione dell'amministrazione di appartenenza, richiamando quest'ultima al rispetto del divieto legislativo>>.

3. Osserva la Corte che la richiesta di tutela da parte del pubblico dipendente, il quale lamenti una sua utilizzazione oltre i limiti massimi di legge in una sede di lavoro posta in località diversa da quella ordinaria, deve essere soddisfatta con le prescritte forme e nelle competenti sedi della giurisdizione amministrativa, non certo attraverso un uso improprio del giudizio di costituzionalità delle leggi. Atteso che sia le pronunce dei tribunali amministrativi regionali, sia quelle del Consiglio di Stato indicano forme e strumenti per la tutela del pubblico dipendente utilizzato oltre misura con un uso improprio dello strumento della missione in luogo del trasferimento di sede.

Deve, pertanto, concludersi per l'infondatezza della proposta questione di costituzionalità.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata, la questione di legittimità costituzionale dell'art.1, terzo comma, della legge 26 luglio 1978, n. 417 (Adeguamento del trattamento economico di missione e di trasferimento dei dipendenti statali), sollevata, in riferimento agli artt. 36 e 3 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale della Basilicata con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20/05/92.

Aldo CORASANITI, Presidente

Francesco GUIZZI, Redattore

Depositata in cancelleria il 03/06/92.