Sentenza n.237 del 1992

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SENTENZA N. 237

ANNO 1992

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-      Dott. Aldo CORASANITI, Presidente

-      Prof. Giuseppe BORZELLINO

-      Dott. Francesco GRECO

-      Prof. Gabriele PESCATORE

-      Avv. Ugo SPAGNOLI

-      Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

-      Prof. Antonio BALDASSARRE

-      Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-      Avv. Mauro FERRI

-      Prof. Luigi MENGONI

-      Prof. Enzo CHELI

-      Dott. Renato GRANATA

-      Prof. Giuliano VASSALLI

-      Prof. Francesco GUIZZI

-      Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 7, comma quarto, della legge della Regione Abruzzo 3 marzo 1988, n. 25 (Norme in materia di usi civici e gestione delle terre civiche), promosso con ordinanza emessa il 5 giugno 1991 dal Tribunale amministrativo regionale per l'Abruzzo sul ricorso proposto dalla Lega per l'Ambiente della Regione Abruzzo contro la Regione Abruzzo ed altri, iscritta al n. 753 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, prima serie speciale, dell'anno 1992;

Visti gli atti di costituzione della Società "Campo Felice" S.p.a. e del Comune di Rocca di Cambio nonchè l'atto di intervento della Regione Abruzzo;

udito nell'udienza pubblica del 14 aprile 1992 il Giudice relatore Luigi Mengoni;

uditi gli avvocati Franco G. Scoca e Mario Montuori per la Società "Campo Felice" S.p.a. e Vincenzo Cerulli Irelli per la Regione Abruzzo.

Ritenuto in fatto

1. Nel corso del giudizio sui ricorsi riuniti proposti dalla Lega per l'Ambiente e dalla S.p.a. Campo Felice per l'annullamento totale o, rispettivamente, parziale, della deliberazione del Consiglio regionale dell'Abruzzo n. 139/32 del 19 marzo 1990, con cui è stato convalidato, ai sensi dell'art. 7, quarto comma, della legge regionale 3 marzo 1988, n. 25, il decreto 6 febbraio 1973 del Ministro dell'agricoltura, che ha autorizzato il Comune di Rocca di Cambio ad alienare alla predetta società terreni di demanio civico, il T.A.R. dell'Abruzzo, con ordinanza del 5 giugno 1991, ha sollevato questione di legittimità costituzionale del citato art. 7, quarto comma, per contrasto con gli artt. 24, 117 e 118 Cost.

Ad avviso del giudice remittente, la norma impugnata viola:

a) l'art. 24 Cost., perchè consente all'autorità regionale di vanificare perfino gli effetti di provvedimenti giurisdizionali esecutivi, tale essendo il caso ricorrente nella specie, in cui la delibera del consiglio regionale è stata adottata dopo che, con sentenza 9 maggio 1986, confermata in secondo grado per inammissibilità dell'appello e in pendenza del ricorso per cassazione, il Commissario per la liquidazione degli usi civici in Abruzzo aveva dichiarato la nullità della compravendita stipulata dal Comune di Rocca di Cambio con la società Campo Felice, in quanto autorizzata senza previa identificazione della categoria di appartenenza dei terreni ai sensi dell'art. 11 della legge 16 giugno 1927, n. 1766;

b) gli artt. 117 e 118 Cost., perchè la convalida di negozi nulli, in deroga al principio dell'art. 1423 cod. civ., non è materia della potestà legislativa delle regioni, e conseguentemente non può ritenersi compresa nelle funzioni amministrative trasferite alle regioni ai sensi dell'art. 66 del d.P.R. n. 616 del 1977.

2. Nel giudizio davanti alla Corte si è costituita la Società Campo Felice chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.

La Società osserva che la vendita di cui è causa è stata autorizzata dal Ministro dell'agricoltura sulla base dei pareri favorevoli di tutte le autorità interessate, in primo luogo del Commissario per la liquidazione degli usi civici dell'Aquila, comunicato con nota n.173 del 6 marzo 1972; che, trattandosi di terreni situati a 1800 m. di altitudine in zona pietrosa, dei quali è manifesta la destinazione esclusiva a bosco o pascolo, come attestato dagli atti del procedimento, la dichiarazione di parere favorevole del Commissario per gli usi civici doveva considerarsi sufficiente ai sensi dell'art. 37 del r.d. 26 febbraio 1928, n.332, onde la vendita avrebbe dovuto considerarsi perfettamente valida;

che, comunque, il requisito della previa assegnazione dei terreni a categoria non è un principio tale da precludere al legislatore regionale il potere di provvedere, in sede di riordino della materia dopo il trasferimento alle regioni delle relative funzioni amministrative, alla regolarizzazione delle autorizzazioni concesse in passato senza l'osservanza del detto requisito, onde non è ravvisabile una violazione degli artt. 117 e 118 Cost.;

che la convalida ha per oggetto non il contratto di compravendita, bensì l'autorizzazione ad alienare, ponendosi come espressione legittima del potere di cui è titolare l'autorità competente all'adozione dell'atto viziato; che, secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato, la convalida può intervenire efficacemente anche in pendenza di gravame in sede amministrativa o giurisdizionale, onde è da escludere altresì la pretesa violazione dell'art. 24 Cost.; che, infine, l'eventuale effetto convalidante della sanatoria dell'autorizzazione sul negozio autorizzato non contrasta col principio dell'art. 1423 cod. civ., il quale fa salva la possibilità di convalida di negozi nulli derivante, direttamente o indirettamente, da disposizioni di legge, e quindi anche di leggi regionali quando la deroga sia funzionalmente connessa con finalità di interesse pubblico perseguite dalla regione nelle materie di sua competenza.

3. Si è pure costituito il Comune di Rocca di Cambio concludendo per l'infondatezza della questione con considerazioni analoghe a quelle svolte più diffusamente dalla Società resistente, e precisando che sui terreni in causa da tempo immemorabile non veniva esercitato alcun diritto di uso civico da parte dei residenti.

4. É intervenuta in giudizio la Regione Abruzzo concludendo per l'infondatezza della questione.

Ad avviso dell'interveniente, la questione sollevata dal T.A.R. si fonda su un equivoco in cui il Tribunale è caduto nell'interpretazione della disposizione impugnata. Questa non attribuisce al consiglio regionale il potere di convalidare negozi nulli, ivi compresi atti la cui nullità è stata dichiarata dall'autorità giudiziaria, ma si limita a disciplinare, dettando alcune prescrizioni procedimentali e sostanziali (esigenza di valutazione specifica dell'interesse pubblico), l'esercizio del potere di convalida di un atto amministrativo (autorizzazione ad alienare) di per sè spettante al consiglio in quanto organo competente a emanare l'atto.

Rimangono impregiudicati gli effetti dell'atto convalidato sul negozio conseguente, che dovranno essere determinati nel merito dal giudice ordinario.

Così precisata la portata della disposizione denunciata, cadono tutte le censure di costituzionalità svolte nell'ordinanza di rimessione.

Considerato in diritto

1. Il T.A.R. dell'Abruzzo ha sollevato, in riferimento agli artt.24, 117 e 118 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 7, quarto comma, della legge della Regione Abruzzo 3 marzo 1988, n.25, che attribuisce al consiglio regionale il potere di provvedere, sentito il parere del comune interessato, alla convalida delle autorizzazioni all'alienazione di terre civiche non previamente assegnate a categoria, rilasciate dall'autorità competente (ministro dell'agricoltura fino al 1977, poi lo stesso consiglio regionale), sempre che i relativi atti di alienazione siano stati stipulati e registrati anteriormente all'entrata in vigore della legge.

2. La questione non è fondata.

Ad avviso del giudice remittente, la norma impugnata non è "conforme ai precetti costituzionali di logica dell'intero sistema", e quindi viola specificamente gli artt. 117 e 118 Cost., in quanto attribuisce al consiglio regionale un potere di convalida di negozi radicalmente nulli, in contrasto col principio fondamentale di insanabilità della nullità (art.1423 cod. civ.), nonchè col principio di esclusione della potestà legislativa regionale in materia di rapporti intersoggettivi privati.

La censura si fonda sulla massima giurisprudenziale che afferma la nullità radicale (nel senso di inesistenza giuridica) dell'atto di autorizzazione ad alienare terre di uso civico non preceduto dall'individuazione formale della categoria di appartenenza: massima già ritenuta da questa Corte (sent. n. 221 del 1992) non sostenibile almeno nel caso in cui risulti da indici sicuri che il terreno de quo deve essere classificato nella prima delle due categorie indicate dall'art. 11 della legge n. 1766 del 1927. In questo caso l'assegnazione a categoria, poichè non ha funzione determinante della destinazione del terreno a bosco o pascolo, nemmeno ha efficacia costitutiva della sua condizione giuridica di alienabilità, onde la mancanza dell'atto-presupposto produce solo un vizio procedimentale del provvedimento autorizzativo dell'alienazione.

Perciò l'autorizzazione può essere convalidata dal consiglio regionale in quanto organo competente sia a emanare l'atto viziato, sia a porre in essere l'atto - presupposto dell'assegnazione a categoria.

La norma impugnata disciplina l'esercizio di questo potere di convalida di atti amministrativi annullabili, di guisa che essa non porta alcuna deroga al principio dell'art. 1423 cod. civ. La convalida dell'atto autorizzativo non equivale, come pensa il giudice remittente, a sanatoria della nullità del negozio autorizzato. Nei limiti (che rimangono impregiudicati) in cui la convalida ha efficacia retroattiva, il negozio autorizzato deve considerarsi non già convalidato, bensì ab origine validamente stipulato.

3. Un motivo ulteriore di censura è tratto dal fatto che l'autorizzazione di cui è causa è stata convalidata dal consiglio regionale quando il contratto di vendita era già stato dichiarato nullo dal Commissario per la liquidazione degli usi civici dell'Aquila con sentenza (esecutiva) 23 maggio 1986 e in pendenza del ricorso per cassazione contro la sentenza confermativa (per motivi di rito) 23 giugno 1988 della Corte d'appello di Roma. Il giudice a quo lamenta che, in seguito alla convalida dell'autorizzazione, "la sentenza commissariale risulta resa inutilmente, a danno dei partecipanti all'uso civico che avevano adito il Commissario", onde la norma contestata violerebbe anche il principio di tutela giurisdizionale dei diritti garantito dall'art.24 Cost.

Nemmeno questo motivo merita accoglimento. La norma in esame non pregiudica in alcun modo la questione dei limiti di retroattività tra le parti della convalida, e precisamente la questione se la retroattività sia impedita non soltanto da una sentenza di annullamento dell'autorizzazione o di nullità del negozio autorizzato già passata in giudicato al momento della delibera di convalida, ma anche dalla pendenza in questo momento di un giudizio di impugnativa della delibera non ancora concluso da una sentenza definitiva.

Tale questione - risolta dall'art. 6 della legge 18 marzo 1968, n.249, con riguardo solo agli atti viziati di incompetenza - è rimessa interamente al giudice dell'impugnativa.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.7, quarto comma, della legge della Regione Abruzzo 3 marzo 1988, n. 25 (Norme in materia di usi civici e gestione delle terre civiche), sollevata, in riferimento agli artt. 24, 117 e 118 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per l'Abruzzo con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18/05/92.

Aldo CORASANITI, Presidente

Luigi MENGONI, Redattore

Depositata in cancelleria il 27/05/92.