Sentenza n. 200 del 1992

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SENTENZA N. 200

ANNO 1992

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-      Dott. Aldo CORASANITI, Presidente

-      Prof. Giuseppe BORZELLINO

-      Prof. Gabriele PESCATORE

-      Avv. Ugo SPAGNOLI

-      Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

-      Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-      Avv. Mauro FERRI

-      Prof. Luigi MENGONI

-      Prof. Enzo CHELI

-      Dott. Renato GRANATA

-      Prof. Giuliano VASSALLI

-      Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 669, ultimo comma, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 22 giugno 1991 dal Pretore di Catania - Sezione distaccata di Acireale, nel procedimento penale a carico di Paratore Pietro, iscritta al n. 657 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie speciale, dell'anno 1991.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 18 marzo 1992 il Giudice relatore Giuliano Vassalli.

Ritenuto in fatto

1. Il 5 novembre 1990 il Procuratore della Repubblica presso la Pretura circondariale di Catania spediva a carico di Paratore Pietro decreto di citazione a giudizio davanti al Pretore di Catania - Sezione distaccata di Acireale, per l'udienza del 15 febbraio 1991, in ordine al reato di cui all'art. 68, quarto comma, del codice della strada. Il decreto, portante il n. R.G. notizie di reato 2757/90, veniva notificato all'imputato il successivo 13 novembre. Lo stesso giorno il medesimo Pubblico ministero spediva un identico decreto di citazione portante il n. R.G. notizie di reato 479/90, per l'udienza del 22 febbraio 1991.

Anche tale decreto veniva notificato all'imputato il 13 novembre 1990.

Il Paratore, con atto del 13 dicembre 1990 formulava richiesta di oblazione al Pubblico ministero "ai sensi dell'art. 162-bis c.p. e degli artt. 555 e 557 c.p.p.".

Il Pubblico ministero trasmetteva gli atti relativi al secondo dei due procedimenti al locale Giudice per le indagini preliminari con il suo parere.

Con sentenza del 24 gennaio 1991 il Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Catania, considerato che l'imputato, ammesso all'oblazione con provvedimento dell'8 gennaio 1991, aveva corrisposto la somma a tale titolo dovuta, dichiarava "non luogo a procedere" nei confronti del Paratore in ordine al reato a lui ascritto, per essere il detto reato estinto per intervenuta oblazione.

Sulla base del primo decreto di citazione a giudizio, il 15 febbraio 1991 si svolgeva il dibattimento davanti al Pretore di Catania - Sezione distaccata di Acireale, all'esito del quale - senza che alcuno notiziasse il giudicante in ordine all'intervenuta causa estintiva - il Paratore veniva condannato in contumacia alle pene di un mese di arresto e L. 50.000 di ammenda, con la concessione dei benefici di legge.

La decisione veniva notificata al domicilio dell'imputato a mani della moglie convivente il 21 febbraio 1991.

Il 12 aprile 1991 il Paratore richiedeva al Pretore di Acireale che venisse dichiarata la non esecutività della sentenza di condanna ovvero, in subordine, di essere rimesso nel termine per l'impugnazione che, peraltro, contestualmente proponeva.

Con ordinanza del 22 gennaio 1992 il Pretore di Catania - Sezione distaccata di Acireale, conoscendo della causa come giudice dell'esecuzione, premesso che non sussistevano le condizioni nè per la dichiarazione d'inesecutività della sentenza nè per la rimessione nel termine e ritenuto che il conflitto andasse risolto sulla base dell'art.669 del codice di procedura penale, ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità dell'ultimo comma di tale articolo, nella parte in cui, nell'ipotesi <<di "conflitto" tra sentenza di non luogo a procedere e sentenza pronunziata a giudizio (o decreto penale) dà sic et simpliciter la prevalenza alla sentenza pronunziata in giudizio (o al decreto penale)>>.

Secondo il giudice a quo, dallo stesso presupposto (l'oblazione) deriverebbero conseguenze diverse a seconda che l'oblazione sia stata applicata dal giudice per le indagini preliminari o dal giudice in fase di giudizio, "circostanze estrinseche che nulla tolgono o aggiungono al fatto che il reato, a seguito dell'oblazione, si era estinto". Con conseguente irrazionale deroga al principio del favor rei, "che informa tutto il procedimento penale e le altre disposizioni contenute nell'art. 669 C.P.P.".

3. L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie speciale, del 6 novembre 1991.

4. É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, riservandosi di presentare memoria.

Considerato in diritto

1. Il Pretore di Catania - Sezione distaccata di Acireale sottopone al vaglio di legittimità l'art. 669, nono comma, del codice di procedura penale nella parte in cui, in caso di conflitto fra sentenza di non luogo a procedere e sentenza pronunciata in giudizio per avere entrambe giudicato il medesimo fatto in relazione allo stesso imputato, stabilisce che anche la sentenza di non luogo a procedere pronunciata dal giudice per le indagini preliminari di pretura a seguito di estinzione del reato per intervenuta oblazione debba essere revocata quando venga pronunciata sentenza, pure di condanna, in giudizio. La norma censurata violerebbe l'art. 3 della Costituzione perchè dall'identico presupposto, l'oblazione, conseguirebbero effetti diversi a seconda che la sentenza provenga dal giudice per le indagini preliminari o dal giudice del giudizio; donde la disparità di trattamento, da ritenere irrazionale in quanto derivante da una circostanza del tutto estrinseca - l'essere, cioè, la decisione pronunciata non in esito a giudizio - una circostanza che nulla aggiunge e nulla toglie al fatto reato.

2. Di fronte ad una richiesta di dichiarazione di ineseguibilità del giudicato o, in subordine, di rimessione nel termine per proporre impugnazione avanzata in conseguenza della intervenuta pronuncia di condanna dell'imputato al termine del dibattimento nonostante lo stesso reato fosse stato già dichiarato estinto per oblazione con sentenza di "non luogo a procedere" emessa dal giudice per le indagini preliminari, il giudice a quo, rilevata l'inapplicabilità di entrambi i rimedi invocati dall'imputato, ha ritenuto nella specie applicabile l'art. 669, nono comma, del codice di procedura penale; con la conseguenza che, dovendosi dare esecuzione alla sentenza pronunciata in giudizio - la decisione, cioé, di condanna - ne deriverebbe una vera e propria incompatibilità della norma denunciata con il principio di eguaglianza.

La questione non è fondata.

3. Il giudice a quo - in ciò, d'altra parte, indotto nella specie dal lessico adottato dal giudice per le indagini preliminari nel dichiarare l'estinzione del reato - muove dal presupposto che la sentenza pronunciata dal giudice per le indagini preliminari presso la pretura con la quale è stata dichiarata l'estinzione del reato per oblazione sia una sentenza di non luogo a procedere. Senonchè una simile tipologia di pronuncia non ha ingresso nell'area del procedimento pretorile per la decisiva ragione che essa appartiene esclusivamente al procedimento ordinario, collocandosi all'esito dell'udienza preliminare come uno dei possibili epiloghi di tale udienza. E poichè nel procedimento davanti al pretore è assente l'udienza preliminare, l'unica pronuncia adottabile prima del dibattimento, nei casi in cui non debba pronunciarsi condanna, è (fuori dell'ipotesi di accesso ai riti semplificati di deflazione) una decisione di proscioglimento in tutto assimilabile, considerata la già avvenuta citazione dell'imputato per il giudizio, alla decisione emessa prima del dibattimento a norma dell'art. 469 del codice di procedura penale.

4. Poichè, quindi, la norma da applicare nella specie non è il nono, bensì l'ottavo comma dell'art. 669 del codice di procedura penale, il quale prescrive che "se si tratta di una sentenza di proscioglimento e di una sentenza di condanna o di un decreto penale, il giudice ordina l'esecuzione della sentenza di proscioglimento", di tale norma il rimettente dovrà fare applicazione nel processo a quo.

Pertanto la norma sottoposta al vaglio di legittimità si sottrae alle censure avanzate dall'ordinanza di rimessione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.669, nono comma, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Pretore di Catania - Sezione distaccata di Acireale con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15/04/92.

Aldo CORASANITI, Presidente

Giuliano VASSALLI, Redattore

Depositata in cancelleria il 28/04/92.