Sentenza n. 175 del 1992

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SENTENZA N. 175

ANNO 1992

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Dott. Aldo CORASANITI, Presidente

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 566, comma nono, del codice di procedura penale promosso con ordinanza emessa il 26 giugno 1991 dal Pretore di Taranto - Sezione distaccata di Manduria - nel procedimento penale a carico di Giuliano Luciano iscritta al n.643 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41 prima serie speciale dell'anno 1991;

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 18 marzo 1992 il Giudice relatore Enzo Cheli;

Ritenuto in fatto

1. - Nel corso del procedimento penale a carico di Giuliano Luciano, nel quale era stato disposto il giudizio direttissimo ai sensi dell'art.449, quarto comma, del codice di procedura penale, il Pretore di Taranto - Sezione distaccata di Manduria - con ordinanza del 26 giugno 1991 (R.O. n.643 del 1991), ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dell'art. 566, nono comma, del codice di procedura penale - dove risulta stabilito che "fuori dei casi previsti dai commi precedenti, il pubblico ministero procede a norma del titolo II del presente libro" - in quanto esclude l'applicabilità al procedimento pretorile della disciplina del rito direttissimo prevista per i giudizi dinanzi al tribunale dal citato art.449, quarto comma, che consente la celebrazione del rito direttissimo dopo la convalida dell'arresto in flagranza, mediante presentazione dell'imputato all'udienza non oltre il quindicesimo giorno dall'arresto.

Ad avviso del giudice a quo, questa esclusione creerebbe una disparità di trattamento in quanto l'imputato nel procedimento pretorile "non potrebbe usufruire di una ulteriore scelta del pubblico ministero che lo conducesse a giudizio nel termine massimo di quindici giorni" come è invece possibile, ai sensi dell'art. 449, quarto comma, del codice di procedura penale, per gli imputati di reati di competenza del tribunale.

Tale disparità verrebbe a ledere gli artt. 3 e 24 della Costituzione, per le conseguenze negative connesse alla maggior durata del processo, da instaurarsi con rito ordinario (con il protrarsi della custodia cautelare), nonchè per l'assenza di una ratio in grado di giustificare l'esclusione.

Il giudice remittente, richiamando la sentenza della Corte costituzionale n.102 del 1991, osserva che la giustificazione contenuta nella relazione al progetto definitivo del nuovo codice di procedura penale - secondo la quale la procedura prevista nell'art. 449, quarto comma, di tale codice sarebbe poco congeniale alla celerità ed alla snellezza del rito pretorile, dove la regola è la contestualità tra convalida e giudizio direttissimo - appare inadeguata, dal momento che non tiene conto della discrezionalità del pubblico ministero nella scelta del rito dinanzi al pretore. Infatti, dopo l'arresto in flagranza, il pubblico ministero può liberamente procedere o per la convalida dell'arresto ed il contestuale giudizio direttissimo o per la sola convalida dell'arresto, avviando poi il rito ordinario. Ma l'esclusione della possibilità di procedere con giudizio direttissimo entro quindici giorni dall'arresto in flagranza avrebbe - secondo il giudice a quo - un effetto di "complicazione" del procedimento, dal momento che impedirebbe al pubblico ministero di valutare nuove circostanze che lo inducano a procedere con rito direttissimo entro quindici giorni dalla convalida dell'arresto in flagranza, pur non avendo chiesto lo stesso rito contestualmente a tale convalida.

2. - Nel giudizio dinanzi alla Corte ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, per chiedere che la questione sollevata sia dichiarata infondata.

Considerato in diritto

1. - Il Pretore di Taranto - Sezione distaccata di Manduria - dubita della legittimità costituzionale dell'art. 566, nono comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui esclude l'applicabilità al processo pretorile del giudizio direttissimo previsto, per i procedimenti innanzi al tribunale, dall'art. 449, quarto comma, dello stesso codice, nell'ipotesi in cui il pubblico ministero, dopo la convalida dell'arresto in flagranza, presenti l'imputato all'udienza entro il quindicesimo giorno dall'arresto.

2. - La questione è fondata.

L'art. 566, nono comma, del codice di procedura penale, nella sua stesura originaria, escludendo l'applicabilità della disposizione di rinvio alle norme relative al procedimento davanti al tribunale di cui all'art. 549 dello stesso codice, limitava l'instaurazione del giudizio direttissimo davanti al pretore alle sole due ipotesi regolate nel medesimo art. 566, commi quinto e sesto, relative al giudizio contestuale alla convalida dell'arresto in flagranza ed al giudizio su consenso dell'imputato e del pubblico ministero in caso di mancata convalida.

Questa Corte, con sentenza n. 102 del 1991, ha, peraltro, dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 566, nono comma, nella parte in cui escludeva l'applicabilità nel procedimento davanti al pretore della ipotesi di giudizio direttissimo previsto, per i procedimenti innanzi al tribunale, dall'art. 449, quinto comma, nei confronti della persona che abbia reso confessione nel corso dell'interrogatorio.

Pertanto, nell'attuale assetto normativo che disciplina il giudizio direttissimo davanti al pretore, risulta ancora esclusa la possibilità di procedere con tale rito in relazione all'ipotesi contemplata, per i procedimenti innanzi al tribunale, dall'art. 449, quarto comma, ove si prevede che il pubblico ministero possa procedere al giudizio direttissimo anche dopo la convalida dell'arresto in flagranza, ma a condizione che l'imputato venga presentato all'udienza non oltre il quindicesimo giorno dall'arresto. E proprio a tale residua ipotesi si riferisce la questione di legittimità costituzionale di cui al presente giudizio.

3. - Nella richiamata sentenza n. 102 del 1991, pur con riferimento alla sola ipotesi di giudizio direttissimo di cui al quinto comma dell'art.449, è stato rilevato, in generale, che "l'esclusione nel processo di pretura del rito direttissimo in alcune ipotesi andrebbe sorretta, onde evitare ingiuste discriminazioni, da una adeguata ratio, strettamente connessa con la struttura e le caratteristiche del processo pretorile volute dal legislatore delegante". Sulla scorta di questo principio, occorre, dunque, verificare, anche in riferimento all'esclusione dal rito pretorile dell'ipotesi di giudizio direttissimo di cui al quarto comma dell'art. 449, la ragionevolezza della scelta operata dal legislatore delegato attraverso la norma impugnata.

4. - Come risulta dalla direttiva n. 103 della legge di delega, la disciplina del giudizio avanti al pretore deve rispettare il principio della "massima semplificazione" al fine di assicurare la celerità e la snellezza del processo. Dai lavori preparatori relativi al giudizio direttissimo davanti al pretore si evince, altresì, che l'ipotesi di cui all'art. 449, quarto comma, è stata esclusa per il rito pretorile nella convinzione che detta ipotesi, ove consentita, sarebbe potuta divenire "normale", comportando "un arretramento" rispetto alla stessa disciplina del codice di procedura penale abrogato (art. 505) (cfr. la Relazione al progetto preliminare, in G.U. 24 novembre 1988, supplemento ordinario n. 2, p. 124 e la Relazione al testo definitivo del codice di procedura penale, ivi, p.197).

Pertanto - ad avviso del legislatore delegato - l'estensione di tale ipotesi anche al giudizio pretorile non avrebbe favorito la speditezza del processo, ma bensì disincentivato il ricorso al procedimento direttissimo con contestuale convalida e giudizio.

Senonchè - come già rilevato da questa Corte, nella sentenza n.102/1991, in riferimento alla ratio che aveva inteso giustificare l'esclusione dal rito pretorile del giudizio direttissimo di cui all'art.449, quinto comma, in caso di confessione resa al pubblico ministero - le motivazioni addotte dal legislatore delegato si presentano, pure in relazione al profilo in esame, "inadeguate allo scopo anche perchè basate in gran parte su considerazioni meramente empiriche".

E invero, l'attribuzione al pubblico ministero della facoltà di procedere, anche davanti al pretore, con giudizio direttissimo entro quindici giorni dall'arresto già convalidato può consentire la celebrazione del dibattimento con il massimo di celerità, mentre a tale risultato non può pervenirsi quando si proceda nel rispetto delle forme ordinarie, dove devono comunque osservarsi i termini previsti nell'art.555, ultimo comma, del codice di procedura penale, ai fini della notifica del decreto di citazione. Inoltre, l'estensione al rito pretorile della disciplina prevista dall'art. 449, quarto comma, mentre non altera il carattere normale dell'ipotesi di cui al sesto comma dell'art. 566 (giudizio direttissimo contestuale alla convalida dell'arresto), consente di recuperare alla forma più celere del giudizio quelle particolari situazioni nelle quali il pubblico ministero, rilevando - solo dopo la convalida dell'arresto in flagranza - la completezza delle indagini svolte, ritenga che sia possibile procedere senza ulteriori ritardi alla celebrazione del dibattimento.

La disparità prevista nella norma impugnata in relazione al giudizio direttissimo davanti al tribunale appare, pertanto, irragionevole, dal momento che la preclusione di una forma di definizione più celere del processo discrimina, senza giustificazione adeguata, tra identiche situazioni processuali. Di conseguenza, va dichiarata l'illegittimità costituzionale, in relazione all'art. 3 della Costituzione, della disposizione impugnata nella parte in cui esclude l'applicabilità al rito pretorile dell'art. 449, quarto comma, del codice di procedura penale, dovendosi considerare assorbito il profilo di censura relativo all'art. 24 della Costituzione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 566, nono comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui esclude l'applicabilità al rito pretorile dell'art. 449, quarto comma, dello stesso codice.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 02/04/92.

Aldo CORASANITI, Presidente

Enzo CHELI, Redattore

Depositata in cancelleria il 15 aprile del 1992.