Sentenza n. 174 del 1992

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SENTENZA N. 174

ANNO 1992

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Giuseppe BORZELLINO, Presidente

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 406, primo comma, e 553, secondo comma, del codice di procedura penale, promossi con tre ordinanze emesse da varie autorità giudiziarie, iscritte ai nn.467, 477 e 558 del registro ordinanze 1991 e pubblicate nelle Gazzette Ufficiali della Repubblica nn. 28 e 36, prima serie speciale, dell'anno 1991.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 22 gennaio 1992 il Giudice relatore Mauro Ferri.

Ritenuto in fatto

1. Il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Ivrea solleva questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt.3, 97, primo comma, 101, secondo comma, e 112 della Costituzione, dell'art.406, primo comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui consente la proroga del termine per le indagini preliminari solo "prima della scadenza" del termine stesso.

Dopo aver premesso che, nel caso sottoposto al suo esame, la richiesta di proroga pur tempestivamente formulata dal pubblico ministero è stata notificata alle parti dopo la scadenza del termine semestrale previsto dalla norma impugnata, il giudice remittente osserva che un siffatto sistema appare irrazionale e contrastante con il buon andamento dell'amministrazione giudiziaria (art. 97, primo comma, della Costituzione), imponendo al P. M. vincoli e impedimenti all'esercizio dell'azione penale, pur obbligatoria (art. 112 della Costituzione), non stabiliti dalla legge (art. 101, secondo comma, della Costituzione), ma determinati da situazioni esterne contingenti e non prevedibili, quali un ritardo nella trasmissione a mezzo posta dell'atto notificato (come nel caso di specie) o la difficoltà di eseguire la notificazione.

Osserva il giudice a quo che, nel caso di persona sottoposta ad indagini che risulti irreperibile all'indirizzo noto al pubblico ministero, la necessità di disporre ricerche e di reiterare la notifica ad altro indirizzo può comportare, quasi certamente, il superamento del termine per le indagini preliminari, che, solo per questo, non potrebbero più essere prorogate. Nè potrebbe pretendersi dal pubblico ministero, prosegue l'Autorità remittente, di formulare la richiesta di proroga con un anticipo maggiore, che consenta di esaurire entro il termine tutte le ricerche eventualmente necessarie, perchè allora egli dovrebbe formularla quando ancora non ne ravvisa l'esigenza.

Sussisterebbe, infine, una grave disparità di trattamento (art. 3 della Costituzione) tra persone sottoposte ad indagini per fatti ed in situazioni processuali sostanzialmente identici, perchè la possibilità di proroga del termine per le indagini, e quindi di esercizio dell'azione penale, discende irragionevolmente da condizioni che nulla hanno a che vedere con il fatto addebitato, nè con l'attività svolta dal pubblico ministero, ma da situazioni contingenti, o persino dalla condotta dello stesso indagato.

2. É intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'infondatezza della sollevata questione.

Ad avviso dell'Avvocatura una ragionevole e razionale interpretazione dell'art. 406, primo comma, del codice di procedura penale porterebbe ad escludere che il giudice non possa - come si sostiene nel provvedimento di rimessione - autorizzare la proroga del termine anche "oltre la scadenza" di questo quando, malgrado la tempestività della richiesta del pubblico ministero, non sia stato possibile, per ragioni connesse a fatti organizzativi (come le carenze degli organi di notificazione), completare l'iter del procedimento che lo stesso art. 406 del codice di procedura penale ha elaborato al fine di consentire all' "indagato" ed alla "persona offesa" di presentare memorie al riguardo.

Non sarebbe quindi ragionevole una interpretazione che da meri fatti organizzativi e materiali facesse dipendere le conseguenze segnalate nell'ordinanza in tema di violazione del principio di obbligatorietà dell'azione penale; laddove, viceversa, nessun sostanziale pregiudizio consegue al fatto che il giudice possa provvedere anche dopo la scadenza del termine quando un provvedimento prima di tale scadenza non sia attuabile per ragioni indipendenti dalla volontà delle parti.

3. Anche il giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Verona solleva questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt.3, 97 e 112 della Costituzione, dell'art. 406, primo comma, del codice di procedura penale "nella parte in cui prevede che il giudice possa adottare l'ordinanza di proroga solo prima della scadenza del termine previsto dall'art. 405 del codice di procedura penale, anzichè entro quindici giorni dal decorso dei cinque giorni dalla notificazione della richiesta del pubblico ministero alla persona sottoposta alle indagini".

Dopo aver formulato, nel merito, rilievi del tutto simili a quelli espressi dal G.I.P. presso il Tribunale di Ivrea, il remittente, in ordine alla dedotta violazione degli artt. 112 e 97 della Costituzione, osserva che l'attuale disciplina comporta, di fatto, la paralisi nell'esercizio dell'azione penale senza che ciò dipenda dalla mancanza di diligenza del pubblico ministero o dalla soddisfazione di altri interessi costituzionalmente garantiti. Ove, invece, si ritenesse che detto grave inconveniente potrebbe essere superato con una richiesta di archiviazione ed una successiva richiesta di riapertura delle indagini, evidente sarebbe, a suo avviso, la irrazionale lesione degli elementari principi di buon andamento dell'amministrazione. In via subordinata, il giudice a quo ritiene sussistente anche la violazione dell'art. 3 della Costituzione: "in un'esasperata lettura del processo quale confronto di parti necessariamente contrapposte".

Infine, il remittente osserva che dal sistema generale può ricavarsi il termine che il giudice deve osservare per la sua decisione: una volta che la richiesta di proroga sia stata tempestivamente proposta dal pubblico ministero, il giudice, per prendere la sua decisione, dovrebbe osservare il termine residuale previsto dall'art. 121, secondo comma, c.p.p. e quindi provvedere entro quindici giorni dallo spirare del termine di cinque giorni dalla notifica della richiesta di proroga alla persona sottoposta alle indagini.

4. É intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l'infondatezza della questione in base ad argomentazioni identiche a quelle già formulate nella questione sollevata dal G.I.P. presso il Tribunale di Ivrea.

5. Con ordinanza emessa l'11 maggio 1991, il G.I.P. presso la Pretura di Matera ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 112 della Costituzione, degli artt. 406 e 553 del codice di procedura penale.

Rileva il remittente che l' esigenza a cui corrispondono i limiti cronologici della fase delle indagini preliminari non deve necessariamente implicare che in detti limiti debba anche svolgersi l'attività del requirente finalizzata alla partecipazione all'indagato della propria esigenza di ampliare la durata della fase delle investigazioni, specie se si consideri l'imprevedibilità dei tempi che tale attività può richiedere, in relazione sia alle possibili difficoltà di reperimento dei destinatari della notifica, sia al caso che si tratti di una pluralità non indifferente di soggetti.

Non sarebbe pertanto ammissibile nè che venga in tal modo accollato al requirente l'onere di formulare, in ogni procedimento e con istituzionalizzata pessimistica perspicacia, una prognosi sull'eventualità che i termini ordinari possano non essergli bastevoli, nè che egli sia di fatto obbligato non solo a provvedere a tutelarsi, richiedendo la proroga, con un anticipo la cui congruità sia subordinata, in modo assolutamente aleatorio, ai tempi dell'attività di notifica, ma anche a "scoprirsi", cioè a svelare, prima del necessario, l'esistenza delle investigazioni nei confronti dell'indagato.

Inoltre, nel caso in cui l'esigenza di svolgimento di determinate investigazioni sopravvenga in un momento prossimo alla scadenza del periodo normalmente destinato alla fase delle indagini preliminari, verrebbe precluso al pubblico ministero di proseguire solo perchè, pur avendo provveduto a depositare nella cancelleria del giudice richiesta di proroga nei termini, non gli sia stato possibile provvedere, nello stesso termine, alle attività di notifica impostegli dalla legge.

In conclusione il giudice a quo ritiene che il principio costituzionale di obbligatorietà dell'azione penale verrebbe ad essere fortemente vulnerato dal combinato disposto degli artt. 553 e 406 del codice di procedura penale, dovendo ritenersi probabile che il requirente, una volta preso atto di non essere stato autorizzato, per via della mancata proroga, ad espletare ulteriori attività investigative necessarie ed indispensabili, ed anzi, d'esser tenuto, pur in mancanza di quelle, a presentare le proprie richieste conclusive, si senta costretto, per via della insufficenza del materiale raccolto, a postulare l'archiviazione, ossia a porre in essere quella che nel nuovo codice è la negazione dell'esercizio dell'azione penale.

6. Anche nel presente giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'infondatezza della questione in base alle già riferite argomentazioni.

Considerato in diritto

1. Il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Ivrea sottopone al vaglio di questa Corte la legittimità costituzionale dell'art.406, primo comma, del codice di procedura penale, in riferimento agli artt.3, 97, primo comma, 101, secondo comma, e 112 della Costituzione, nella parte in cui prevede che il giudice possa prorogare il termine per le indagini preliminari solo "prima della scadenza" del termine stesso.

La medesima disciplina, applicabile anche nei procedimenti pretorili, come risulta dal combinato disposto degli artt. 406 e 553, secondo comma, viene impugnata anche dal giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Verona, in riferimento agli artt.3, 97 e 112 della Costituzione, e dal giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Matera, in riferimento all'art. 112 della Costituzione.

I relativi giudizi, poichè sollevano questioni sostanzialmente coincidenti, possono essere riuniti per essere decisi con unica sentenza.

2. Tutti i giudici a quibus dubitano della legittimità costituzionale dell'art. 406, primo comma, del codice di procedura penale (e, per quanto concerne i procedimenti avanti al Pretore, anche dell'art.553, secondo comma) nella parte in cui il potere autorizzatorio del giudice, in ordine alla richiesta di proroga del termine per le indagini preliminari formulata dal pubblico ministero, viene subordinato alla condizione che il termine stesso non sia già scaduto.

In particolare, i giudici remittenti rilevano che il terzo comma dell'art.406 pone obbligo al pubblico ministero di notificare la richiesta di proroga alla persona sottoposta alle indagini ed alla persona offesa dal reato che abbia chiesto di esserne informata, ed attribuisce ai loro difensori la facoltà di presentare memorie entro cinque giorni da detta notifica; il sistema complessivamente delineato dall'art. 406, pertanto, impone al giudice di verificare la regolare notifica della richiesta di proroga alle altre parti e di attendere il decorso del termine loro assegnato per presentare memorie, prima di poter decidere sull'istanza; ma soltanto se a questo momento il termine non sia ancora scaduto il giudice potrà autorizzare la proroga richiesta.

Il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Ivrea, dopo aver premesso che nel caso sottoposto al suo esame la richiesta di proroga, pur tempestivamente formulata dal pubblico ministero, è stata notificata alle parti dopo la scadenza del termine semestrale previsto dall'art. 405, osserva che a fronte del chiaro tenore letterale dell'art. 406, il quale riconosce al giudice il potere di prorogare detto termine "prima della scadenza", risulta impossibile qualsiasi diversa soluzione interpretativa che riferisca, ad esempio, il termine alla formulazione della richiesta da parte del pubblico ministero, o alla sua trasmissione al giudice per le indagini preliminari.

Ciò posto, il giudice remittente ritiene, in primo luogo, che tale sistema sia del tutto irragionevole, ed in contrasto con gli artt.3 e 112 della Costituzione, in quanto l'attività del pubblico ministero, (e quindi la possibilità di esercizio dell'azione penale nei confronti di persone sottoposte ad indagini per fatti ed in situazioni processuali sostanzialmente identici) risulta condizionata, e suscettibile di dare luogo a gravi disparità di trattamento, a causa di fattori accidentali e non prevedibili (quali un ritardo nella trasmissione a mezzo posta dell'atto notificato, come nel caso di specie) che nulla hanno a che vedere con il fatto addebitato, nè con la diligenza dello stesso pubblico ministero.

3. La questione è fondata.

Il soddisfacimento della duplice esigenza a cui corrispondono i limiti cronologici della fase delle indagini preliminari, individuabile nella necessità di imprimere tempestività alle investigazioni e di contenere in un lasso di tempo predeterminato la condizione di chi a tali indagini è assoggettato, non comporta che in detti limiti debba anche svolgersi l'attività di notifica alla persona stessa ed alla persona offesa dal reato della richiesta del pubblico ministero di protrarre la fase delle investigazioni.

Una siffatta previsione mentre non soddisfa esigenze di tutela di interessi apprezzabili delle altre parti - in quanto l'interesse sostanziale di queste ad interloquire sulla durata delle indagini preliminari è pienamente soddisfatto dal contraddittorio garantito dalla norma - fa sì che il pubblico ministero sia costretto a valutare la eventualità di non concludere le indagini entro il termine, e quindi di doverne richiedere la proroga, con un anticipo determinato, non già o non soltanto dal verificarsi della "giusta causa" prevista dal legislatore (che ben potrebbe sopraggiungere al limite della scadenza), bensì dalla necessità di cautelarsi a fronte di eventuali difficoltà nel reperimento dei destinatari della notifica o della contingenza che si tratti di una pluralità non indifferente di soggetti.

In definitiva, la ratio che sorregge la disciplina in esame, che, cioè, il pubblico ministero entro il termine concessogli per l'espletamento delle indagini formuli le sue richieste (art. 405, primo comma) ovvero chieda in base a validi motivi una proroga del termine stesso, trova esaustiva realizzazione nel fatto che entro quel termine la richiesta di proroga sia presentata; che debba anche intervenire la decisione del giudice entro il termine stesso è regola del tutto diversa, assente dalle previsioni della legge di delega (cfr. art. 2, n. 48 della legge 16 febbraio 1987 n. 81) e suscettibile di condizionare irragionevolmente l'esercizio dell'azione penale subordinando la concessione della proroga ad evenienze imponderabili ed accidentali. Si pensi ad esempio che, a fronte di una medesima richiesta, la proroga potrebbe essere concessa nell'ipotesi di cui al quarto comma dell'art. 406 (ordinanza emessa in camera di consiglio senza l'intervento delle parti), ovvero risultare impossibile, a causa della scadenza dei termini, nell'ipotesi di cui al quinto comma della stessa norma (fissazione dell'udienza in camera di consiglio con avviso notificato alle parti e conseguente ritardo della decisione).

4. Va pertanto dichiarata l'illegittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 3 e 112 della Costituzione, degli artt.406, primo comma, e 553, secondo comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui entrambi prevedono che il giudice possa prorogare il termine stabilito per la durata delle indagini preliminari solo "prima della scadenza"; restano assorbite le ulteriori censure sollevate in riferimento ad altri parametri costituzionali.

Val la pena sottolineare che, una volta riconosciuta illegittima la previsione che consente al giudice di autorizzare la proroga del termine per le indagini preliminari solo "prima della scadenza" dello stesso, il pubblico ministero rimarrà comunque obbligato a formulare la sua istanza entro il medesimo termine in base al principio generale secondo cui in tanto può essere richiesta la proroga di un termine in quanto lo stesso non sia già scaduto. Presentata la richiesta, e notificata senza indugio alle altre parti ai sensi del terzo comma dell'art. 406, il giudice provvederà nel termine generale previsto dall'art. 121, secondo comma, che diviene applicabile anche all'ipotesi in esame una volta caducata, a seguito della presente decisione, la specifica previsione di cui all'art.406; e quindi entro quindici giorni decorrenti dalla scadenza del termine di cinque giorni concesso alle parti, per la presentazione di memorie, dal ricordato terzo comma dell'art. 406.

Ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953 n. 87, la dichiarazione d'illegittimità costituzionale va estesa alla previsione di cui all'art.406, secondo comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui parimenti prevede che il giudice possa autorizzare ulteriori proroghe "prima della scadenza del termine prorogato".

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale degli artt. 406, primo comma, e 553, secondo comma, del codice di procedura penale nelle parti in cui prevedono che il giudice possa prorogare il termine per le indagini preliminari solo "prima della scadenza" del termine stesso;

Visto l'art. 27 della legge 11 marzo 1953 n. 87;

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 406, secondo comma, del codice di procedura penale nella parte in cui prevede che il giudice possa concedere ulteriori proroghe del termine per le indagini preliminari solo "prima della scadenza del termine prorogato".

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 02/04/92.

Giuseppe BORZELLINO, Presidente

Mauro FERRI, Redattore

Depositata in cancelleria il 15 aprile del 1992.