Sentenza n. 166 del 1992

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SENTENZA N. 166

 

ANNO 1992

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

 

Dott. Aldo CORASANITI, Presidente

 

Prof. Giuseppe BORZELLINO

 

Dott. Francesco GRECO

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 12, secondo comma, del d.P.R. 11 luglio 1972, n. 742 (Riordinamento e potenziamento della Scuola superiore della pubblica amministrazione), promosso con ordinanza emessa il 23 maggio 1991 dal Tribunale amministrativo regionale degli Abruzzi - sezione staccata di Pescara sul ricorso proposto da Sinagra Augusto contro il Ministero dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica ed altri, iscritta al n. 669 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.44, prima serie speciale dell'anno 1991.

 

Visto l'atto di costituzione di Sinagra Augusto nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nell'udienza pubblica del 18 febbraio 1992 il Giudice relatore Francesco Guizzi;

 

udito l'avvocato Augusto Sinagra per se medesimo e l'Avvocato dello Stato Carlo Tonello per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. Il professor Augusto Sinagra, ordinario di diritto internazionale presso la facoltà di economia e commercio dell' università degli studi < < G.D'Annunzio>> di Chieti, veniva trasferito, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri in data 31 ottobre 1990 presso la Scuola superiore della pubblica amministrazione e, pertanto, collocato fuori ruolo per il periodo dal 1° novembre 1990 al 31 ottobre 1993. Con nota del 30 novembre 1990, n. 4388, il Ministero dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica, nel darne comunicazione al Rettore dell'università di Chieti, precisava che il professore non avrebbe potuto < < mantenere l'insegnamento universitario e prendere parte alle sedute del Consiglio di facoltà>>.

 

Uniformandosi a questo indirizzo, il Consiglio di facoltà, con deliberazione del 13 dicembre 1990, allontanava il professore Sinagra dalla seduta in corso.

 

Il Sinagra proponeva ricorso avverso la nota ministeriale e la conseguente delibera del Consiglio di facoltà, deducendo varie censure volte a rivendicare il suo diritto di partecipare alle sedute consiliari.

 

Con sentenza parziale in data 13 settembre 1991, il Tribunale amministrativo regionale degli Abruzzi < < riteneva privi di pregio>> i motivi posti dal Sinagra a base del suo ricorso e, sospendendo ogni ulteriore pronuncia in rito, nel merito e sulle spese, sollevava, con separata ordinanza in pari data, per violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art.12, secondo comma, del d.P.R 21 aprile 1972, n. 472, nella parte in cui dispone il collocamento < < fuori ruolo>> dei professori universitari nominati docenti presso la Scuola superiore della pubblica amministrazione.

 

2. Hanno osservato i giudici remittenti che il trattamento riservato ai professori universitari immessi quale personale docente nei ranghi della Scuola superiore della pubblica amministrazione (artt. 11 e 12 del d.P.R 21 aprile 1972, n. 472), consistente nel collocamento < < fuori ruolo>> degli stessi, creava un'evidente disparità di trattamento con situazioni omogenee, quali quella dei docenti collocati in aspettativa per situazioni d'incompatibilità ai sensi dell'art. 13 del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, o quella dei professori collocati in congedo ai sensi dell'art. 10 della legge 18 marzo 1958, n. 311, categorie che conservano il diritto a partecipare alle sedute del Consiglio di facoltà.

 

A sostegno della loro tesi, i remittenti segnalavano l'interpretazione accolta dal Tribunale amministrativo regionale della Campania con la pronuncia della quarta sezione, in data 3 maggio 1989, n. 111, secondo cui la nuova disciplina della docenza universitaria, introdotta dalla riforma del 1980, avrebbe tacitamente abrogato il terzo comma dell'art. 12 del d.P.R. n. 472 del 1972 nella parte in cui disponeva che il professore collocato fuori ruolo rientrasse in soprannumero nei ruoli di provenienza, stabilendo, al contrario, che il professore, nominato docente stabile della Scuola superiore della pubblica amministrazione, avrebbe diritto a conservare il suo posto presso la facoltà di provenienza.

 

3. Si è costituito il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, che ha chiesto la declaratoria d'inammissibilità o di manifesta infondatezza della questione sollevata.

 

Ha ricordato l'Avvocatura che lo stesso Tribunale remittente, con la parziale decisione della controversia, ha implicitamente ritenuto non contrastante con la Costituzione la disposizione impugnata (primo profilo d'inammissibilità).

 

Il Tribunale amministrativo regionale degli Abruzzi avrebbe, inoltre, sostanzialmente ignorato la portata del terzo comma dell'art. 12 del d.P.R. n. 472 del 1972, poichè delle due l'una. O la norma che dispone il rientro in soprannumero dei docenti stabili della Scuola superiore della pubblica amministrazione i quali decidano di rientrare presso le università di provenienza e trovino il posto già occupato è tuttora in vigore, e allora la posizione del professore che sia diventato docente presso detta Scuola superiore non si discosta da quella degli ordinari < < fuori ruolo>>; oppure essa è stata tacitamente abrogata (come asserisce il Tribunale amministrativo regionale remittente) e allora dovrebbero applicarsi al caso esaminato le norme in materia di congedo e aspettativa dei docenti. In tale ipotesi si tratterebbe di un problema risolubile in via interpretativa con riflessi sulla legittimità del provvedimento amministrativo adottato (secondo profilo di inammissibilità).

 

5. La questione - a dire dell'Avvocatura - dovrebbe essere dichiarata, nel merito, manifestamente infondata. La posizione del docente < < distaccato>> presso la Scuola superiore della pubblica amministrazione non sarebbe affatto omogenea rispetto a quelle indicate nell'ordinanza di remissione (congedo per motivi di studio e aspettativa per ragioni d'incompatibilità).

 

Nel nostro caso si avrebbe una < < interruzione>> a tempo indeterminato dell'insegnamento universitario, una completa interruzione del rapporto funzionale fra il docente e il proprio Ateneo, che invece difetterebbe negli altri due casi, nei quali si potrebbe parlare solo d'una < < sospensione>> dell'insegnamento per motivi contingenti, di un evento che non verrebbe a modificare sostanzialmente la posizione del docente nei confronti dell'università di provenienza.

 

Alle diverse finalità perseguite dalle norme in precedenza indicate si accompagnano le diverse disposizioni che, pertanto, non creano alcuna ingiustificata disparità di trattamento.

 

6. Con atto di costituzione e successiva memoria si è costituito il Sinagra, il quale ha insistito per l'accoglimento della sollevata questione.

 

Considerato in diritto

 

1. Il Tribunale amministrativo regionale degli Abruzzi - sezione staccata di Pescara ritiene contrastante con gli artt. 3 e 97 della Costituzione l'art.12, secondo comma, del d.P.R. 21 aprile 1972, n. 472, nella parte in cui prevede il collocamento < < fuori ruolo>> dei professori universitari nominati docenti della Scuola superiore della pubblica amministrazione, in relazione alla disciplina prevista per situazioni omogenee dagli artt. 10 della legge 18 marzo 1958, n. 311 (congedo per ragioni di studio e ricerca scientifica) e 13 del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, integrato e modificato dall'art. 5 della legge 9 dicembre 1985, n.705, e interpretato dalla legge 5 agosto 1988, n. 341 (aspettativa obbligatoria per situazioni di incompatibilità).

 

2. La questione, sollevata con un'ordinanza emessa subito dopo la < < parziale>> decisione della controversia, è inammissibile per difetto di pregiudizialità.

 

Secondo quanto risulta dall'esposizione in fatto e in diritto del giudice a quo, la nota del Ministero dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica in data 30 novembre 1990, n. 4388, e la deliberazione del Consiglio della facoltà di Scienze politiche dell'università di Chieti in data 13 dicembre 1990, della cui legittimità si controverte nel giudizio principale, sono state impugnate per due motivi: a) violazione dell'art. 12 del d.P.R. 21 aprile 1972, n.472, dell'art. 14 della legge 18 marzo 1958, n. 311, e dell'art. 12 delle disposizioni preliminari del codice civile (l'art. 12 citato prevede che i professori universitari di ruolo, trasferiti presso la Scuola superiore della pubblica amministrazione, siano collocati < < fuori ruolo>>, ma non ne regola lo < < status>>; ricorrendo all'analogia, in applicazione dell'art. 14 della legge n. 311 del 1958, si potrebbe consentire ai professori fuori ruolo di partecipare alle sedute del Consiglio di facoltà);b) eccesso di potere per difetto di motivazione e violazione dell'art. 10 della legge 18 marzo 1958, n. 311, dell'art. 13 del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382 (così come modificato dall'art. 5 della legge 9 dicembre 1985, n.705) e dell'art. 12 delle disposizioni preliminari del codice civile (la posizione del professore < < fuori ruolo>> nominato insegnante presso la Scuola superiore della pubblica amministrazione non sarebbe diversa da quella del < < professore in congedo per motivi di studio>> prevista dall'art.10 della legge 311 del 1958 e da quella dei professori investiti di cariche pubbliche, collocati d'ufficio in aspettativa, eppure titolari del diritto di partecipazione alle sedute del Consiglio di facoltà).

 

3. Il Tribunale ha preso in esame congiuntamente, rigettandoli perchè infondati, i motivi sub a) e sub b). Secondo il Tribunale amministrativo regionale remittente:

 

a) l'art. 14 della legge n. 311 del 1958 (così come modificato dall'articolo 13, ultimo comma, del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382), riguardante la posizione dei professori collocati < < fuori ruolo>> per motivi di età, a cui sarebbe dalla legge consentito il diritto di partecipazione alle sedute del Consiglio di facoltà, sarebbe norma eccezionale, come tale non suscettibile di applicazione analogica;

 

b) l'art. 10 della legge 311 del 1958 e l'art. 13 del d.P.R. 382 del 1980 disciplinerebbero fattispecie del tutto diverse (congedo e aspettativa) che non potrebbero, di certo, dirsi < < simili>> a quella prevista dall'art. 12 del d.P.R. 21 aprile 1972, n. 472, riguardante i professori < < fuori ruolo>> perchè nominati docenti della Scuola superiore della pubblica amministrazione, e dunque non consentirebbero una loro equiparazione anche attraverso il ricorso all'analogia.

 

Fondandosi su questi motivi il Tribunale, al di là dell'espressione usata nel dispositivo (< < ritiene privi di pregio - alla luce della legislazione vigente - i motivi del ricorso >>) ha, nel corpo della motivazione, testualmente concluso che < < il ricorso deve, conseguentemente, essere respinto>>. In tal modo si è chiaramente esaurita la materia del contendere con la sostanziale reiezione dei motivi di impugnazione e, così, si è del pari preclusa la possibilità di rimettere in discussione la norma disegnata dall'art. 12 del d.P.R. 21 aprile 1972, n. 472, riguardante i professori < < fuori ruolo>> perchè nominati docenti della Scuola superiore della pubblica amministrazione. La pregiudizialità della questione risulta venuta meno perchè la legge è già stata applicata, e non si vede quale ulteriore decisione sul merito della causa potrebbe essere pronunciata dal Tribunale in esito alla definizione dell'incidente di costituzionalità.

 

Nè è ammissibile, come questa Corte ha già avuto modo di pronunciarsi (sentenza n. 242 del 1990 ), un giudizio ipotetico finalizzato esclusivamente alla valutazione di rilevanza della questione di costituzionalità della disciplina esaminata (< < se si applicasse la disciplina vigente il ricorso non sarebbe fondato>>) poichè, < < espresso in questa forma, esso perde il carattere di ipoteticità e diventa un giudizio immediatamente e definitivamente applicativo della legge, con conseguente irrilevanza della sollevata questione di legittimità costituzionale per difetto di pregiudizialità>>.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art.12, secondo comma, del d.P.R. 21 aprile 1972, n. 472 (< < Riordinamento e potenziamento della Scuola superiore della pubblica amministrazione>>), sollevata con riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale degli Abruzzi - sezione staccata di Pescara, col provvedimento indicato in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30/03/92.

 

Aldo CORASANITI, Presidente

 

Francesco GUIZZI, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 8 aprile del 1992.