Ordinanza n. 153 del 1992

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ORDINANZA N. 153

 

ANNO 1992

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

 

Dott. Aldo CORASANITI, Presidente

 

Prof. Giuseppe BORZELLINO

 

Dott. Francesco GRECO

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 112, 115 e 117 del regio decreto 14 settembre 1931, n. 1175 (Testo unico per la finanza locale), promosso con ordinanza emessa l'8 gennaio 1991 dalla Corte di cassazione sul ricorso proposto da Bianca Stella Ferrazzoli contro il comune di Roma, iscritta al n. 692 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell'anno 1991;

 

udito nella camera di consiglio del 4 marzo 1992 il Giudice relatore Francesco Guizzi.

 

Ritenuto che a seguito del decesso di Bertolami Filippo l'esattoria comunale di Roma ha comunicato alla vedova, Ferrazzoli Bianca Stella, gli avvisi di mora relativi all'imposta di famiglia per gli anni 1961, 1962, 1963, 1965, 1966, 1967, 1969 e 1970, i cui accertamenti erano divenuti definitivi;

 

che la Ferrazzoli aveva convenuto il comune di Roma avanti al Tribunale per l'accertamento negativo del preteso debito, ma il Tribunale, prima, e la Corte d' Appello, poi, avevano rigettato la domanda dell'attrice, la quale aveva proposto ricorso per Cassazione avverso l'ultima decisione;

 

che la Corte di cassazione, prima sezione civile, ha sollevato, in riferimento agli artt. 24 e 3 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 112, 115 e 117 del regio decreto 14 settembre 1931, n. 1175 (Testo unico per la finanza locale) nella parte in cui non prevedono che gli atti di rettifica e di accertamento dell'imposta di famiglia siano notificati, oltre che al capo famiglia, anche a tutti gli altri componenti il nucleo familiare;

 

che, secondo la Corte remittente, essendo la famiglia, nel nostro ordinamento, priva di personalità giuridica e di autonomia patrimoniale e, dunque, tutti gli appartenenti ad essa soggetti passivi del tributo in questione, non sarebbe assicurato agli altri componenti il nucleo familiare, fatta eccezione del solo capo famiglia, l'effettivo esercizio del diritto di difesa, non potendo quest'ultimo non essere assicurato fin dalla fase della rettifica della dichiarazione e dell'accertamento del maggiore imponibile;

 

che, mancando il diritto alla notifica dell'atto di accertamento per tutti gli altri componenti il nucleo familiare si priverebbero costoro del diritto di difendersi dall'accertamento dell'amministrazione < < con la conseguenza che accertamenti ad essi ignoti, divenuti definitivi nei riguardi del capo famiglia (sarebbero) loro opponibili e renderebbero non più contestabile la determinazione dell'imponibile e la misura dell'imposta>>;

 

che, inoltre, si verrebbe in tal modo a creare un'ingiustificata disparità di trattamento tra il capo famiglia e gli altri componenti il nucleo, titolari di identiche posizioni giuridiche sostanziali, ma processualmente dipendenti da quello.

 

Considerato che questa Corte ha già ritenuto non fondata la questione sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, non essendo leso il diritto di difesa < < perchè nulla vieta al rappresentante del soggetto passivo di far valere le proprie ragioni nel procedimento tributario>> (sentenza n. 348 del 1987), < < fin dal momento in cui gli venga notificato l'atto eventualmente lesivo ed anche per far valere ragioni che attengono a precedenti atti dei quali sia venuto a conoscenza in quell'occasione>>, < < ciò in quanto la mancata notifica di tali atti non determina alcuna preclusione nei suoi confronti>> (ordinanza n. 267 del 1990);

 

che tali pronuncie si pongono lungo una linea consolidata da ripetute affermazioni di manifesta infondatezza (n. 519 del 1991; n. 178 del 1990; nn. 246 e 184 del 1989; nn. 591, 207, 108 e 48 del 1988; n. 544 del 1987), nè la Corte remittente prospetta profili nuovi di valutazione;

 

che la tutela del coniuge, componente il nucleo familiare e, pertanto, soggetto passivo del tributo al pari del rappresentante processuale della famiglia, non è misconosciuta (art. 3 della Costituzione) nè compressa (art. 24 della Costituzione) per effetto della mancata previa notifica dell'atto di accertamento e del provvedimento di applicazione delle pene pecuniarie in considerazione della riconosciuta possibilità di impugnare l'avviso di mora e di svolgere, in quella sede, ogni difesa diretta.

 

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 112, 115 e 117 del regio decreto 14 settembre 1931, n. 1175 (Testo unico per la finanza locale), nella parte in cui non prevedono che gli atti di rettifica e di accertamento dell'imposta di famiglia siano notificati, oltre che al capo famiglia, anche a tutti gli altri componenti il nucleo familiare, sollevata, in riferimento agli artt.3 e 24 della Costituzione, dalla Corte di cassazione con l'ordinanza indicata in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18/03/92.

 

Aldo CORASANITI, Presidente

 

Francesco GUIZZI, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 1° aprile del 1992.