Ordinanza n. 118 del 1992

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ORDINANZA N. 118

ANNO 1992

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Dott. Aldo CORASANITI, Presidente

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 431, 512 e 514 del codice di procedura penale promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 19 luglio 1991 dal Pretore di Bergamo - sezione distaccata di Clusone - nel procedimento penale a carico di Lunghi Gualtiero, iscritta al n. 607 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell'anno 1991;

2) ordinanza emessa il 5 luglio 1991 dal Tribunale di Busto Arsizio nel procedimento penale a carico di Rossa Ornella, iscritta al n.645 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell'anno 1991.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 4 marzo 1992 il Giudice relatore Mauro Ferri.

Ritenuto che, con ordinanza del 19 luglio 1991, il Pretore di Bergamo - sezione distaccata di Clusone -, premesso che il pubblico ministero, a seguito della morte della parte offesa che era stata indicata quale teste, ha chiesto che venga data lettura delle dichiarazioni da essa precedentemente rese alla polizia giudiziaria, ha sollevato - in riferimento agli artt. 76, 77 e 3 della Costituzione - questione di legittimità costituzionale degli artt. 431 e 512 del codice di procedura penale nella parte in cui "escludono che, per il caso di sopravvenuta irripetibilità di un atto compiuto o ricevuto dalla polizia giudiziaria, in relazione a reati di competenza pretorile, sia data lettura degli atti medesimi, o comunque che essi atti siano acquisiti al fascicolo del dibattimento ed utilizzati per la decisione";

che, ad avviso del remittente, la direttiva n. 76 della legge delega imponeva di prevedere che potesse darsi lettura degli atti indicati al n.57 (atti... non ripetibili compiuti o ricevuti dalla polizia giudiziaria e dal pubblico ministero), per cui la irragionevole esclusione, operata dal legislatore delegato nell'art. 512, della estensione della possibilità di lettura anche degli atti divenuti in concreto irripetibili pare contrastare con gli artt. 76 e 77 della Costituzione; inoltre, lo stesso art.512 violerebbe il principio di eguaglianza in quanto, circoscrivendo la possibilità di lettura ai soli atti compiuti dal pubblico ministero e dal giudice dell'udienza preliminare, e quindi nei soli processi eccedenti la competenza pretorile, consente un trattamento probatorio differenziato a secondo che i reati siano o meno di competenza del pretore;

che analoghe censure, osserva infine il giudice a quo, possono essere mosse all'art. 431 del codice di procedura penale, ove si ritenga che gli atti ivi elencati come irripetibili non possano formare oggetto di successivo inserimento nel fascicolo per sopravvenuta ricorrenza della condizione che, se preesistente, avrebbe legittimato il pubblico ministero ad inserirveli;

che, con ordinanza del 5 luglio 1991, il Tribunale di Busto Arsizio, premesso che la difesa dell'imputata aveva formulato numerose eccezioni in ordine al contenuto del fascicolo per il dibattimento, chiedendo l'espunzione da quest'ultimo di diversi atti, tra i quali il verbale delle dichiarazioni rese dalla parte offesa alla polizia giudiziaria, ha sollevato questione di legittimità costituzionale "del combinato disposto degli artt.431, 512 e 514 del codice di procedura penale, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, nella parte in cui esso non prevede che il giudice possa dare lettura, a richiesta di parte, dei verbali delle dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria dalle persone informate sui fatti, quando, per fatti o circostanze imprevedibili, ne è divenuta impossibile la ripetizione";

che il Collegio remittente osserva che le dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria nel corso delle indagini preliminari da persone informate sui fatti, nonostante siano divenute irripetibili per morte del dichiarante, ovvero proprio a causa di un evento imprevedibile all'atto della loro assunzione, non possono essere lette in dibattimento ad istanza di parte e conseguentemente acquisite al fascicolo d'ufficio, per la elementare considerazione che gli atti assunti dalla polizia giudiziaria non rientrano nella previsione dell'art. 512 del codice di procedura penale (che comprende solo gli atti assunti dal pubblico ministero o dal giudice nel corso dell'udienza preliminare);

che sembra evidente, a suo avviso, l'irragionevolezza della vigente disciplina nella misura in cui essa regola in modo diverso, senza alcuna apprezzabile giustificazione logica, due atti istruttori ontologicamente simili, quali le informazioni rese alla polizia giudiziaria ex art.351 e quelle rese al pubblico ministero ex art. 362 del codice di procedura penale da parte di persone in grado di riferire notizie utili per le indagini, con particolare riferimento all'ipotesi in cui, prima del dibattimento, si verifichi per circostanze imprevedibili la morte del dichiarante;

che le conseguenze possono essere anche più gravi, rileva il giudice a quo, qualora la deposizione testimoniale, divenuta irripetibile per morte del dichiarante, sia stata resa dalla persona offesa dal reato e, a maggior ragione, se tale atto istruttorio sia in concreto l'unica prova di cui disponga l'accusa contro l'imputato: in tale particolare ipotesi, la disciplina in oggetto confligge con il diritto di tutte le parti offese ad un ugual trattamento processuale, in quanto, allorchè la persona offesa abbia collaborato con la giustizia rendendo dichiarazioni accusatorie contro l'imputato, poi divenute irripetibili per morte di costei, sembra profondamente ingiusto, alla luce dell'art. 3 della Costituzione, che tali dichiarazioni possano essere utilizzate processualmente contro l'imputato solo se rese al pubblico ministero, mentre non abbiano alcun valore probatorio se rese alla polizia giudiziaria;

che tali ultime considerazioni consentono di ritenere, conclude il remittente, l'illegittimità costituzionale della normativa in esame anche in riferimento all'art. 97 della Costituzione, in quanto l'attività di indagine svolta dalla polizia giudiziaria ex art. 351 del codice di procedura penale può risultare irrimediabilmente compromessa a causa della sopravvenienza di fatti e circostanze oggettivamente imprevedibili, con violazione del principio del buon andamento della P.A., che impone di valorizzare l'attività legittimamente compiuta dagli organi amministrativi per la realizzazione degli scopi ad essi affidati dall'ordinamento;

che è intervenuto in entrambi i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, concludendo per l'infondatezza delle questioni.

Considerato che, per la sostanziale identità delle questioni sollevate, i giudizi vanno riuniti ed esaminati congiuntamente;

che questa Corte, con sentenza n. 24 del 1992, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 195, quarto comma, del codice di procedura penale (nonchè della corrispondente parte della direttiva n. 31 della legge-delega 16 febbraio 1987, n. 81), il quale prevedeva, per gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria, il divieto di rendere testimonianza indiretta, cioé di "deporre sul contenuto delle dichiarazioni acquisite da testimoni"; che, a causa della possibile incidenza della caducazione di detto divieto nei procedimenti pendenti dinanzi ai giudici remittenti, appare opportuno disporre la restituzione degli atti ai medesimi giudici, affinchè, alla luce del nuovo quadro normativo della materia, valutino se le sollevate questioni siano tuttora rilevanti.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

ordina la restituzione degli atti al Pretore di Bergamo - sezione distaccata di Clusone - e al Tribunale di Busto Arsizio.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 04/03/92.

Aldo CORASANITI, Presidente

Mauro FERRI, Redattore

Depositata in cancelleria il 19 marzo del 1992.