Sentenza n.73 del 1992

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SENTENZA N. 73

ANNO 1992

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Dott. Aldo CORASANITI, Presidente

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma secondo, della legge 20 settembre 1980, n. 576 (Riforma del sistema previdenziale forense), promosso con ordinanza emessa il 5 luglio 1991 dal Pretore di Napoli sul ricorso proposto da Esposito Luigi contro la Cassa nazionale di previdenza ed assistenza Avvocati e Procuratori iscritta al n. 595 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell'anno 1991.

Visti gli atti di costituzione di Esposito Luigi e della Cassa nazionale previdenza ed assistenza Avvocati e Procuratori nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 21 gennaio 1991 il Giudice relatore Luigi Mengoni;

uditi gli avvocati Luigi Esposito per se medesimo, Annibale Marini per la Cassa nazionale previdenza ed assistenza Avvocati e Procuratori e l'Avvocato dello Stato Antonio Bruno per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. Nel corso di un giudizio promosso dall'avv. Luigi Esposito nei confronti della Cassa nazionale di previdenza e assistenza degli avvocati e procuratori legali per ottenere la pensione di anzianità, il Pretore di Napoli, con ordinanza del 5 luglio 1991, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, secondo comma, della legge 20 settembre 1980, n. 576, sulla previdenza forense, in riferimento agli artt.3, 4, primo comma, 35, primo comma, e 38, secondo comma della Costituzione.

Ad avviso del giudice remittente, la norma impugnata - in quanto subordina la corresponsione della pensione di anzianità alla cancellazione dagli albi di avvocato e procuratore e ne stabilisce l'incompatibilità con l'iscrizione a qualsiasi albo professionale o elenco di lavoratori autonomi e con qualsiasi attività di lavoro dipendente - violerebbe anzitutto il principio di eguaglianza, discriminando oltre misura il trattamento della pensione di anzianità rispetto al trattamento della pensione di vecchiaia.

La discriminazione, legittima entro limiti di ragionevolezza data la diversità delle due forme di pensione, non sarebbe più contenuta entro tali limiti dopo la sentenza n. 1008 del 1988 di questa Corte, che ha cancellato nell'art. 2 della legge n. 576 le norme destinate a disincentivare la prosecuzione oltre i settant'anni dell'attività professionale da parte degli avvocati beneficiari della pensione di vecchiaia. Poichè la norma impugnata persegue, in termini più drastici, la medesima finalità nei confronti dei pensionati per anzianità, tale disincentivo non appare più giustificato, essendo ormai privo di corrispondenza nella disciplina della pensione di vecchiaia.

Se poi da un confronto interno alla categoria forense si passa a un confronto col regime generale dell'assicurazione invalidità e vecchiaia, la violazione dell'art. 3 si manifesta ancor più gravemente, atteso che a tale regime sono soggette anche categorie di lavoratori autonomi, come gli artigiani e i commercianti, i quali possono ottenere la pensione di anzianità pur continuando la loro attività, essendo ad essi vietato soltanto il lavoro dipendente.

Considerato il modesto ammontare della pensione di anzianità corrisposta dalla Cassa, il divieto di iscrizione a qualsiasi altro albo professionale e di svolgere qualsiasi attività di lavoro dipendente violerebbe anche l'art.38, secondo comma, Cost., impedendo al pensionato di far fronte adeguatamente alle proprie esigenze di vita. Il termine "vecchiaia", usato dalla citata disposizione costituzionale, "sicuramente comprende (sempre secondo il giudice a quo) anche il concetto di anzianità".

Sarebbero infine violati il diritto al lavoro e l'obbligo di promuovere le condizioni per il suo effettivo esercizio, sanciti dagli artt. 4 e 35 Cost., almeno nella misura in cui la norma impugnata non prevede, anzichè la cancellazione dall'albo, una sospensione temporanea fino al conseguimento dei requisiti per la pensione di vecchiaia.

2. Nel giudizio davanti alla Corte si è costituito il ricorrente aderendo alle argomentazioni dell'ordinanza di rimessione, che ha poi sviluppato in una memoria difensiva insistendo soprattutto sull'ingiustificatezza della norma impugnata ai fini della tutela dell'"interesse di entrata" dei giovani nella professione, e sull'inadeguatezza dell'ammontare della pensione alle esigenze di vita del pensionato.

Si è pure costituita la Cassa di previdenza per gli avvocati chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.

Osserva la Cassa che la diversità tra le due figure di pensione, riconosciuta dallo stesso giudice remittente, è una diversità radicale di ratio. Solo la pensione di vecchiaia presuppone lo stato di bisogno dipendente dall'età, tutelato dall'art. 38, secondo comma, Cost., mentre la pensione di anzianità, fondata esclusivamente sull'anzianità di iscrizione alla Cassa, attribuisce all'iscritto il diritto di fruire anticipatamente del trattamento pensionistico in alternativa alla prosecuzione dell'attività lavorativa fino al conseguimento delle condizioni della pensione di vecchiaia. Sono perciò prive di consistenza le ipotizzate violazioni dei parametri costituzionali richiamati dal giudice remittente.

3. É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, concludendo per una dichiarazione di infondatezza della questione con argomentazioni analoghe a quelle svolte dalla Cassa, integrate dalla considerazione che la pensione di anzianità mira, in sostanza, a tutelare il soggetto dall'usura psico- fisica prodotta dall'attività protratta nel tempo, onde anche sotto questo profilo si giustifica l'incompatibilità con la prosecuzione dell'attività lavorativa.

Considerato in diritto

Dal Pretore di Napoli è sollevata questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 4, primo comma, 35, primo comma, e 38, secondo comma, Cost., dell'art. 3, secondo comma, della legge 20 settembre 1980, n. 576, sulla previdenza forense, in quanto:

a) subordina la corresponsione della pensione di anzianità alla cancellazione dagli albi di avvocato e di procuratore;

b) ne prevede l'incompatibilità con l'iscrizione a qualsiasi albo professionale o elenco di lavoratori autonomi e con qualsiasi attività di lavoro dipendente.

2. In relazione alla condizione sub a) la questione non è fondata.

Il confronto con la disciplina della pensione di vecchiaia, sul quale insiste il giudice remittente, non è producente ai fini dell'art.3 Cost.

La pensione di anzianità non è un ipotesi particolare della pensione di vecchiaia, ma è una forma previdenziale affatto diversa, indipendente dall'età e fondata esclusivamente sulla durata dell'attività lavorativa e sulla correlativa anzianità di contribuzione effettiva (cfr. sent. n. 194 del 1991). A differenza delle norme dell'art. 2, sesto e ottavo comma, dichiarate illegittime dalla sent. n. 1008 del 1988, l'art. 3, secondo comma, non ha una funzione di disincentivo della prosecuzione dell'attività professionale da parte dei titolari di pensione di anzianità: disincentivo di un'attività e divieto della medesima sono concetti incompatibili. L'abbandono della professione, comprovato dalla cancellazione dagli albi degli avvocati e dei procuratori, è una condizione strettamente inerente alla ratio di questa forma di pensione, sia che la si intenda, analogamente alla pensione di anzianità dei lavoratori subordinati, come forma di riconoscimento e di premio a coloro che hanno adempiuto il dovere prescritto dall'art. 4, secondo comma, Cost. con una partecipazione assidua a un'attività di produzione sociale durata almeno trentacinque anni, sia che la si intenda, secondo la prospettazione dell'Avvocatura dello Stato, come anticipo del godimento della pensione concesso in considerazione del presumibile logoramento psico- fisico sopravvenuto dopo un lungo periodo di attività professionale.

Nè vale osservare che per alcune categorie di lavoratori autonomi, come i coltivatori diretti, gli artigiani e i commercianti, la concessione della pensione di anzianità non è subordinata alla cessazione dell'attività, essendo richiesto soltanto che non prestino attività di lavoro subordinato (art. 22, primo comma, della legge 30 aprile 1969, n.153). La diversa disciplina si spiega perchè il trattamento pensionistico di queste categorie di lavoratori autonomi è agganciato al sistema dell'assicurazione generale obbligatoria per i lavoratori dipendenti.

Confrontata con la disciplina della pensione di anzianità dei liberi professionisti, essa può apparire un privilegio, ma, appunto perchè appartenente a un sistema previdenziale diverso da quello della previdenza forense, non può essere addotta come criterio di valutazione ai fini del principio di eguaglianza.

3. La questione è fondata in relazione alle incompatibilità di cui al punto 1, sub b), fatta salva l'incompatibilità con l'iscrizione agli albi di avvocato e di procuratore.

La ratio sopra spiegata, mentre giustifica la condizione sub a), non è sufficiente per fondare l'incompatibilità con l'iscrizione a qualsiasi altro albo o elenco di lavoratori autonomi, nonchè con qualsiasi prestazione di lavoro subordinato.

La norma impugnata consente al titolare di pensione di anzianità di svolgere un'attività di lavoro autonomo per la quale non sia richiesta l'iscrizione a un albo o elenco di lavoratori autonomi, per esempio, un'attività di consulenza legale, di arbitro, di amministratore di società. Data questa possibilità, è irrazionale vietare altre attività, eventualmente di minore impegno, solo perchè richiedono l'iscrizione a un albo o un elenco. Nemmeno si comprende facilmente perchè, mentre al titolare di pensione di anzianità è permessa un'attività continuativa e coordinata di consulenza in favore di un'impresa, gli sia vietato prestare la medesima attività con un contratto di lavoro subordinato a tempo parziale.

Il logorio psico-fisico, che si suppone essere la causa che induce il professionista a ritirarsi dalla professione per fruire della pensione di anzianità, non dipende esclusivamente, nè per la maggior parte, dalla durata giornaliera dell'impegno di lavoro, ma da vari fattori (stress, preoccupazioni, responsabilità, carico di spese di gestione, ecc.) che in altre attività non sono presenti o lo sono in misura più attenuata.

Nè varrebbe richiamare, a giustificazione dell'incompatibilità della pensione di anzianità col lavoro subordinato, l'analoga incompatibilità prevista, nella disciplina dell'assicurazione generale obbligatoria, anche per i coltivatori diretti, gli artigiani e i commercianti. Per queste categorie di lavoratori autonomi il divieto di lavoro subordinato si giustifica in ragione della loro equiparazione, ai fini del trattamento pensionistico, ai lavoratori subordinati, mentre tale ratio è estranea al sistema della previdenza forense.

4. Oltre al principio di razionalità di cui all'art. 3 Cost., è violato anche il principio del diritto al lavoro, di cui all'art.4, primo comma, Cost. Mentre nel sistema dell'assicurazione generale obbligatoria la pensione di anzianità è pienamente equiparata alla pensione di vecchiaia quando sopraggiunge l'età pensionabile (art. 22, sesto comma, legge n. 153 del 1969), con conseguente cessazione dell'incompatibilità con attività di lavoro subordinato, tale equiparazione non è ammessa nel sistema della previdenza forense, così che la norma impugnata limita in misura eccessivamente gravosa le possibilità di lavoro del pensionato per tutto il resto della vita.

5. Rimangono assorbiti i motivi di impugnativa dedotti dal giudice a quo in riferimento agli artt. 35, primo comma, e 38, secondo comma, Cost.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 3, secondo comma, della legge 20 settembre 1980, n. 576 (Riforma del sistema previdenziale forense), nella parte in cui prevede l'incompatibilità della corresponsione della pensione di anzianità con l'iscrizione ad albi o elenchi di lavoratori autonomi diversi dagli albi di avvocato e di procuratore, e con qualsiasi attività di lavoro dipendente;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.3, secondo comma, della legge citata, nella parte in cui subordina la corresponsione della pensione di anzianità alla canc dagli albi di avvocato e di procuratore, questione sollevata, in riferimento agli artt. 3, 4, primo comma, 35, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione, dal Pretore di Napoli con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17/02/92.

Aldo CORASANITI, Presidente

Luigi MENGONI, Redattore

Depositata in cancelleria il 28 febbraio del 1992.