Sentenza n. 66 del 1992

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SENTENZA N. 66

ANNO 1992

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Dott. Aldo CORASANITI, Presidente

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge della Regione Emilia- Romagna 23 aprile 1987, n. 16 (Disposizioni integrative della legge regionale 2 agosto 1984, n. 42 "Nuove norme in materia di enti di bonifica. Delega di funzioni amministrative"),promosso con ordinanza emessa il 26 ottobre 1990 dal Consiglio di Stato sul ricorso proposto dalla s.r.l. Azienda Agricola Mugnano ed altri contro la Regione Emilia- Romagna ed altri iscritta al n. 590 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell'anno 1991.

Visti gli atti di costituzione della s.r.l. Azienda Agricola Mugnano ed altri e della Regione Emilia-Romagna;

udito nell'udienza pubblica del 21 gennaio 1992 il Giudice relatore Antonio Baldassarre;

uditi gli avvocati Giorgio Berti e Guido Viola per la s.r.l. Azienda Agricola Mugnano ed altri e Giandomenico Falcon per la Regione Emilia- Romagna.

Ritenuto in fatto

1.- Nel corso di un giudizio d'appello avverso una sentenza del Tribunale amministrativo regionale dell'Emilia- Romagna proposto da alcuni titolari di aziende agricole in relazione a delibere regionali con le quali è stato disposto il riordino dei comprensori di bonifica e la conseguente istituzione di consorzi ricomprendenti le aziende degli appellanti, il Consiglio di Stato, con l'ordinanza indicata in epigrafe, ha sollevato questione di legittimità costituzionale nei confronti dell'art. 3 della legge della Regione Emilia-Romagna 23 aprile 1987, n. 16 (Disposizioni integrative della legge regionale 2 agosto 1984, n. 42 "Nuove norme in materia di enti di bonifica. Delega di funzioni amministrative"), nella parte in cui prevede che l'intero territorio regionale, ad esclusione delle aree golenali riferite a opere idrauliche di seconda e terza categoria (artt. 5 e 7 del r.d. n. 523 del 1904) e ferme restando le classificazioni esistenti adottate con provvedimenti statali, è classificato di bonifica di seconda categoria. Secondo il giudice a quo, tale disposizione si pone in contrasto con gli artt. 117, 97 e 18 della Costituzione.

Sotto il profilo della violazione dell'art. 117 della Costituzione, il Consiglio di Stato, dopo aver ricordato che, a seguito del trasferimento operato dall'art. 73 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, la materia della bonifica è stata assegnata alla competenza regionale di tipo concorrente, osserva che nella legislazione statale il concetto di bonifica, dall'iniziale nozione di prosciugamento delle paludi, si è evoluto, a partire dal r.d. 13 febbraio 1933, n. 215, fino a ricomprendere il compimento di opere idonee a modificare l'ambiente allo scopo di sviluppare le potenzialità produttive del territorio e di istituire equi rapporti sociali (come richiesto dall'art. 44 della Costituzione). In tale quadro finalistico, continua il giudice a quo, si collocano numerose leggi regionali, fra le quali quella impugnata, che collegano le opere di bonifica a scopi di sviluppo della produzione agricola, di difesa del suolo e dell'ambiente, di miglioramento del reddito dell'agricoltura e dell'assetto del territorio. Senonchè, prosegue lo stesso giudice, nel classificare l'intero territorio regionale come area di bonifica, la legge impugnata appare derogare a un principio fondamentale della legislazione statale, secondo cui è coessenziale alla nozione di bonifica l'individuazione di determinate e specifiche zone del territorio che dovranno essere suddivise in comprensori di bonifica, sui quali dar vita a enti consortili sostanzialmente conformi a quelli previsti nella legislazione statale.

La deroga a questo principio di "specialità" della bonifica e la conseguente interruzione del nesso necessario fra l'appartenenza al comprensorio e al consorzio e le finalità della bonifica stessa, comportano altresì, sempre ad avviso del giudice a quo, la violazione del principio d'imparzialità, garantito dall'art. 97 della Costituzione, nonchè l'incisione sul diritto di associazione dei privati, riconosciuto dall'art.18 della Costituzione.

2.- Le parti appellanti dinnanzi al Consiglio di Stato si sono costituite in giudizio per sostenere l'illegittimità costituzionale della disposizione impugnata.

Oltrechè ribadire le argomentazioni svolte nell'ordinanza di rimessione, le parti private sottolineano come le leggi statali presuppongono, non già la coincidenza fra lo spazio territoriale del potere regionale e quello assoggettato agli interventi di bonifica, ma la definizione di ambiti territoriali limitati e corrispondenti ai programmi di opere di bonifica di volta in volta deliberati. In base a questo principio della legislazione statale, relativo alla specialità e alla concretezza dell'attività di bonifica, i comprensori debbono corrispondere a effettive aree di intervento bonificatorio e i consorzi possono aggregare soltanto i proprietari ricadenti nella medesima area. Contro tale principio, concludono le parti private, dispone l'articolo impugnato, che suddivide l'intero territorio regionale in comprensori di bonifica, preponendo a ciascun comprensorio un ente consortile raggruppante i proprietari ricadenti nel comprensorio stesso.

In relazione alla violazione degli artt. 97 e 18 della Costituzione, le parti appellanti del giudizio a quo rilevano che la trasformazione in aree di bonifica dell'intero territorio regionale comporta la rottura del rapporto necessario tra l'appartenenza al comprensorio e al consorzio, da un canto, e i fini di bonifica, dall'altro, sicchè i proprietari sono obbligati ad associarsi in ragione di una contribuzione finanziaria ad opere che possono non riguardare in alcun modo i loro fondi e, nello stesso tempo, l'amministrazione è autorizzata a porre in essere comportamenti al di fuori di ogni proporzione oggettiva e verificabile con l'attività di bonifica e con il finanziamento di questa attività da parte dei privati.

In breve, conclude la difesa dei proprietari di aziende, appare violato, anzitutto, il principio secondo il quale i comprensori di bo conseguono alla classificazione dei terreni per gli scopi di bonifica e vanno dimensionati agli interventi bonificatori considerati necessari per aree determinate; e, inoltre, risulta violato il principio che sancisce un collegamento proporzionale tra la classificazione dei comprensori di bonifica e la spesa occorrente per il compimento delle opere e il funzionamento dei consorzi di gestione dei comprensori stessi. Di qui deriva: a) la violazione dei principi di imparzialità, razionalità, e di buon andamento del comportamento amministrativo, nonchè la connessa violazione del principio di eguaglianza in relazione agli effetti lesivi arbitrariamente prodotti in confronto ai diritti di alcuni proprietari soltanto; b) la violazione della libertà di associazione in conseguenza dell'obbligo irrazionalmente imposto dalla regione ad alcuni proprietari di far parte di enti associativi, considerato che la libertà di associarsi può convertirsi in un dovere associativo solo laddove si tratti di istituire un'organizzazione pubblica che risponda razionalmente e obiettivamente agli scopi per i quali i proprietari vengano associati.

3.- La Regione Emilia-Romagna si è costituita in giudizio per sostenere l'infondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata.

L'ordinanza di rimessione, ad avviso della Regione, appare inficiata da una palese contraddizione allorchè, per un verso, afferma che la legge impugnata si adegua coerentemente al più ampio concetto di bonifica, avente la propria finalità nell'assetto del territorio e nello sviluppo delle potenzialità produttive ivi insediate (come indica, fra l'altro, l'art. 857 cod. civ., interpretato in armonia con gli artt. 9 e 44 della Costituzione), e, per altro verso, sostiene che l'art. 3 della stessa legge è illegittimo costituzionalmente, in quanto classifica l'intero territorio regionale come area di bonifica. In realtà, prosegue la Regione, l'art. 3 è la coerente conseguenza della definizione di bonifica contenuta nell'art. 1 della stessa legge, ai sensi del quale la Regione "riconosce, promuove ed organizza l'attività di bonifica come funzione essenzialmente pubblica ai fini della difesa del suolo e di un equilibrato sviluppo del proprio territorio, della tutela e della valorizzazione della produzione agricola e dei beni naturali con particolare riferimento alle risorse idriche". A questi fini, prosegue la Regione, le attività di bonifica possono ben interessare l'intero territorio regionale, e non soltanto specifiche zone, caratterizzate da condizioni del tutto particolari.

Ricordando che è pacifico nella giurisprudenza costituzionale (v. sent. n. 271 del 1986) che l'evoluzione dell'ordinamento, pur senza incidere formalmente sulle disposizioni interessate, può far modificare il significato di queste ultime, al punto da far perdere ad esse anche il carattere di principi fondamentali, la Regione osserva che la legge impugnata accoglie il significato più ampio del concetto di bonifica inglobando nella nozione di quest'ultima anche le funzioni che erano collegate alla bonifica montana e a quelle proprie dei consorzi idraulici (che, infatti, vengono soppressi dalla legge impugnata). In altri termini, l'idea di fondo di tale legge è quella di dare forza a una moderna concezione della bonifica, che, nella prospettiva della tutela dell'ambiente e della produzione agricola, sostituisce a strumenti di interventi disorganici un'unica rete organica, costituita dai nuovi comprensori e consorzi di bonifica: si tratta di un'idea che si distacca dalla legislazione del 1933 per riallacciarsi a principi presenti nella legislazione statale, più in armonia con le norme costituzionali.

Dopo aver sottolineato che, ai sensi dell'art. 7 della legge regionale n. 42 del 1984, le opere necessarie ai fini generali della bonifica e della utilizzazione agricola delle acque sono a totale carico delle finanze regionali e che le opere di utilità privata godono di contributi in conto capitale che arrivano al 70% o al 30%, la Regione rileva che non è in discussione il principio di correlazione tra oneri e vantaggi, per il quale ogni tipo di contribuzione da parte dei privati è strettamente commisurato ai benefici ricavati dagli interventi sui loro fondi (v. artt. 8, 9 e 13 della legge regionale n. 42 del 1984): quest'ultimo è, in realtà, il vero principio fondamentale della legislazione statale, conclude la Regione, mentre non lo è quello, presunto, per il quale solo alcuni terreni, e non tutti, devono essere inclusi in comprensori in cui possono essere compiute opere di bonifica.

Quanto agli altri profili di costituzionalità, la Regione osserva che nel caso non si può parlare di libertà di associazione (la quale, all'art. 18 della Costituzione, si riferisce alle persone come tali), ma, piuttosto, di diritti e di doveri di partecipazione connessi alla proprietà fondiaria o, più precisamente, connessi alla funzione sociale relativa alla proprietà privata, commisurata ai valori della tutela del territorio e dell'ambiente, oltrechè all'integrità economica (artt. 42, 44 e9 della Costituzione): i soggetti, infatti, sono chiamati a compartecipare all'azione amministrativa di bonifica in quanto si trovano nella particolare condizione di proprietari fondiari, e non già in quella di cittadini.

4.- In prossimità dell'udienza pubblica hanno presentato memorie le parti appellanti nel giudizio a quo e la Regione Emilia-Romagna.

La difesa delle parti private, in replica alle osservazioni contenute nell'atto di costituzione della Regione Emilia-Romagna, osserva che quest'ultima non può considerarsi libera di stabilire, a sua discrezione, tanto l'ampiezza della funzione bonificatoria, quanto il raccordo fra l'attività di bonifica, l'organizzazione di quest'ultima e la distribuzione degli oneri a carico dei privati. In realtà, l'art.857 cod.civ. pone chiaramente l'esigenza di una correlazione tra i fini igienici, demografici, economici e sociali e l'assoggettamento agli interventi necessari per raggiungere questi fini dei terreni, "che si trovano in un comprensorio", i quali richiedono per le loro condizioni di dissesto o di improduttività, interventi speciali. In altri termini, a base della bonifica dovrebbe esserci, come fine preminente, la trasformazione dell'ordinamento produttivo dell'agricoltura, nella cui proiezione possono rientrare anche altri fini più particolari (ambientali, di difesa del suolo, demografici, etc.), senza tuttavia che questi ultimi esorbitino dai propri confini per imporre finalità generali di riassetto del territorio.

Secondo le parti private, ritenere il contrario, come pretende invece la Regione Emilia-Romagna, significa riconoscere un potere regionale libero di invadere altri campi di competenza normativa (anche estranei alle attribuzioni regionali) e, per quel che qui interessa, comporta lo snaturamento dei consorzi quali associazione dei proprietari che traggono benefici dagli specifici interventi di bonifica in organism proprietari vengono associati per il godimento di utilità collettive, cioè uticives. I comprensori e i consorzi verrebbero così indebitamente delineati come una sorta di ente intermedio.

Nella legge regionale n. 42 del 1984, rilevano ancora le parti private, i principi ora ricordati erano in qualche modo salvaguardati, dal momento che vi operava ancora una certa proporzione tra la bonifica, come complesso di fini integrati, e la predisposizione degli strumenti organizzativi mediante la costituzione di comprensori definiti in funzione di questi interventi.

Tuttavia, ad avviso della stessa difesa, tali principi sono stati rovesciati dall'impugnato art. 3 della legge regionale n. 16 del 1987, laddove si stabilisce che tutto il territorio regionale viene classificato di bonifica di seconda categoria e che per ciascuno dei comprensori in cui il territorio è suddiviso è istituito un consorzio di bonifica: con queste disposizioni, infatti, risulterebbero infranti sia il principio di formazione dei comprensori in ragione dei programmi di bonifica, sia il nesso fra il comprensorio e il consorzio, tanto che quest'ultimo, anzichè associare solo i proprietari che traggono beneficio dalla bonifica, finirebbe per costringere al suo interno tutti i proprietari dei suoli esistenti nella regione indipendentemente dai benefici reali che questi ne possano trarre.

In tal modo, i contributi di bonifica, conclude sul punto la predetta difesa, si verrebbero a configurare come una nuova imposta, diretta a tenere in piedi una nuova organizzazione politico amministrativa volta al perseguimento di fini molteplici.

Il d.P.R. n. 616 del 1977, allorchè trasferisce alle regioni le funzioni in materia di classificazione, di ripartizione dei territori in consorzi di bonifica e di approvazione dei piani generali di bonifica e dei programmi di sistemazione dei bacini montani (artt. 69 e 73), continua la difesa delle parti private, si riferisce chiaramente alla disciplina della bonifica contenuta nel codice civile. In questa, oltre al principio contenuto nell'art. 857 cod. civ. (specialità dell'intervento), c'è anche quello, espresso dagli artt. 859 e 860, secondo il quale il comprensorio non è che la proiezione organizzativa di un piano generale di attività, dalla cui approvazione conseguono gli obblighi dei proprietari situati entro il perimetro del comprensorio, per il fatto che soltanto in relazione agli interventi ivi previsti possono misurarsi l'interesse o l'utilità dei privati. Ad avviso della predetta difesa, questa rigorosa correlazione tra classificazione dei comprensori, programma di opere, costituzione dei consorzi tra i proprietari e distribuzione degli oneri fra questi ultimi risulterebbe stravolta dalla legge regionale impugnata, la quale, andando oltre i propri limiti di interpretazione dei principi statali, allarga la nozione di bonifica fino a ricomprendere le più disparate funzioni sul territorio e a impiantare, di conseguenza, una organizzazione parallela a quella regionale fondamentale, nei cui rispetti i privati vengono coinvolti al di là dei benefici a loro diretti (in violazione dell'art. 44 della Costituzione, relativamente ai limiti conformativi della proprietà privata). Nel far ciò, concludono le parti private, la legge della Emilia- Romagna si distacca persino dalle leggi di altre regioni, che invece mantengono salda l'anzidetta correlazione, rivelando così la piena irrazionalità della disposizione impugnata, con conseguente disparità di trattamento fra i cittadini dell'Emilia-Romagna e quelli di altre regioni.

5.- Nella propria memoria la Regione Emilia- Romagna precisa, in apertura, che la classificazione operata dalla legge impugnata risulterebbe giustificata anche se si volesse seguire la nozione più ristretta di bonifica, tanto che, prima della legge regionale n. 16 del 1987, l'87,50% del territorio regionale era ricompreso nei comprensori di bonifica "integrale" e "montana". Tuttavia, il legislatore regionale ha ritenuto che tale preesistente rete di comprensori fosse incongruente ai fini di una coordinata realizzazione degli interventi di bonifica tanto in considerazione della separazione tra le aree montane e le sottostanti aree di pianura, quanto in considerazione del fatto che le delimitazioni comprensoriali non risultavano sempre coincidenti con i bacini dei principali corsi d'acqua e presentavano vuoti proprio nei punti più delicati e vulnerabili per la corretta regimazione idraulica dei terreni, vale a dire nei punti di congiunzione tra montagna e pianura.

Queste ultime aree - in una delle quali, peraltro già sottoposta in parte ad alcune opere di bonifica e di irrigazione gestite dal Comune di Modena, ricadono gli immobili degli appellanti nel giudizio a quo - non potevano essere escluse dalla classificazione operata dalla legge impugnata, una volta che si è accettata una visione unitaria di bacino relativamente al coordinamento degli interventi sui territori di montagna e di pianura e una volta che negli ultimi decenni si è verificata in tali zone una consistente trasformazione dei suoli e una rilevante urbanizzazione, le quali hanno posto gravi problemi per la sicurezza idraulica e la corretta utilizzazione delle risorse idriche superficiali e sotterranee.

Pertanto, conclude la difesa della Regione sul punto, la legge impugnata ha esteso la classificazione al restante 12% del territorio, non già per un'astratta ragione di completezza del sistema, ma per ragioni relative alle caratteristiche proprie dei singoli terreni interessati. E ciò è tanto vero che il contestato art. 3 della legge n. 16 del 1987 non è che la "sanzione"in forma legislativa di una scelta già compiuta in via amministrativa dal Consiglio regionale (delibera n. 1241 del 1987) a seguito di una complessa procedura, comprensiva anche di ampie fasi partecipative nel corso delle quali nessuna osservazione è giunta dagli appellanti nel giudizio a quo.

Inoltre, continua la difesa della Regione, non può ritenersi violato il principio, desumibile dalla legislazione statale, relativo alla "specialità" della bonifica. Infatti, anche ad ammettere che un principio simile a quello invocato esista, esso non potrebbe tradursi nell'idea che soltanto una parte del territorio regionale possa essere classificato di bonifica, quando, in realtà, ciascuna parte dello stesso territorio, singolarmente considerata per le sue caratteristiche, meritasse e richiedesse quella classificazione. Se così non fosse, quel principio comporterebbe un'irragionevole esigenza di astrattezza della relativa valutazione. Nel caso, invece, la classificazione dell'intero territorio è conseguita, secondo la Regione, alla scelta di rendere possibile un'ordinata e razionale gestione sul territorio delle attività di bonifica e di irrigazione nel quadro di una semplificazione organizzativa mirante a concentrare nei consorzi ogni attività di bonifica e a perseguire il fine di stabilire unità omogenee sotto il profilo idrografico una tendenziale corrispondenza del comprensorio con il bacino idrografico.

E ciò, conclude sul punto la Regione, risponde pienamente al principio di "specialità", il quale significa, tutt'al più, che la classificazione deve corrispondere alle caratteristiche specifiche dei territori considerati.

Da ultimo, la Regione contesta gli argomenti che le parti private hanno desunto dalla legge n. 183 del 1989. Non c'è dubbio, precisa la Regione, che la "difesa del suolo" sia nozione più ampia di qualunque significato possibile di bonifica, intesa quale caratteristico intreccio di opere pubbliche a tutela del territorio nella prospettiva della produzione agricola. Ma questo rilievo non comporta che si debba seguire un concetto "ristretto" di bonifica, dal momento che la stessa legge n. 183 definisce le istituzioni della bonifica come uno dei fondamentali cardini amministrativi che, entro il coordinamento generale del bacino, realizzano l'attività complessiva di conservazione e di risanamento del territorio.

Considerato in diritto

1. Il Consiglio di Stato dubita della legittimità costituzionale dell'art.3 della legge della Regione Emilia-Romagna 23 aprile 1987, n. 16 (Disposizioni integrative della legge regionale 2 agosto 1984, n.42 "Nuove norme in materia di enti di bonifica. Delega di funzioni amministrative"), nella parte in cui prevede che tutto il territorio regionale sia classificato territorio di bonifica di seconda categoria (ad esclusione delle aree golenali riferite ad opere idrauliche di seconda e terza categoria di cui agli artt. 5 e 7 del r.d. 25 luglio 1904, n. 523, e ferme restando le classificazioni attualmente esistenti adottate con provvedimenti statali).

Ad avviso del giudice a quo, la norma contestata, nel porsi in contrasto con il principio per il quale appare coessenziale alla nozione di bonifica l'indicazione di zone di territorio determinate e specifiche da assoggettare al relativo regime giuridico, violerebbe gli artt.117, 97 e 18 della Costituzione. Il primo degli articoli citati, infatti, risulterebbe direttamente leso dalla norma impugnata, poichè il principio di "specialità" della bonifica, appena riferito, costituirebbe un principio fondamentale della materia, desumibile dalle leggi statali, che, ai sensi dell'art. 117 della Costituzione, rappresenta un limite posto all'esercizio della competenza legislativa delle regioni a statuto ordinario. La violazione degli altri articoli della Costituzione precedentemente riferiti sarebbe, poi, conseguenziale alla mancata osservanza del medesimo principio, per il fatto che tale inosservanza, comportando la rottura del legame necessario fra l'appartenenza a un determinato comprensorio e l'attuazione delle specifiche finalità di bonifica relative a quell'area, permetterebbe all'amministrazione regionale di porre in essere interventi affatto svincolati dai fini specifici della bonifica (in violazione dei principi di imparzialità e del buon andamento, stabiliti dall'art. 97 della Costituzione) e di obbligare i proprietari privati ad associarsi in consorzi pur in assenza di qualsiasi beneficio derivante ai loro fondi dalle attività di bonifica (in violazione della libertà dei cittadini di associarsi, garantita dall'art. 18 della Costituzione).

2. Posta nei termini così precisati, la questione non può essere accolta.

Le competenze in materia di bonifica esercitate con la legge impugnata sono state assegnate alle regioni a statuto ordinario con il d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 11 (art. 1, lettera h), nell'ambito del trasferimento delle funzioni nel campo della agricoltura e foreste. Il d.P.R. 24 luglio 1977, n.616, ha completato il predetto trasferimento, precisando, agli artt. 66, 69 e 73, che oggetto delle funzioni assegnate alle regioni sono le attività di bonifica "integrale" e montana e di sistemazione idrogeologica, ivi comprese quelle svolgentesi a livello interregionale e inclusi i poteri di vigilanza già esercitati sui consorzi di bonifica dagli organi dello Stato. Più in particolare, mentre l'art. 66 ha trasferito alle regioni "le funzioni concernenti la sistemazione idrogeologica e la conservazione del suolo, le opere di manutenzione forestale per la difesa delle coste nonchè le funzioni relative alla determinazione del vincolo idrogeologico", l'art. 73, dopo aver precisato che spettano alle regioni le funzioni per l'innanzi esercitate dallo Stato concernenti i consorzi di bonifica e di bonifica montana anche interregionali, ha assegnato alle stesse "la classificazione, declassificazione e ripartizione di territori in consorzi di bonifica o di bonifica montana e la determinazione di bacini montani che ricadono nel territorio di due o più regioni e l'approvazione dei piani generali di bonifica e dei programmi di sistemazione dei bacini montani che ricadono nel territorio di due o più regioni".

Le attività di bonifica trasferite alle competenze regionali si inquadrano in una intelaiatura di funzioni estremamente complessa e articolata, nella quale sono compresi poteri attinenti allo sviluppo economico della produzione agricola, all'assetto paesaggistico e urbanistico del territorio, alla difesa del suolo e dell'ambiente, alla conservazione, regolazione e utilizzazione del patrimonio idrico.

In altri termini, poichè le funzioni concernenti la bonifica sono dirette al consolidamento e alla trasformazione di un territorio sul quale si esplicano varie altre attività rivolte a fini identici od omologhi, esse costituiscono un settore della generale programmazione del territorio e, più precisamente, di quella riguardante la difesa e la valorizzazione del suolo con particolare interesse verso l'uso di risorse idriche: un settore, il quale presenta molteplici aspetti di connessione con altre materie assegnate alle competenze regionali.

Oltrechè dall'esame complessivo delle competenze trasferite alle regioni, il carattere settoriale delle funzioni attinenti alla bonifica si deduce anche dalla pur frammentata legislazione statale e dalla Costituzione medesima.

Sotto il primo profilo, l'ampiezza e la generalità dei fini che tanto il r.d. 13 febbraio 1933, n. 215 (art. 1, secondo comma), quanto l'art. 857 cod. civ. prepongono alle attività di bonifica rivelano chiaramente come queste ultime siano configurate dalle leggi statali come una delle varie forme di intervento sul territorio al servizio di finalità che, pur sfrondate dagli scopi ritenuti ormai superati o anacronistici (come quelli demografici o di colonizzazione), costituiscono gli obiettivi generali (fini economici e sociali) della complessiva opera di programmazione incidente sul territorio e sugli insediamenti umani ivi stabilit recente legge 18 maggio 1989, n. 183 (Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo) conferma i caratteri sopra delineati, laddove configura i consorzi di bonifica come una delle istituzioni principali per la realizzazione degli scopi di difesa del suolo, di risanamento delle acque, di fruizione e di gestione del patrimonio idrico per gli usi di razionale sviluppo economico e sociale, di tutela degli aspetti ambientali ad essi connessi.

La settorialità delle attività di bonifica ha finanche un rilievo costituzionale, essendo chiaramente presupposta anche dall'art. 44 della Costituzione, che, seppur nel quadro della disciplina pubblicistica della proprietà terriera, prefigura la bonifica delle terre come uno degli strumenti essenziali al fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali nella agricoltura.

3.- Sul piano dei principi fondamentali della materia, cui, a norma dell'art. 117 della Costituzione deve attenersi l'esercizio della potestà legislativa delle regioni, il carattere intrinsecamente settoriale delle funzioni di bonifica si articola in duplice senso: a) come specialità degli interventi, da realizzare sulla base di un piano e di un progetto di opere concretamente individuate, dirette alla bonifica e al miglioramento fondiario; b) come operatività della bonifica stessa in relazione a un determinato territorio, dalle caratteristiche idrogeologiche omogenee, il quale deve riferirsi a un'area suscettibile di trasformazione a fini di valorizzazione o, più semplicemente,di conservazione.

Questi principi - i quali sono desumibili dall'art. 1, secondo comma, del r.d. n. 215 del 1933 e dall'art. 857 cod. civ. - comportano indubbiamente una regola generale, alla cui osservanza non può sottrarsi l'esercizio delle competenze regionali in materia di bonifica, secondo la quale deve sussistere una correlazione tra la previsione del complesso delle opere pubbliche di bonifica e quelle di trasformazione fondiaria, da un lato, e la determinazione del territorio cui quelle opere si riferiscono (c.d. comprensorio di bonifica), dall'altro. Tale correlazione, tuttavia, deve esser commisurata alla complessa orditura delle istituzioni amministrative volte all'organizzazione e allo svolgimento della bonifica, nel senso che, come risulta chiaramente dalla legislazione statale sulla materia, essa, lungi dal dover caratterizzare ogni momento del procedimento, dall'inizio alla fine, deve concernere, piuttosto, gli interventi previsti nel piano o nel progetto di trasformazione in rapporto alla specifica area in cui i predetti interventi devono essere attuati.

In particolare, il r.d. n. 215 del 1933 - i cui principi sono stati ripresi anche dalla legge sulla bonifica montana (legge 25 luglio 1952, n.991) e sono riecheggiati dalla scansione delle funzioni operata dalle norme legislative sul trasferimento delle relative competenze alle regioni - prevede, in relazione alla bonifica integrale, un procedimento che si articola nelle seguenti fasi: a) classificazione dei territori da sottoporre a bonifica in comprensori di prima o di seconda categoria, sulla base dei criteri, fondati sull'importanza, determinati nello stesso atto legislativo (art. 2); b) redazione del piano generale di bonifica o, comunque, del programma di interventi, volti a individuare le opere da compiere e a ripartire il territorio in aree, aventi caratteristiche idrogeologiche omogenee, da assoggettare ai vincoli comportati dal piano o dal progetto di interventi (art. 4); c) perimetrazione del comprensorio in relazione alle aree da vincolare, la quale può essere contestuale o meno rispetto al piano o al progetto di interventi previsto (art. 5); d) istituzione degli enti consortili, nel numero di uno o più (quando sono distinguibili vari nuclei di interessi omogenei) per ciascun comprensorio, composti dai proprietari degli immobili che traggono beneficio dalla bonifica e aventi il compito di provvedere alla esecuzione o alla manutenzione e all'esercizio delle opere di bonifica (artt. 54-58).

Con specifico riferimento all'attività di classificazione di zone del territorio come aree di bonifica, occorre sottolineare che - pur prescindendo dalla indubbia perdita del senso originario, legato alla distinzione dei comprensori fra quelli di prima e quelli di seconda categoria e alla conseguente ripartizione delle relative attività di qualificazione fra la legge e il decreto regio (presidenziale) - il significato della funzione ora considerata ha subìto un mutamento con il trasferimento della stessa alle competenze regionali. Non avendo più come suo scopo essenziale l'accertamento della "minore importanza" di determinate zone ai fini della bonifica, la classificazione demandata alle regioni ha, piuttosto, il fine di determinare i terreni che, in considerazione del loro stato, sono potenzialmente assoggettabili alle attività di bonifica. In altri termini, essa costituisce essenzialmente il presupposto procedimentale che legittima le successive attività di delimitazione dei comprensori e di individuazione delle opere di bonifica, senza comportare una necessaria identità fra le aree coperte dalla classificazione stessa e quelle effettivamente sottoposte alla bonifica e, come tali, inserite nel territorio (comprensorio) del consorzio di bonifica.

Quest'ultima connotazione, la quale è stata indubbiamente accentuata dal trasferimento della relativa funzione alle regioni, è peraltro inerente al concetto stesso di classificazione sin dalle sue origini, tanto che è stato sempre pacificamente ammesso che il territorio della bonifica può esser limitato soltanto a una parte dell'area classificata e che il provvedimento di classificazione del comprensorio può non contenere l'esatta indicazione dei limiti territoriali del comprensorio stesso.

Tutto ciò mostra che, contrariamente a quanto suppongono il giudice a quo e le parti private intervenute nel presente giudizio, la classificazione del territorio come area di bonifica non coincide, di regola, con la precisa perimetrazione dei comprensori. Come tale, essa sfugge a quella rigorosa correlazione che deve sussistere fra programma delle specifiche opere da realizzare, determinazione del territorio sul quale eseguire quelle opere e istituzione del consorzio di bonifica fra i proprietari interessati alle opere medesime. Detto in altri termini, i principi desumibili dalla legislazione statale non impongono che la classificazione del territorio come area di bonifica contenga anche la precisa perimetrazione del comprensorio, ma lasciano libero il legislatore regionale di configurare quella funzione come attività diretta all'individuazione di massima delle zone sottoponibili alla bonifica ovvero di configurarla come attività coincidente con la definizione dei confini del comprensorio in correlazione al programma delle opere da attuare.

4.- Premesso che, pur configurando la disposizione impu un'ipotesi di legge- provvedimento, il giudizio di legittimità costituzionale non può esorbitare, anche in tal caso, dai limiti di un esame sulla palese irragionevolezza della scelta compiuta dal legislatore e non può spingersi fino a considerare la consistenza degli elementi di fatto posti a base della scelta medesima, l'estensione della classificazione come area di bonifica all'intero territorio della Regione Emilia-Romagna, operata dall'art. 3, primo comma, della legge regionale n.16 del 1987, non è contraria ai principi fondamentali stabiliti in materia di bonifica dalla legislazione statale.

Non v'è dubbio che, rispetto a tale conclusione, assume particolare rilievo il fatto che la legislazione della Emilia-Romagna ha fatto proprio un concetto di bonifica particolarmente comprensivo, il cui oggetto copre, oltre che le attività proprie della bonifica integrale, anche quelle riferibili alla bonifica montana e a quella idraulica (i cui consorzi sono stati soppressi, rispettivamente, dall'art. 11 della legge regionale n. 42 del 1984 e dall'art. 4 della legge impugnata). Nè può negarsi rilevanza al fatto che il territorio dell'Emilia-Romagna è tradizionalmente considerato, in larghissima parte, come zona suscettibile di bonifica (tanto che, prima dell'avvento della legge impugnata, una notevole porzione del territorio regionale era classificato come area di bonifica). Ma ciò che è decisivo, sotto il profilo del giudizio di legittimità costituzionale, è il rilievo che il sistema prescelto dal legislatore regionale comporta che la classificazione del territorio come area di bonifica preceda la precisa definizione dei perimetri dei comprensori e contenga semplicemente l'individuazione e la delimitazione di massima dei comprensori stessi.

L'impugnato art. 3, infatti, dopo aver classificato esso stesso, al primo comma, l'intero territorio regionale come area di bonifica, dispone, al comma successivo, che il "Presidente della Giunta regionale provvede con decreto alla definizione dei perimetri dei comprensori di bonifica sulla base della delimitazione di massima effettuata dal Consiglio regionale su proposta della Giunta". Come risulta anche dalla ripartizione delle competenze fra il Consiglio e la Giunta, è evidente che la classificazione è contestuale o, comunque, correlata a una delimitazione dei comprensori valevole soltanto come individuazione di massima, la quale costituisce semplicemente la base su cui verrà successivamente operata, con decreto del Presidente della Giunta, la precisa perimetrazione delle zone di territorio da assoggettare ai vincoli della bonifica.

La classificazione e la correlativa delimitazione di massima sono, pertanto, provvedimenti dai quali non possono derivare vincoli a carico degli enti pubblici o dei proprietari privati interessati alla bonifica, poichè sono espressioni di funzioni prodromiche rispetto alla perimetrazione dei comprensori, alla definizione dei programmi di bonifica (art. 6 della legge regionale 2 agosto 1984, n. 42) e alla istituzione dei consorzi composti dai proprietari degli immobili interessati alla bonifica stessa (art. 12 della legge regionale n. 42 del 1984). Che sia così si deduce dallo stesso art. 3 della legge impugnata, il quale, al quarto comma, stabilisce che il Consiglio regionale, su proposta della Giunta, istituisce un consorzio di bonifica "su ciascuno dei comprensori delimitati ai sensi del secondo comma del presente articolo", vale a dire definiti nei propri perimetri con decreto del Presidente della Giunta sulla base della delimitazione di massima operata dal Consiglio regionale. Ed è solo in riferimento a tale precisa perimetrazione dei comprensori, correlata e dimensionata agli interventi di bonifica progettati per una determinata area, che assumono valore di vincolo quel collegamento e quella proporzionalità, sottolineati dal giudice a quo, che devono esistere tra la definizione dei confini dei comprensori, la istituzione dei consorzi dei proprietari ricadenti nei confini medesimi e la distribuzione dei contributi alle spese della bonifica fra i titolari degli immobili in ragione dei benefici conseguiti per effetto della bonifica stessa (principio, quest'ultimo, recepito dalla legislazione della Emilia-Romagna per mezzo dell'art. 13 della legge regionale n. 42 del 1984).

In definitiva, in considerazione della configurazione conferita dal legislatore regionale alla funzione di classificazione dei comprensori, la qualificazione dell'intero territorio della Regione Emilia-Romagna come area di bonifica (di seconda categoria) non appare arbitraria in riferimento al principio fondamentale stabilito dalla legislazione statale in materia di bonifica, secondo il quale deve sussistere una ragionevole correlazione di proporzionalità fra la previsione del complesso delle opere di trasformazione o di riordinamento della bonifica e la perimetrazione del comprensorio cui le predette opere si riferiscono (territorio del consorzio di bonifica). E ciò si afferma - in analogia con quanto asserito da questa Corte in altra materia (v. sent. n. 327 del 1990) - sul chiaro presupposto che la classificazione dell'intero territorio regionale come area di bonifica, operata dall'impugnato art. 3, non comporta di per sè una generalizzata sottoposizione del predetto territorio ai vincoli di bonifica e, inoltre, non pregiudica affatto il principio che tali vincoli siano imposti soltanto in dipendenza di un bisogno effettivo di riassetto del territorio considerato e che i contributi siano richiesti ai privati soltanto in ragione dei benefici da essi conseguiti per effetto delle opere di bonifica.

5.- Sulla base delle considerazioni ora svolte, devono considerarsi assorbiti gli ulteriori profili di legittimità costituzionale sollevati dal giudice a quo, dal momento che sono logicamente consequenziali alla pretesa violazione del principio fondamentale attinente alla correlazione fra imposizione dei vincoli di bonifica e appartenenza dei proprietari a zone del comprensorio non necessariamente beneficianti degli effetti della bonifica stessa. Ma, una volta che sia stata escluso che la classificazione operata dall'impugnato art. 3 comporti la violazione di quel principio, devono considerarsi consequenzialmente non lesi anche i parametri rappresentati dagli artt. 97 e 18 della Costituzione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.3, primo comma, della legge della Regione Emilia-Romagna 23 aprile 1987, n.16 (Disposizioni integrative della legge regionale 2 agosto 1984, n. 42 "Nuove materia di enti di bonifica. Delega di funzioni amministrative"), sollevata, con l'ordinanza indicata in epigrafe, dal Consiglio di Stato in riferimento agli artt. 117, 97 e 18 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 05/02/92.

Aldo CORASANITI, Presidente

Antonio BALDASSARRE, Redattore

Depositata in cancelleria il 24 febbraio del 1992.