Sentenza n. 65 del 1992

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SENTENZA N. 65

ANNO 1992

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Dott. Aldo CORASANITI, Presidente

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 52, 53 e 54 del regio-decreto 13 agosto 1933, n.1038 (Approvazione del regolamento di procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei conti), pro mosso con ordinanza emessa il 24 gennaio 1991 dalla Corte dei conti - Sezione seconda giurisdizionale per le materie di contabilità pubblica, nel ricorso proposto da S.p.A. Banco di Chiavari e della Riviera Ligure iscritta al n.509 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.33, prima serie speciale, dell'anno 1991.

Visto l'atto di costituzione della S.p.A. Banco di Chiavari e della Riviera Ligure;

udito nell'udienza pubblica del 21 gennaio 1992 il Giudice relatore Giuseppe Borzellino;

udito l'avvocato Augusto Ermetes per la S.p.A. Banco di Chiavari e della Riviera Ligure.

Ritenuto in fatto

1.- Con ordinanza emessa il 24 gennaio 1991 (pervenuta alla Corte costituzionale il 18 luglio successivo) dalla Corte dei conti - Sez. II giurisdizionale per le materie di contabilità pubblica, sul ricorso proposto da S.p.a. Banco di Chiavari e della Riviera Ligure è stata sollevata questione incidentale di legittimità costituzionale degli artt.52, 53 e 54 del regio-decreto 13 agosto 1933, n.1038 (Approvazione del regolamento di procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei conti), in riferimento all'art.24 della Costituzione. In particolare, quanto all'art.52 nella parte in cui non prevede che il ricorso sia notificato al ministero delle finanze; quanto all'art.53, nella parte in cui non prevede che il decreto di fissazione d'udienza, con il termine utile per le parti per il deposito degli atti, sia parimenti notificato alla medesima autorità; e infine, quanto all'art.54, nella parte in cui non prevede che anche l'autorità amministrativa che abbia adottato il provvedimento censurato sia avvertita del deposito a cura della segreteria per prendere visione degli atti depositati e ritirarne copia.

In concreto, il giudizio a quo verte sul riconoscimento in favore del Banco di Chiavari e della Riviera Ligure S.p.a., già titolare della esattoria consorziale delle imposte dirette di Alassio, del proprio diritto a conseguire il rimborso della quota inesigibile riguardante la pena pecuniaria per IRPEF, iscritta nel ruolo speciale in riscossione con la rata di aprile 1987, per l'importo di L.305.244.000, a nome di Galeani Roberto.

Il Collegio remittente ravvisa che la mancata notificazione del ricorso all'amministrazione delle finanze interessata, non posta quindi in condizione - si assume - di prospettare il proprio punto di vista, violerebbe il diritto di difesa sancito dall'art.24 della Costituzione.

Si tratterebbe, infatti, di giudizio in cui è possibile individuare due interessi contrapposti: quello dell'attore, che deduce una pretesa patrimonialmente rilevante, e quello dell'amministrazione, che tale pretesa non ha soddisfatto per averne negato in radice il fondamento e per averne impedito la realizzazione.

Le disposizioni processuali richiamate darebbero contezza della posizione riconosciuta al Procuratore generale, il quale, lungi dall'obbligo di coinvolgere necessariamente nella sua istruttoria l'amministrazione agente, rimarrebbe libero di improntare le sue valutazioni, poi esternate nelle conclusioni scritte, a canoni svincolati da precostituiti schemi procedimentali.

2. Si è costituito in giudizio il Banco di Chiavari e della Riviera Ligure S.p.a. concludendo per l'infondatezza della questione.

Si rileva come il giudizio per rimborso delle quote d'imposta inesigibili va classificato tra i giudizi in materia contabile nei quali la legittimazione attiva è riservata al Procuratore generale.

Coerente con il sistema sarebbe quindi la circostanza che la legge riservi esclusivamente al detto organo non solo tale legittimazione, ma anche quella passiva quando, come nella fattispecie, il giudizio sia promosso ad istanza di parte.

Non vi sarebbe violazione, dunque, dell'art.24 Cost. in quanto il Procuratore generale starebbe in giudizio nell'interesse generale dell'erario, inteso nella sua realtà obiettiva.

In prossimità dell'udienza il Banco interessato ha presentato memoria, insistendo per l'infondatezza della questione.

Considerato in diritto

1. - Gli articoli 52, 53 e 54 del regolamento 13 agosto 1933, n.1038 per la procedura nei giudizi innanzi alla Corte dei conti (per la cui natura cfr. sent. n.421 del 1988) regolano il ricorso per rifiutato rimborso di quote di imposta inesigibili, disponendone il deposito nella segreteria della competente sezione della Corte (art.52); la fissazione della relativa udienza di discussione e comunicazione degli atti al Procuratore generale (art. 53); l'istruttoria e relative conclusioni da parte del predetto organo con conseguente deposito degli atti in segreteria ed avviso al ricorrente (art. 54).

Nessuna forma di conoscenza, ai fini del contraddittorio, è prevista nei confronti immediati della Autorità amministrativa: l'ordinanza di remissione ravvisa in ciò violazione dell'art.24 della Costituzione, assumendo un "interesse diretto dell'Amministrazione finanziaria a stare in giudizio ed a contrapporsi ad una richiesta che in sede diversa è stata già ritenuta priva di fondamento".

2.- La questione prospettata è inammissibile.

É incontroverso che la procedura di rimborso si svolge tra amministrazione finanziaria ed esattore interessato e che, in particolare, contro il provvedimento di rigetto della relativa domanda emesso dall'Intendente di finanza è ammesso ricorso al Ministro per le finanze, contro la cui definitiva decisione può essere adita, appunto, la Corte dei conti (cfr. d.P.R. 15 maggio 1963, n.858 sui servizi della riscossione).

Siffatte procedure, occorre precisare, si esplicano nell'ambito del rapporto che l'esattore intrattiene con l'amministrazione e che è di natura patrimoniale. Più concretamente, secondo la normativa, l'esattore medesimo è tenuto ad anticipazioni di fondi soggetti ad eventuale perdita e a recupero, ricorrendone gli estremi, con la procedura di cui trattasi.

Sicchè, in definitiva, il rimborso viene a investire le risultanze complessive del rapporto contabile. Se ne trae che la cognizione sul diniego di rimborso - come la giurisprudenza ha costantemente chiarito - al di là dell'esame della mera legittimità del provvedimento viene a proiettarsi su tutto il riferito rapporto. Cosicchè, la verifica resta attratta nell'ambito di quelle, tutte, miranti all'accertamento della regolarità delle acquisizioni, con effetti collaterali, adunque, insistenti nell'area dei giudizi contabili, sulla cui riaffermata esigenza questa Corte ha già avuto modo, in passato, di soffermarsi.

Delineati in tale contesto i connotati della vertenza di cui trattasi, la procedura ai fini di formazione del relativo contraddittorio si riconnette intrinsecamente alle funzioni e all'attività del Procuratore generale, espressamente richiamate negli articoli di regolamento in discussione.

Questi è posto, come si ricava dal complesso dei giudizi contabili stessi, a difesa dell'ordinamento e in esso, per la essenziale specialità della materia, si ricompongono anche gli interessi dell'Erario globalmente inteso.

Le attribuzioni relative, in più concreti termini, sono rivolte, onnicompresivamente, alla tutela imparziale della buona gestione.

Ne consegue che gli atti a quest'ultima relativi nell'ambito delle competenze di legge di cui si discute si incentrano nel peculiare soggetto di cui trattasi e ad esso, per le finalità giudiziarie, va fatto valido riferimento da quanti coinvolti.

Se tale è la configurazione dei contesti processuali specifici nell'ambito della giurisdizione contabile, così come tradizionalmente intesi, va ancora ricordato che ai principi essenziali di questa si è richiamato anche di recente il legislatore nei vari settori della finanza pubblica istituzionale (contabilità regionale: legge 19 maggio 1976, n.335; unità sanitarie locali: d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761; enti locali: legge 8 giugno 1990, n.142). É da soggiungere, tuttavia, che non è a priori da escludersi che i procedimenti sulla materia contabile potrebbero ricevere, nel loro complesso, altra pur adeguata regolamentazione. A tanto può provvedere, peraltro, soltanto il legislatore: a questi e a questi soltanto spetta stabilire, infatti, nella discrezionalità delle scelte se le configurazioni procedimentali attuali vadano rimosse e sostituite e con quali conseguenze sull'intero sistema.

La questione odierna va dichiarata, perciò, inammissibile.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 52, 53 e 54 del regio- decreto 13 agosto 1933, n.1038 (Approvazione del regolamento di procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei conti), in riferimento all'articolo 24 della Costituzione, sollevata dalla Corte dei conti - Sezione seconda giurisdizionale per le materie di contabilità pubblica, con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 05/02/92.

Aldo CORASANITI, Presidente

Giuseppe BORZELLINO, Redattore

Depositata in cancelleria il 24 febbraio del 1992.