Sentenza n. 44 del 1992

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SENTENZA N. 44

ANNO 1992

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Dott. Aldo CORASANITI, Presidente

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma secondo, della legge 25 novembre 1983, n. 649 (recante disposizioni relative ad alcune ritenute alla fonte sugli interessi ed altri proventi di capitale) promosso con ordinanza emessa il 21 marzo 1990 dalla Commissione tributaria sul ricorso proposto da S.p.a. Contraves Italiana contro Intendenza di Finanza di Roma iscritta al n. 508 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 33, prima serie speciale, dell'anno 1991;

Visto l'atto di costituzione della S.p.a. Contraves Italiana nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 17 dicembre 1991 il Giudice relatore Renato Granata;

Ritenuto in fatto

 

uditi l'avvocato Claudio Chiola per S.p.a. Contraves Italiana e l'Avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri La Commissione tributaria centrale - nel corso della controversia tributaria avente ad oggetto l'impugnazione proposta dalla società CONTRAVES S.p.A. contro il silenzio dell'Intendenza di finanza in ordine all'istanza di rimborso della somma versata dalla società a titolo di imposta di maggiorazione di conguaglio sugli utili distribuiti ai soci nell'anno 1985 - ha sollevato, con ordinanza del 21 marzo 1990 , questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 2, secondo comma, della legge 25 novembre 1983 n.649 nella parte in cui, al fine della determinazione dell'imposta suddetta, non esclude dal calcolo della base imponibile anche la parte di utili attribuita ai soci non residenti in Italia per sospetta violazione degli artt. 3 e 53 Cost.

Affermata la legittimazione attiva della società a contestare l'obbligo tributario trattandosi di vera e propria imposta su di essa gravante (e non già di ritenuta d'acconto dell'imposta dovuta dai soci sui dividendi distribuiti) talchè essa, agendo in giudizio per il rimborso della maggiorazione di conguaglio a suo dire pagata in eccedenza, fa valere in nome proprio (non un diritto altrui, quale in ipotesi quello dei soci, ma) un diritto proprio, la Commissione rimettente premette che la cit. legge n.649 del 1983, nell'elevare l'aliquota dell'imposta sul reddito delle persona giuridiche fino al 36%, ha fissato il credito d'imposta , di cui all'art. 1 della legge 16 dicembre 1977 n.904, nella misura uniforme di 9/16 degli utili che concorrono alla formazione del reddito imponibile dei soci; al fine però di eliminare l'anomalia (sussistente nel precedente regime) per cui tale credito d'imposta era riconosciuto in ogni caso ai soci percettori, e quindi anche nel caso in cui i dividendi traevano origine da redditi esenti (o comunque non integralmente assoggetati all'IRPEG) della società, la cit. legge n.649 ha introdotto la < < maggiorazione di conguaglio>> a carico della società erogante che - determinata sulla base dell'ammontare degli utili distribuiti ai soci - assicura la copertura (o compensazione) del credito di imposta spettante ai soci medesimi e relativo alla porzione di reddito della società che abbia beneficiato dell'esenzione (o della parziale esenzione). Con questo meccanismo il legislatore ha potuto conservare in misura uniforme di 9/16 degli utili distribuiti il credito d'imposta senza dover introdurre correttivi in ragione dell'imposta ordinaria assolta dalla società erogante.

Però il legislatore - rileva la Commissione - nell'introdurre tale meccanismo compensativo ha previsto come correttivo che la base imponibile per il calcolo della maggiorazione di conguaglio sia depurata degli utili attribuiti ai titolari delle azioni di risparmio al portatore (alle quali sono equiparati i titoli rappresentanti quote di capitale delle aziende e degli istituti di credito pubblici di cui all'art. 48 della legge n.526 del 1982), i quali sono attributari di un credito d'imposta in concreto non utilizzabile perchè l'imposta è in via definitiva soddisfatta con la ritenuta alla fonte e quindi in misura percentuale fissa dell'ammontare dei dividendi stessi. Analogo correttivo non è invece previsto per l'ipotesi in cui i soci percettori dei dividendi siano non residenti, ancorchè anch'essi assolvano definitivamente il loro obbligo tributario verso il Fisco italiano con la ritenuta d'imposta nella misura di legge.

La Commissione rimettente lamenta pertanto l'ingiustificata mancata previsione anche di un ulteriore correttivo che tenga altresì conto della particolare posizione dei soci non residenti, i quali, ai fini dell'imposta de qua, sono in una situazione assimilabile a quella di titolari di azioni di risparmio al portatore.

Risulterebbero quindi violati gli artt. 3 e 53 Cost. per: a) ingiustificata ed irrazionale discriminazione tra il trattamento riservato ai dividendi assegnati alle azioni di risparmio al portatore (e titoli equiparati) e dividendi attribuiti ai soci non residenti giacchè, se la ragione del mancato computo dei primi nella base di calcolo della maggiorazione di conguaglio IRPEG risiede nella non configurabilità di un credito di imposta (eccedente quello effettivamente corrispondente all'imposta pagata dalla società), la stessa ragione sussiste anche nel caso dei dividendi assegnati ai soci non residenti che del pari non possono far valere alcun credito d'imposta; b) duplicazione d'imposta giacchè in ipotesi di dividendi assegnati a soci non residenti la maggiorazione di conguaglio si trasforma in imposizione non giustificata da un corrispondente credito di imposta effettivamente fruibile dai percettori dei dividendi stessi; c) irrazionale ed ingiustificata discriminazione tra società con soci non residenti e società con soci residenti.

La Commissione rimettente conclude quindi chiedendo una pronuncia additiva, che introduca nella norma censurata la diminuzione del reddito imponibile anche della parte di dividendi assegnata alle azioni di soci non residenti.

2. É intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri a mezzo dell'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo in via principale che la questione sia dichiarata inammissibile sia perchè il recupero del credito d'imposta è vicenda alla quale rimane assolutamente estranea la società, sia perchè implicherebbe valutazioni discrezionali rimesse al legislatore ordinario; infatti quand'anche l'esigenza prospettata dalla Commissione rimettente fosse meritevole di tutela, potrebbero ipotizzarsi strumenti normativi (alternativi od anche cumulativi) idonei a soddisfarla, non escluso un intervento del legislatore estero (relativo alla tassazione dei redditi dei soci non residenti).

Nel merito l'Avvocatura sostiene l'infondatezza della questione atteso che la disposizione che prevede la diminuzione dei dividendi assegnati ad azioni di risparmio al portatore dall'imponibile della maggiorazione di conguaglio IRPEG non è idonea ad operare come tertium comparationis trattandosi di norma derogatoria e di portata particolare (giacchè solo le società le cui azioni ordinarie sono quotate in borsa possono emettere azioni di risparmio); d'altro canto si è in presenza di situazioni oggettivamente diverse, quella degli azionisti di risparmio titolari di azioni al portatore e quella dei soci non residenti titolari di azioni ordinarie, essendovi nel primo caso un dato oggettivo che rende riconoscibile la situazione alla quale si applica la norma indicata come tertium comparationis, mentre nell'altra ipotesi vi è un dato meramente soggettivo, mutevole de die in diem, manipolabile secondo convenienza, in concreto non controllabile dagli uffici finanziari.

3. Si è costituita la società CONTRAVES S.p.A., aderendo alla prospettazione dell'ordinanza di rimessione e quindi chiedendo la declaratoria di incostituzionalità della norma censurata.

In via subordinata la società chiede una sentenza interpretativa che affermi essere meramente esemplificativo il riferimento, contenuto nel censurato art. 2, 2 co., alle azioni di risparmio al portatore in modo da consentire l'estensione dell'esclusione dall'imposizione anche a fattispecie analoghe, quale quella dei dividendi assegnati a soci esteri.

Considerato in diritto

 

1. É stata sollevata questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 2, 2 comma, legge 25 novembre 1983 n.649 di conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 30 settembre 1983 n.512 (recante disposizioni relative ad alcune ritenute alla fonte sugli interessi ed altri proventi di capitale), corrispondente all'art.105, primo comma, d.P.R. 22 dicembre 1986 n.917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), nella parte in cui, ai fini della determinazione dell'imposta di conguaglio IRPEG (imposta sul reddito delle persone giuridiche), non esclude dal calcolo del reddito imponibile anche la parte di utili attribuiti ai soci non residenti per sospetta violazione degli artt. 3 e 53 Cost. atteso che tale esclusione è invece prevista per l'ipotesi di utili attribuiti a soci titolari di azioni di risparmio al portatore.

2. Giova premettere che l'imposta di conguaglio IRPEG - il computo della cui base imponibile è oggetto della censura di incostituzionalità mossa dalla Commissione rimettente - rappresenta il più recente approdo di uno sviluppo normativo risalente alla riforma tributaria del 1973, che nell'originario regime introdotto dal d.P.R. 29 settembre 1973 n.598, istitutivo dell'IRPEG, aveva previsto che il reddito della società per azioni fosse tassato sia presso la società, quale utile di esercizio, sia presso gli azionisti, in occasione della distribuzione dei dividendi, due essendo le capacità contributive prese in considerazione: quella della società (persona giuridica autonoma e distinta) e quella del socio.

L'art. 27 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 prevedeva poi in generale una ritenuta a titolo di acconto sui dividendi distribuiti, che viceversa per i soci non residenti era (eccezionalmente) operata a titolo d'imposta.

Una settoriale inversione di tendenza si è avuta con il d.l.8 aprile 1974 n. 95, convertito in legge 7 giugno 1974 n. 216 (istitutivo della CONSOB ed attuativo di una limitata riforma delle società per azioni), che - nell'introdurre le azioni di risparmio con parziale deroga al principio della nominatività - ha contemplato un regime fiscale ad hoc prevedendo all'art. 20 per le azioni di risparmio al portatore una ritenuta a titolo di imposta e per le azioni di risparmio nominative un'opzione tra la ritenuta a titolo d'imposta (come per quelle al portatore) e la ritenuta a titolo di acconto (come per le azioni ordinarie ex art. 27 d.P.R. n. 600/73 cit.).

Successivamente ed in relazione, più in generale, al trattamento fiscale dei dividendi assegnati ad azioni ordinarie, il legislatore - dopo un'iniziale opzione per il regime della cedolare secca (art. 20, I comma, d.l. n. 95 cit., poi abrogato dall'art. 5 legge 16 dicembre 1977 n. 904) - ha introdotto il meccanismo del credito d'imposta integrale (art. 1 della cit. legge 16 dicembre 1977 n. 904): ai soci percettori di dividendi è attribuito un credito d'imposta pari originariamente alla percentuale di 1/3, successivamente incrementata a 9/16, dell'ammontare degli utili che concorrono a formare il reddito imponibile ai fini dell'IRPEG o dell'IRPEF dei soci medesimi.

Il meccanismo era, ed è, tale per cui nella base imponibile del socio viene ricostituito il valore (al lordo dell'incidenza dell'IRPEG pagata dalla società) dei dividendi distribuiti e poi, una volta calcolata l'imposta dovuta, da essa si detrae il credito d'imposta.

L'automaticità di tale meccanismo comporta però che, ove i redditi della società siano esenti da IRPEG ovvero siano stati assoggettati ad una aliquota ridotta, il credito d'imposta sui dividendi distribuiti risulta conseguentemente determinato in misura superiore all'imposta IRPEG pagata dalla società.

3. Al dichiarato fine di rimuovere tale (ritenuto) inconveniente ed inserendosi in questo contesto normativo, la citata legge n. 649 del 1983 ha introdotto l'imposta di conguaglio IRPEG che opera (soltanto) ove si verifichi - come presupposto di fatto dell'imposizione addizionale - un'eccedenza dei dividendi distribuiti sull'utile di esercizio (diminuiti della parte assegnata alle azioni di risparmio al portatore) rispetto al 64% del reddito imponibile, al lordo delle perdite riportate da precedenti esercizi, dichiarato dalla società ai fini dell'imposta sul reddito delle persone giuridiche dovuta per l'esercizio medesimo.

Tale imposta (che grava sulla società, e non sul socio, talchè essa è legittimata a contestarne l'ammontare ed è conseguentemente rilevante la questione di legittimità costituzionale della norma che tale ammontare determina, sollevata - come nella specie - nel giudizio che abbia ad oggetto la pretesa della società al rimborso dell'imposta di conguaglio pagata) ha la funzione (compensativa) di rendere il credito d'imposta, riconosciuto ai soci in ragione della percezione dei dividendi, esattamente pari all'imposta complessiva versata dalla società a titolo di IRPEG e di conguaglio IRPEG.

Tale funzione compensativa - ritenuta nell'ordinanza del giudice rimettente e sulla quale concordano le difese sia dell'Avvocatura generale dello Stato , sia della società costituita - emerge: a) dalla lettura dei lavori preparatori della cit. legge n.649, nonchè della legge finanziaria per l'anno 1984, di cui la prima contiene - in parte qua - uno stralcio (in entrambe le sedi infatti si ebbe a precisare che < < il credito d'imposta dei soci e le imposte dovute dalla società sugli utili distribuiti devono corrispondere>>); b) dalla misura dell'aliquota (che è pari a nove sedicesimi dell'eccedenza dei dividendi distribuiti sull'utile di esercizio rispetto al 64% del reddito imponibile, ossia è pari - non già ad una percentuale autonomamente determinata secondo una discrezionale valutazione del legislatore della capacità contributiva della società - ma ad un coefficiente di calcolo che discende automaticamente null'altro che dalla stessa aliquota ordinaria IRPEG, così come l'identica percentuale di computo del credito di imposta); c) dal quinto comma della norma censurata (attualmente art. 106 d.P.R. n.917 del 1986 cit.) che - per il fatto di prevedere che, se il reddito della società è soggetto all'imposta in misura o con aliquota ridotta, la maggiorazione di conguaglio è aumentata di un importo pari alla differenza tra l'imposta ordinaria e l'imposta ridotta - contempla un correttivo di calcolo proprio al fine di realizzare in ogni caso (salvo alcune deroghe dalla stessa norma indicate) l'equivalenza tra credito d'imposta dei soci ed imposta complessivamente versata dalla società.

4. Coerente a tale funzione compensativa dell'imposta di conguaglio in esame è la diminuzione (prevista dalla norma censurata) della parte di dividendi assegnati alle azioni di risparmio al portatore dalla base imponibile dell'imposta medesima. Ed infatti già l'art. 20, primo comma (tale dopo l'abrogazione del comma che precedeva), del citato d.l. n. 95 del 1974, ha previsto uno speciale regime tributario, che si inserisce nel contesto di misure dirette a favorire l'afflusso del risparmio al mercato azionario: sugli utili attribuiti alle azioni di risparmio al portatore la ritenuta, prevista in generale sui dividendi azionari dall'art.27 d.P.R.29 settembre 1973 n.600, è applicata (anche nel caso di soci non residenti) a titolo d'imposta (e non già d'acconto), peraltro secondo la minore (e più favorevole) aliquota del 15% (successivamente elevata al 50% dall'art.1 D.L. 10 ottobre 1976 n.694 , convertito in legge 6 dicembre 1976 n.788, ma poi ripristinata nella misura originaria per effetto dell'abrogazione di tale norma). In tale contesto normativo, evidentemente, il meccanismo del credito d'imposta non può operare (come era ben presente al legislatore del 1984, leggendosi nella relazione alla citata legge finanziaria che la base imponibile dell'imposta di conguaglio de qua deve essere depurata dei dividendi assegnati "alle azioni di risparmio al portatore, e quindi senza credito d'imposta"). Nessuna esigenza, quindi, di compensazione può insorgere in alcun caso, non potendo il soggetto passivo dell'imposta personale effettuare alcun ricalcolo dell'imposta dovuta avendo egli definito il suo obbligo tributario, limitatamente al reddito rappresentato dalla percezione dei dividendi, con il pagamento (in via definitiva e non d'acconto) della ritenuta d'imposta.

Altresì coerente alla funzione compensativa dell'imposta di conguaglio IRPEG è il parallelo regime fiscale delle azioni di risparmio nominative: per i possessori di queste ultime il terzo comma dell'art. 20, cit., prevede la facoltà di optare per l'ordinario regime della ritenuta d'acconto ai sensi dell'art. 27 cit., facendone richiesta all'atto della riscossione degli utili; in mancanza della quale, trova invece applicazione lo stesso regime della ritenuta a titolo d'imposta, previsto per le azioni di risparmio al portatore. Optando per la ritenuta d'acconto, il possessore di azioni di risparmio nominative può operare il ricalcolo dell'imposta personale dovuta portando in detrazione il credito d'imposta.

Questa possibilità rende piena ragione del fatto che dalla base imponibile dell'imposta di conguaglio IRPEG non si detraggano i dividendi assegnati ai possessori di azioni di risparmio nominative (ma soltanto quelli assegnati ai possessori di azioni di risparmio al portatore).

5. Nel quadro normativo così delineato deve essere esaminata la compatibilità con i parametri costituzionali invocati nell'ordinanza di rimessione del regime fiscale risultante dagli art. 2, secondo comma, legge n. 649 del 1983 cit., e 27, terzo comma, d.P.R. n. 600 del 1973 cit., al quale sono sottoposti i possessori di azioni ordinarie che siano non residenti nel territorio nazionale.

In sostanza per costoro (ma non in ogni caso essendo previsto, come si dirà, un regime speciale per le società od enti di cui all'art.2, lettera d), d.P.R. n.598 del 1973) da una parte opera l'art. 27, terzo comma, cit. che prevede sui dividendi distribuiti ai soci non residenti una ritenuta d'imposta (e non già d'acconto) nella misura del trenta per cento (aliquota questa talora fissata in diversa misura da accordi internazionali, come nel caso della convenzione italo-svizzera del 9 marzo 1976, ratificata con legge 23 dicembre 1978 n. 943, che prevede un'aliquota del 10%). Sicchè il socio non residente possessore di azioni ordinarie, al pari del possessore di azioni di risparmio al portatore, definisce immediatamente e definitivamente i suoi obblighi tributari con il pagamento della ritenuta d'imposta e quindi non si giova, al pari del primo, del meccanismo del credito d'imposta.

D'altro canto l'art. 2, secondo comma, non defalca dalla base imponibile dell'imposta di conguaglio IRPEG i dividendi attribuiti ai soci non residenti (a differenza dei dividendi attribuiti ai possessori di azioni di risparmio al portatore), sicchè la società è tenuta a corrispondere, per la parte imputabile a questi ultimi, un'imposta compensativa in relazione ad un'eccedenza contabile di credito d'imposta (rispetto all'imposta personale sulle persone giuridiche effettivamente pagata dalla società medesima) che non si traduce per i soci (non residenti) percettori dei dividendi in un'effettiva detrazione dell'imposta personale sui medesimi gravante.

6. Orbene, ove anche la diversità di trattamento fosse apprezzabile in termini di costituzionalità e richiedesse un intervento correttivo, deve comunque prendersi atto che si profila una pluralità di soluzioni possibili, la quale - proprio perchè tale - implica ineludibilmente una scelta demandata unicamente alla discrezionalità del legislatore.

Ed infatti, operando la funzione compensativa dell'imposta di conguaglio IRPEG in riferimento a due termini, oggetto di comparazione, ossia IRPEG pagata dalla società e credito d'imposta riconosciuto al socio percettore del dividendo, è conseguenziale che due siano anche i piani di un possibileintervento di correzione del meccanismo: quello dell'imposta sulla società e quello dell'imposta personale sul socio. Pertanto la soluzione invocata nell'ordinanza di rimessione (che auspica per i dividendi attribuiti ai soci non residenti la detraibilità dalla base imponibile dell'imposta di conguaglio IRPEG) si affianca quanto meno ad una simmetrica soluzione, anch'essa ipotizzabile, che intervenga sul versante della tassazione personale del reddito distribuito ai soci con meccanismi correttivi, come la facoltà di opzione per il regime della ritenuta d'acconto prevista per le azioni di risparmio nominative ovvero anche l'adozione di questo solo regime come già previsto per le società (od enti) non residenti (ossia quelle di cui all'art. 2 , lettera d, d.P.R. n.598 del 1973) aventi stabile organizzazione nel territorio dello Stato.

E neppure può escludersi che il legislatore, sempre nell'esercizio della sua discrezionalità, privilegi gli inevitabili aspetti di diritto internazionale del problema, preferendo lo strumento del trattato internazionale per trovare di volta in volta la soluzione più opportuna.

In questo scenario aperto la soluzione invocata nell'ordinanza di rimessione si presenta come una delle tante possibili; ed anzi appare come quella che meno si connota per aderenza alla (ipotizzata) esigenza correttiva atteso che l'auspicata (dal giudice a quo) detrazione dalla base imponibile dell'imposta di conguaglio IRPEG dei dividendi assegnati ai soci non residenti avrebbe l'effetto di differenziare il trattamento fiscale delle società in ragione di una condizione di fatto (la non residenza) rapportata ai singoli soci, penalizzando (ingiustificatamente) le società che abbiano prevalentemente soci residenti rispetto a quelle che prevalentemente abbiano soci non residenti.

Nè è priva di rilievo la considerazione che le altre soluzioni che a quest'ultima si contrappongono - ed in particolare quella già positivamente accolta per una determinata categoria di soci non residenti (le società od enti aventi una stabile organizzazione nel territorio dello Stato) - appaiono maggiormente rispettose del canone costituzionale della progressività dell'imposizione (art. 53, 2 comma, Cost.), cui viceversa non si ispira l'(eccezionale) regime della ritenuta a titolo d'imposta (e non già d'acconto), regime il quale risulterebbe invece accentuato ove ne scaturisse l'ulteriore conseguenza della non computabilità dei dividendi assegnati a soci esteri nella base imponibile dell'imposta di conguaglio IRPEG.

La sollevata questione di costituzionalità va pertanto dichiarata inammissibile.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 2, secondo comma, legge 25 novembre 1983 n. 649 di conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 30 settembre 1983 n. 512 (recante disposizioni relative ad alcune ritenute alla fonte sugli interessi ed altri proventi di capitale), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dalla Commissione Tributaria Centrale con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22/01/92.

Aldo CORASANITI, Presidente

Renato GRANATA, Redattore

Depositata in cancelleria il 5 febbraio del 1992.