Sentenza n. 41 del 1992

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SENTENZA N. 41

ANNO 1992

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Dott. Aldo CORASANITI, Presidente

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALL

Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 210 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale), promosso con ordinanza emessa il 14 maggio 1991 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Firenze nel procedimento penale a carico di Dainelli Alberto, iscritto al n. 475 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell'anno 1991.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 4 dicembre 1991 il Giudice relatore Ugo Spagnoli.

Ritenuto in fatto

 

Nel corso dell'udienza preliminare relativa ad un procedimento a carico di Alberto Dainelli, imputato del reato di cui all'art. 1, secondo comma, nn. 1 e 2 del decreto-legge 10 luglio 1982, n. 429, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 1982, n. 516, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Firenze, su eccezione della difesa dell'imputato, ha sollevato questione di costituzionalità dell'art.210 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, recante norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del nuovo codice di procedura penale, ritenendo che la norma impugnata sia in contrasto con i principi e i criteri direttivi enunciati nell'art. 2, punto 12, della legge delega e rappresenti pertanto una violazione degli artt. 76 e 77, pr Costituzione.

Il giudice a quo osserva che la cognizione dei reati previsti dal decreto-legge n. 429 del 1982 è attribuita al tribunale dall'art.11 del medesimo decreto e che tale norma continua ad essere vigente, pur dopo l'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, in ragione del citato art. 210, secondo cui "continuano a osservarsi le disposizioni di leggi o decreti che regolano la competenza per materia o per territorio in deroga alla disciplina del codice nonchè le disposizioni che prevedono la competenza del giudice penale in ordine a violazioni connesse a fatti costituenti reato". Ciò - secondo il giudice a quo - si pone in contrasto con l'art. 2, punto 12, della legge n.81 del 1991, che governa anche l'esercizio della delega ad emanare norme di attuazione e di coordinamento e che prevede: a) l'attribuzione al pretore della competenza per le contravvenzioni, per i delitti punibili con la pena della multa o con quella della reclusione non superiore nel massimo a quattro anni, nonchè per altri delitti specificamente indicati; b) l'attribuzione alla corte d'assise della competenza per i delitti punibili con la pena dell'ergastolo o con quella della reclusione non inferiore nel massimo a ventiquattro anni, nonchè di ogni altro delitto doloso, se dal fatto è derivata la morte di una o più persone, con possibilità, per il legislatore delegato, sia di escludere delitti specificamente indicati sia di includerne altri; c) l'attribuzione al tribunale di una competenza, per così dire, residuale, identificata con il riferimento ai reati non attribuiti alla competenza del pretore e della corte d'assise.

Alla luce di tale direttiva non sarebbe consentito al legislatore delegato di sottrarre alla competenza del pretore ed includere nella competenza del tribunale reati di carattere contravvenzionale ovvero delitti punibili con la pena della multa o con quella della reclusione non superiore nel massimo a quattro anni (quali sono i reati previsti dal decreto-legge 10 luglio 1982, n. 429). Tale vincolo, per la chiarezza con cui esso è espresso dal punto n. 12 dell'art. 2 della legge delega, trova applicazione anche riguardo alle norme di attuazione e di coordinamento emanate ai sensi dell'art. 6 della medesima legge. Ne consegue - conclude il giudice a quo - che l'art. 210 del decreto legislativo n. 271 del 1989, disponendo il mantenimento in vigore delle disposizioni di leggi o decreti che regolano la competenza per materia o territorio in deroga alla disciplina del codice, è da ritenersi in contrasto con la delega, nella parte in cui si applica anche a disposizioni che attribuiscano al tribunale la competenza in ordine a reati per i quali, secondo il principio di cui al richiamato punto 12, sussisterebbe altrimenti la competenza pretorile.

É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, che ha in primo luogo osservato come dal testo dell'ordinanza di rimessione non era possibile comprendere se la questione rimanesse o meno rilevante pur dopo le modifiche che l'art. 1 del decreto-legge 16 marzo 1991, n. 83, convertito, con modificazioni, nella legge 15 maggio 1991, n. 154, aveva apportato all'art. 1 del decreto-legge n. 429 del 1982.

Nel merito, l'Avvocatura ha sostenuto l'infondatezza della questione, affermando che i criteri direttivi stabiliti in materia dalla legge delega erano ben più elastici di quanto ritenuto dal giudice a quo e comunque non erano tali da escludere la sopravvivenza di norme speciali derogatorie.

La parte privata non si è costituita.

Considerato in diritto

 

1.- L'art. 210 del decreto legislativo 28 luglio 1989,n. 271, recante norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, stabilisce che "continuano ad osservarsi le disposizioni di leggi o decreti che regolano la competenza per materia o per territorio in deroga alla disciplina del codice ...". Secondo il giudice a quo tale norma, consentendo la sopravvivenza anche di norme che stabiliscono la competenza, per determinati reati, in difformità dai criteri stabiliti, in materia di riparto delle competenze per materia, dalla direttiva n. 12, di cui all'art.2 della legge delega 16 febbraio 1987, n. 81, si porrebbe in contrasto con la delega stessa e quindi con l'art. 76 della Costituzione.

Tale contrasto sussisterebbe, in particolare, con riferimento alla sopravvivenza di quelle norme - come l'art. 11 del decreto-legge 10 luglio 1982,n. 429, convertito con modificazioni nella legge 7 agosto 1982, n. 516 - che attribuiscono al tribunale la competenza in ordine a reati per i quali sussisterebbe altrimenti la competenza pretorile, posto che la direttiva n.12 non prevede - secondo il giudice a quo - una deroga di tal genere.

2.- Successivamente alla pronunzia dell'ordinanza di rimessione è stata emanata la legge 15 maggio 1991, n. 154 che ha convertito con modificazioni il decreto-legge 16 marzo 1991, n. 83, modificando l'art. 1 del decreto- legge n. 429 del 1982. Nessuna modifica è stata peraltro apportata alle disposizioni in materia di competenza dettate dall'art. 11 di quest'ultimo decreto, sicchè il nuovo intervento legislativo non è idoneo ad incidere sulla rilevanza della questione.

3.- La questione non è fondata.

Essa si basa implicitamente sul presupposto che la direttiva n.12 fosse rivolta non soltanto a stabilire i criteri che l'emanando codice di procedura avrebbe dovuto seguire per il riparto della competenza per materia tra i vari organi della giustizia penale, ma anche a determinare l'abrogazione delle preesistenti norme della legislazione speciale che stabilivano la competenza per determinati reati in deroga alle norme del codice previgente.

Non vi è invece alcuna ragione che possa indurre ad interpretare in tal modo la volontà del legislatore delegante. É pur vero che il principio espresso dal brocardo lex posterior generalis non derogat priori speciali non ha valore assoluto, ma, per vincere la presunzione interpretativa che esso esprime, occorre che vi siano chiari elementi in senso contrario. Tali elementi non risultano nè dal tenore letterale della direttiva nè dai relativi lavori preparatori. E i criteri di riparto delle competenze per materia delineati dalla direttiva n. 12 (a prescindere dalla validità o meno dell'interpretazione che di essa fornisce il giudice a quo) non costituiscono espressione di un principio ispiratore essenziale del nuovo codice, tale da non consentire deroga alcuna, neppure ad opera di leggi speciali. Nè, infine, può ritenersi che l'emanazione del nuovo codice abbia fatto di per sè venir meno le ragioni che avevano indotto il legislatore ad adottare discipline speciali in materia.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.210 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale),sollevata, in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Firenze con ordinanza del 14 maggio 1991.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22/01/92.

Aldo CORASANITI, Presidente

Ugo SPAGNOLI, Redattore

Depositata in cancelleria il 5 febbraio del 1992.