Sentenza n. 37 del 1992

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 37

ANNO 1992

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Dott. Aldo CORASANITI, Presidente

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 15, secondo comma, della legge 11 luglio 1978, n. 382 (Norme di principio sulla disciplinamilitare), promosso con ordinanza emessa il 4 aprile 1991 dal amministrativo regionale della Liguria sui ricorsi riuniti proposti da Gasparini Alessandro contro il Ministro delle finanze ed altri iscritta al n. 531 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 34, prima serie speciale, dell'anno 1991.

Visto l'atto di costituzione di Alessandro Gasparini, nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 17 dicembre 1991 il Giudice relatore Antonio Baldassarre;

udito l'Avvocato dello Stato Stefano Onufrio per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. Nel corso di un giudizio proposto perchè fosse annullato tanto il provvedimento del Comandante del Nucleo regionale di Polizia tributaria della Guardia di finanza di Genova, in data 4 novembre 1988, che ha irrogato la sanzione di sette giorni di consegna di rigore, quanto il provvedimento del Comandante della Zona ligure della Guardia di finanza, in data 16 gennaio 1989, che ha respinto il ricorso gerarchico proposto contro il provvedimento inflittivo della predetta sanzione, il Tribunale amministrativo regionale della Liguria ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 15, secondo comma, della legge 11 luglio 1978, n. 382, nella parte in cui preclude al militare sottoposto a procedimento disciplinare di indicare come difensore nel procedimento stesso altro militare non appartenente al medesimo ente.

Premesso che il militare sottoposto a procedimento aveva nominato come proprio difensore un militare in forza in altro ente e che tale nomina era stata annullata dal Comandante del Nucleo regionale, il quale ha poi provveduto a nominare un difensore d'ufficio nella persona di un militare dello stesso ente di appartenenza, il giudice a quo osserva che, per tali ragioni, non si può dubitare della rilevanza della questione.

Quanto alla non manifesta infondatezza, lo stesso giudice rileva che, dal momento che, laddove l'art. 15, secondo comma, parla di "ente" o di "corpo", con tali nozioni devono intendersi le unità tipiche delle Forze Armate, comunemente definite "reparto" e aventi la consistenza di battaglione o di gruppo al comando di un colonnello o di un tenente colonnello, unità tra le quali può farsi rientrare il Nucleo regionale di polizia tributaria, non è sicuramente infondato il dubbio che il difensore del militare nel procedimento disciplinare di cui trattasi non sia nella condizione di adempiere adeguatamente al suo dovere, essendo necessariamente subordinato in via gerarchica al comandante dell'ente, cioé all'autorità decidente che, sentita la commissione appositamente formata, infligge la sanzione disciplinare.

Sebbene la stessa legge n. 382 del 1978 e il relativo regolamento di esecuzione (d.P.R. n. 545 del 1986) predispongano una serie di garanzie a tutela della posizione del difensore (come, ad esempio, il divieto di irrogare sanzioni per fatti rientranti nell'espletamento del mandato o la dispensa dal servizio per il difensore durante il tempo necessario all'adempimento delle funzioni connesse alla difesa), tuttavia queste, ad avviso del giudice a quo, non sembrano sufficienti a garantire l'adeguato espletamento delle funzioni di difensore, pur tenendo conto che si tratta di un procedimento non giurisdizionale. Tali funzioni, infatti, implicano, nel militare prescelto come difensore, prese di posizioni e affermazioni su vicende pertinenti allo stesso ambiente di vita militare e a comuni rapporti umani, che possono raggiungere profili o momenti di grande asprezza, sicchè il condizionamento dei vincoli gerarchici o il timore del deterioramento dei rapporti con i commilitoni sono tali da non assicurare adeguatamente che il difensore goda di una serenità tale da permettergli lo svolgimento obiettivo del mandato. Questo inconveniente, secondo il giudice a quo, è tanto più grave quando le vicende, che danno causa al procedimento, sono tali da implicare un contrasto del militare accusato con tutti i commilitoni del reparto, così che per lui non sarebbe neppure possibile individuare fra questi ultimi un difensore adeguato.

Il giudice a quo è indotto a dubitare della conformità della norma impugnata rispetto all'art. 97, primo comma, della Costituzione, il quale, nel richiedere che l'azione amministrativa risponda al principio di imparzialità, esige regole procedurali sulla condotta della pubblica amministrazione dirette ad assicurare un'esatta valutazione degli interessi coinvolti dalla decisione amministrativa da adottare, così da garantire un procedimento basato sui principi della congruenza e della ragionevolezza.

Nè si potrebbe dire, aggiunge il giudice a quo, che le c.d.sanzioni di corpo esigono un sistema di difesa interna al medesimo corpo, poichè esse si esauriscono tutte nell'ambito della vita del reparto.

Questa supposizione, infatti, è negata sia dal fatto che quelle sanzioni possono essere inflitte anche a subordinati i quali, pur essendo aggregati al reparto del comandante decidente, sono però effettivi in altri corpi o enti, sia dal fatto che le stesse sanzioni si riflettono nel più ampio rapporto intercorrente tra il militare punito e la forza armata di appartenenza, considerato che, seppur indirettamente, incidono sullo stato del militare e influenzano lo svolgimento della carriera (promozioni e consimili).

2. Si è costituito in giudizio il ricorrente che ha promosso il processo a quo, chiedendo che la questione sia accolta sulla base delle argomentazioni svolte nell'ordinanza di rimessione.

3. É intervenuto in giudizio anche il Presidente del Consiglio dei ministri per chiedere che la questione sia dichiarata non fondata, dal momento che, ad avviso dell'Avvocatura dello Stato, le garanzie assicurate al militare inquisito dalla legge n. 382 del 1978 e dal relativo regolamento di esecuzione sono tali da consentirgli la puntuale esplicazione del diritto di difesa. Inoltre, continua l'Avvocatura dello Stato, deve escludersi la violazione dell'art. 97 della Costituzione, poichè il procedimento disciplinare in esame deve rispondere a criteri di economicità e di rapidità, sicchè dare la possibilità al militare inquisito di scegliere il proprio difensore al di fuori dell'ente di appartenenza significherebbe rallentare lo svolgimento del procedimento medesimo e far venir meno il requisito dell'immediatezza che gli è proprio.

Considerato in diritto

1.- Il Tribunale amministrativo regionale della Liguria dubita della legittimità costituzionale dell'art. 15, secondo comma, della legge 11 luglio 1978, n. 382 (Norme di principio sulla disciplina militare), nella parte in cui preclude al militare sottoposto a procedimento di indicare come difensore nel procedimento stesso altro militare non appartenente al medesimo "ente".

Secondo il giudice a quo, la dubbia compatibilità rispetto alla Costituzione della norma impugnata deriverebbe da una duplice ragione:

a) la limitazione della scelta del difensore nella persona di un militare appartenente allo stesso "ente" del militare incolpato comporterebbe un'irragionevole compressione della possibilità di un'adeguata difesa sia in riferimento a un procedimento che può concludersi con sanzioni indirettamente incidenti sullo stato del militare punito e sulla di lui carriera, sia a causa della subordinazione gerarchica necessariamente intercorrente fra il difensore e il comandante dell'"ente" competente a decidere ovvero a causa dei condizionamenti negativi che possono derivare al difensore dal proprio ambiente di vita a motivo del mandato svolto;

b) la preclusione di nominare il proprio difensore fra militari appartenenti a "enti" diversi violerebbe l'art. 97 della Costituzione, il quale esige che siano stabilite regole procedurali sull'attività amministrativa dirette ad assicurare un'esatta valutazione degli interessi coinvolti nella decisione da adottare, regole che, nel caso, non sarebbero adeguatamente stabilite a causa dell'insufficiente garanzia delle possibilità di difesa del militare sottoposto a procedimento disciplinare.

2.- La questione va accolta.

Al fine di decidere se la preclusione di scegliere il difensore al di fuori dell'"ente" di appartenenza costituisca un'irragionevole limitazione nel contesto delle norme di legge dirette ad assicurare un'adeguata difesa al militare sottoposto a procedimento disciplinare ovvero se comporti, comunque, una violazione del principio di imparzialità dell'azione amministrativa garantito dall'art. 97 della Costituzione, occorre preliminarmente definire la nozione di "ente" desumibile dalle leggi sull'ordinamento militare e applicabile al caso di specie.

Premesso che numerose sono le disposizioni che contengono la locuzione di "ente" e, talora, quella di "ente o corpo" e premesso che le nozioni di volta in volta implicate adottano punti di vista sovente non collimanti o, comunque, diversi, si deve dire che la dizione di "ente" non fa riferimento a una specifica e precisa realtà, identificabile con un certo settore o segmento, materialmente determinabile, dell'organizzazione militare. In altri termini, quella di "ente" è una nozione di genere riferibile a qualsiasi unità o servizio organicamente costituito e sottoposto al comando o alla direzione di un ufficiale ad esso preposto, che sia dotato di autonomia nel campo dei rapporti di impiego, nel campo logistico, in quello tecnico e amministrativo. Sotto il profilo disciplinare, l'ufficiale preposto a tali unità, cioè il comandante di corpo, è l'autorità legittimata a decidere sull'infrazione (con l'ausilio di una commissione nel caso degli illeciti più gravi) e ad infliggere l'eventuale punizione.

É, dunque, corretta la premessa da cui muove il giudice a quo, in base alla quale l'"ente" costituisce un'unità organizzativa sottoposta alla direzione di un comandante nei cui rispetti il militare prescelto come difensore è, in ogni caso, in posizione di subordinazione gerarchica. Ed è pure corretta l'ulteriore premessa, presupposta dallo stesso giudice, che, anche con specifico riferimento all'ordinamento della Guardia di finanza, il concetto di "ente" ricomprende differenti unità organizzative, fra le quali rientrano sicuramente i comandi di corpo e, quindi, ai sensi dell'art.3, quarto comma, della legge 23 aprile 1959, n.189 (Ordinamento della Guardia di finanza), anche i Nuclei regionali di polizia tributaria.

Non v'è dubbio, perciò, che, a norma dell'impugnato art. 15, secondo comma, della legge n. 382 del 1978, la dimensione organizzativa all'interno della quale il militare sottoposto al procedimento disciplinare ricorrente nel giudizio a quo poteva scegliere il proprio difensore fosse quella del Nucleo regionale di polizia tributaria al cui servizio era adibito.

Sicchè rappresenta una corretta applicazione della disposizione impugnata - e ciò è importante anche ai fini della verifica della rilevanza della questione - quella relativa all'annullamento, da parte del comandante del corpo (con conseguente nomina di un difensore d'ufficio), della scelta come difensore di un militare appartenente a una brigata ricompresa in un nucleo regionale diverso da quello nel quale prestava servizio il sottoposto a procedimento disciplinare, considerato che l'anzidetta disposizione preclude a quest'ultimo la scelta del proprio difensore al di fuori dell'"ente" (o del corpo) di appartenenza.

3.- Tale preclusione è, tuttavia, costituzionalmente illegittima, poichè, all'interno di un contesto legislativo che si preoccupa di assicurare un'adeguata e indipendente difesa al militare sottoposto a procedimento disciplinare, rappresenta, alla luce dei valori costituzionali coinvolti, una limitazione irragionevole e incongruente rispetto alla predetta finalità.

Allo scopo di garantire il principio del giusto procedimento anche nel caso della irrogazione di sanzioni disciplinari di corpo, l'art. 15 della legge n. 382 del 1978 stabilisce alcune regole, aventi un contenuto paragiurisdizionale, dirette ad assicurare al militare sottoposto al relativo procedimento amministrativo un'adeguata tutela di alcuni essenziali interessi giuridicamente rilevanti. Il suddetto articolo dispone, infatti, che nessuna sanzione disciplinare di corpo può essere inflitta in mancanza di una previa contestazione degli addebiti e in mancanza del fatto che siano sentite e vagliate le giustificazioni addotte dal militare interessato (primo comma). Inoltre, lo stesso articolo dispone, al comma successivo, che le infrazioni comportanti la punizione della consegna di rigore non possono essere decise nel senso della colpevolezza dell'accusato senza che sia stato sentito il parere di una commissione formata da tre militari (di cui due di grado superiore e uno di grado pari rispetto a quello del militare sottoposto a procedimento).

Ancora lo stesso articolo, sempre al secondo comma, riconosce al militare che ha commesso l'infrazione il "diritto alla difesa", nel senso che, a tutela dei suoi interessi, gli garantisce la nomina di un difensore da lui prescelto tra i militari in servizio nel suo stesso "ente" di appartenenza e, in mancanza di questo, la nomina di un difensore d'ufficio.

Nelle disposizioni che regolano il procedimento disciplinare in esame, la difesa dell'inquisito riceve una protezione particolarmente accurata.

Innanzitutto, il regolamento di esecuzione della legge n. 382 del 1978 - contenuto nel d.P.R. 18 luglio 1986, n. 545 (Regolamento di disciplina militare) - prevede, all'art. 68, tanto la dispensa del militare difensoredai suoi normali obblighi di servizio per il tempo necessa all'adempimento delle funzioni connesse alla difesa, quanto il divieto per il militare designato difensore di ufficio di rifiutare l'incarico se non per giustificato impedimento. Ma quel che è più importante è che lo stesso articolo, a tutela dell'imparzialità della difesa dispone sia che le funzioni del difensore non possono essere assolte dal superiore che ha rilevato la mancanza, sia che il difensore è vincolato al segreto d'ufficio. In ogni caso, la garanzia più forte del principio dell'imparzialità e dell'indipendenza della difesa è data dallo stesso art. 15, secondo comma, della legge n. 382 del 1978, il quale stabilisce che al militare che ha esercitato le funzioni di difensore in un procedimento disciplinare non può esser inflitta alcuna sanzione per fatti rientranti nell'espletamento del suo mandato.

Non v'è dubbio che il quadro normativo tracciato mostra un complesso di disposizioni preordinato al fine di assicurare, non soltanto una difesa a tutela degli interessi del militare sottoposto a procedimento disciplinare, ma soprattutto una difesa che possa essere svolta in condizioni di imparzialità e di indipendenza anche nei confronti delle pressioni che possano derivare dall'ambiente di vita militare. In riferimento a tale fine, la preclusione della possibilità di scegliersi un difensore al di fuori dell'"ente" di appartenenza costituisce una limitazione palesemente incongruente, soprattutto in considerazione della particolare struttura delle unità organizzative militari, degli interessi coinvolti nel procedimento disciplinare e della natura delle sanzioni irrogabili.

4.- Come ha correttamente osservato il giudice a quo, il condizionamento derivante dal vincolo di subordinazione gerarchica che caratterizza l'ambiente di vita del difensore - e, in particolare, quello rispetto al comandante del corpo competente a decidere e quello rispetto agli ufficiali che abbiano rilevato l'infrazione - può esser tale, in alcuni casi, da non garantire l'espletamento del mandato in modo adeguatamente imparziale e indipendente da pressioni esterne.

Questo condizionamento, come ha sottolineato lo stesso giudice, può essere ancor più pesante quando la natura dell'infrazione contestata è tale da comportare una situazione di contrasto o di aspra tensione tra il militare incolpato e i restanti componenti dell'"ente" di appartenenza. In considerazione di tali ipotesi - le quali, sebbene estreme, possono in ogni caso avere un riscontro reale - la facoltà di scelta del difensore tra i militari di enti diversi da quello di appartenenza dell'accusato, che è esclusa dal legislatore, potrebbe costituire, invece, un mezzo in grado di garantire il raggiungimento effettivo del fine, che si propone lo stesso legislatore, di assicurare al sottoposto a procedimento disciplinare una difesa imparziale e indipendente da pressioni esterne: un mezzo che si potrebbe inserire nel procedimento previsto senza implicare alcun altro mutamento nelle modalità, nei tempi e nei termini propri del procedimento stesso.

L'irragionevolezza dell'omissione indicata si rivela palese se si considera il contenuto di valore costituzionale degli interessi coinvolti nel procedimento disciplinare, anche in relazione alle sanzioni irrogabili.

La previsione di procedimenti disciplinari nell'ambito della vita militare è evidentemente giustificata dalla finalità di assicurare un bene essenziale dell'ordinamento militare, anche in tempo di pace: la disciplina e l'ordinato svolgimento del servizio. Ma, poichè l'art. 52, terzo comma, della Costituzione, prescrive che l'ordinamento delle Forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica, si comprende bene come il legislatore, in attuazione di tale valore costituzionale, abbia circondato i procedimenti disciplinari delle garanzie necessarie al fine di assicurare, anche all'interno dell'ordinamento militare, il godimento del nucleo essenziale dei diritti costituenti il patrimonio inviolabile della persona umana. La garanzia di una difesa effettiva, imparziale e indipendente, rientra in questa visione dei procedimenti disciplinari, soprattutto in considerazione del fatto che dal loro espletamento possono derivare sanzioni comportanti restrizioni al godimento di beni che hanno indubbio rilievo costituzionale.

Innanzitutto, occorre considerare che i procedimenti in esame contemplano sanzioni, come la consegna di rigore, che implicano il vincolo di rimanere per un determinato tempo in apposito spazio dell'ambiente militare e, pertanto, hanno come conseguenza dell'infrazione accertata una restrizione della libertà dell'individuo, per la quale si impone la garanzia di un'adeguata ed effettiva difesa. Inoltre, lo stesso tipo di sanzione incide su un valore posto dalla Costituzione a base dei diritti della persona umana, vale a dire la dignità dell'uomo sotto l'aspetto dell'autostima e della coscienza del proprio valore nell'ambito dei rapporti con gli altri uomini. Infine, non è senza significato ricordare che la consegna di rigore viene riportata nella documentazione personale del militare punito, configurando, così, un'ipotesi di sanzione di corpo, la quale, tuttavia, travalica, nei suoi effetti meno immediati, la vita dell'"ente" di appartenenza per incidere sullo svolgimento del rapporto di servizio con la Forza armata in cui è inquadrato il militare e, in particolare, sulla progressione della carriera del militare stesso.

E tale incidenza non può essere negata neppure nel caso in cui le predette annotazioni a seguito di specifica istanza dell'interessato, possono essere eliminate dalla documentazione personale dopo due anni di buona condotta, poichè tale cancellazione non ha in ogni caso effetto retroattivo.

In conclusione, ripercorrendo alla luce dei valori costituzionali coinvolti la scelta legislativa di garantire al sottoposto al procedimento disciplinare una difesa imparziale e indipendente, la preclusione per il militare incolpato di nominare il proprio difensore tra i militari non appartenenti all'"ente" in cui l'accusato presta servizio si rivela palesemente irragionevole e incongruente e, come tale, costituzionalmente illegittima.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 15, secondo comma, della legge 11 luglio 1978, n. 382 (Norme di principio sulla disciplina militare), nella parte in cui non prevede che il militare sottoposto a procedimento disciplinare ha la facoltà di indicare come difensore nel procedimento stesso un altro militare non appartenente all'"ente" nel quale egli presta servizio.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22/01/92.

Aldo CORASANITI, Presidente

Antonio BALDASSARRE, Redattore

Depositata in cancelleria il 5 febbraio del 1992.