Sentenza n. 36 del 1992

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SENTENZA N. 36

ANNO 1992

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Giuseppe BORZELLINO, Presidente

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 3 e 6 della legge 19 luglio 1991, n. 216 (Primi interventi in favore dei soggetti a rischio di coinvolgimento in attività criminose), promossi con i ricorsi delle Province autonome di Bolzano e di Trento notificati il 16 e 21 agosto 1991, depositati in cancelleria il 23 e 28 agosto successivi ed iscritti rispettivamente ai nn. 31 e 32 del registro ricorsi 1991.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 3 dicembre 1991 il giudice relatore Enzo Cheli;

uditi gli avvocati Roland Riz e Sergio Panunzio per la Provincia di Bolzano e Umberto Pototschnig per la Provincia di Trento e l'avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

 

1. - Con ricorso notificato in data 14 agosto 1991 (Ric. n.31 del 1991), la Provincia autonoma di Bolzano impugna gli artt. 1, primo comma;2, primo, terzo, quarto, quinto, sesto e settimo comma; 3 e 6 della legge 19 luglio 1991, n. 216 (Primi interventi in favore dei minori soggetti a rischio di coinvolgimento in attività criminose), per violazione degli artt. 8, primo comma, nn. 4, 25, 26, 27 e 29; 9, primo comma, n. 2;16, primo comma; 54, primo comma, n. 4; 68; 78; 79 e 80 dello Statuto speciale della Regione Trentino-Alto Adige (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670) e delle relative norme di attuazione approvate con idecreti del Presidente della Repubblica 20 gennaio 1973, n. 115; 20 gennaio 1973, n. 116; 1 novembre 1973, n. 687; 1 novembre 1973, n. 689; 1 novembre 1973, n. 691; 28 marzo 1975, n. 469; 24 marzo 1981, n. 215; 4 dicembre 1981, n. 761; 10 febbraio 1983, n. 89; 19 novembre 1987, n. 526; nonchè dell'art. 5 della legge 30 novembre 1989, n. 386, e dell'art. 119 della Costituzione.

Le questioni sollevate investono i profili seguenti:

a) l'art. 1, primo comma, della legge n. 216, prevedendo che la Presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento per gli affari sociali, assuma il sostegno di iniziative volte a tutelare e favorire la crescita, la maturazione individuale e la socializzazione dei minori al fine di fronteggiare il rischio del loro coinvolgimento in attività criminose, violerebbe, oltre all'art. 119 della Costituzione, le norme dello Statuto speciale e della relativa disciplina attuativa che attribuiscono alla Provincia di Bolzano competenza legislativa ed amministrativa esclusiva in tema di assistenza e beneficenza pubblica, scuola materna, assistenza scolastica, addestramento e formazione professionale, nonchè competenza concorrente in tema di istruzione elementare e secondaria.

Le iniziative ammesse a finanziamento riguardano l'attività di comunità di accoglienza dei minori; l'attuazione di interventi a sostegno delle famiglie; l'attività di centri di incontro e di iniziativa sociale;

l'attuazione di interventi nell'ambito delle strutture scolastiche.

La Provincia ricorda che, nei settori in questione, sono state emanate specifiche norme di attuazione e varie leggi provinciali dirette ad assicurare ampi e completi interventi educativi ed assistenziali a favore dei minori, in particolare di quelli soggetti al rischio di essere coinvolti in attività criminose. La disposizione impugnata, non avendo fatte salve le attribuzioni spettanti alla Provincia autonoma di Bolzano, si sarebbe sovrapposta e contrapposta a specifiche competenze alla stessa spettanti;

b) l'art. 2, primo, terzo, quarto, quinto, sesto e settimo comma, e l'art. 3 della legge impugnata prevedono l'erogazione di contributi a favore degli enti locali nonchè di enti e associazioni di volontariato che operino senza scopo di lucro nelle attività e per le finalità indicate nell'art. 1 della legge medesima. I compiti di stabilire i criteri e i requisiti per la ripartizione dei contributi e di formulare al Ministro dell'interno la proposta relativa alla loro concessione sono attribuiti ad una commissione istituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, presieduta dal Ministro per gli affari sociali e composta da rappresentanti dei ministeri interessati, da esperti e da rappresentanti delle Regioni e dei Comuni.

Quanto ai rappresentanti delle Regioni, si prevede che essi siano designati in numero di tre dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano. Si prevede altresì, ai fini dell'erogazione dei contributi, l'onere per i soggetti destinatari di trasmettere alla suddetta commissione i propri bilanci, con una relazione sull'attività svolta e che la presentazione delle domande debba avvenire a cura del Comune per tramite della Prefettura. Per l'erogazione dei contributi l'art. 3 istituisce un apposito fondo per il triennio 1991-93. Il finanziamento viene erogato dal Ministro dell'interno, con proprio decreto, entro trenta giorni dalla proposta della Commissione.

Tali disposizioni sono impugnate sotto vari profili.

Innanzitutto - ad avviso della ricorrente - esse sarebbero lesive della competenza provinciale esclusiva, prevista dagli artt. 8, primo comma, n.25, e 16, primo comma, dello Statuto speciale, in tema di amministrazione ed erogazione dei contributi per l'assistenza e beneficenza pubblica.

In secondo luogo, le stesse disposizioni violerebbero gli artt. 78, 79 e 80 dello Statuto speciale, come integrati dalla legge 30 novembre 1989, n. 386, poichè la Provincia ricorrente, alla quale è devoluta una larga parte del gettito locale dei tributi statali, dovrebbe poter "disporre liberamente dell'impiego di tali mezzi" nei settori di propria competenza esclusiva senza che lo Stato possa direttamente determinare le fonti, la destinazione e le modalità dei flussi finanziari.

Infine, le stesse disposizioni incorrerebbero in una violazione dell'art. 5 della legge n. 386 del 1989, dove si prevede la partecipazione delle Province autonome di Trento e Bolzano alla ripartizione di eventuali fondi speciali dello Stato, partecipazione che la legge impugnata, di contro, non contempla;

c) l'art. 6 della stessa legge n. 216, prevedendo che le Province autonome di Trento e Bolzano possano concedere in uso gratuito agli enti, alle organizzazioni di volontariato ed alle associazioni beni immobili di loro proprietà al fine di destinarli ad interventi a favore dei minori, sarebbe in contrasto con l'art. 68 dello Statuto speciale e con le relative norme di attuazione di cui al d.P.R. n. 115 del 1973, con i quali si è provveduto a trasferire alla Provincia ricorrente, in corrispondenza delle materie ad essa attribuite, i beni immobili statali, nonchè con l'art. 54, primo comma, n. 4, dello Statuto speciale, che ha conferito alla Giunta il compito di amministrare il patrimonio provinciale.

L'illegittimità discenderebbe anche dal fatto che la norma impugnata prescrive, in questione, l'uso gratuito con il rispetto di determinate modalità.

2. - Con ricorso notificato in data 21 agosto 1991 (Ric. n. 32 del 1991), anche la Provincia autonoma di Trento ha impugnato gli artt.1, 2, 3 e 6 della legge n. 216 del 1991, per violazione degli artt. 8, 9 e 16 dello Statuto speciale del Trentino-Alto Adige, in relazione al d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, al d.P.R. 1 novembre 1973, n. 687 e al d.P.R. 15 luglio 1988, n. 405.

Con argomentazioni analoghe a quelle contenute nel ricorso proposto dalla Provincia di Bolzano, la ricorrente sostiene che le norme impugnate lederebbero la propria competenza primaria in materia di assistenza e beneficenza pubblica, di assistenza scolastica, di attività artistiche, culturali ed educative locali, nonchè la competenza secondaria in materia di istruzione elementare e secondaria. Tali norme non riserverebbero, infatti, alle Province autonome alcun potere in riferimento alla concessione dei contributi, alla determinazione dei criteri e dei requisiti necessari e neppure all'inoltro delle domande da parte dei beneficiari, dal momento che questi compiti sono attribuiti al Dipartimento per gli affari sociali (art.1), al Ministro dell'interno (art. 2, sesto comma, e art. 3, secondo comma) ed alla apposita commissione istituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri (art. 2, quinto comma), dove la rappresentanza delle Province autonome non risulta garantita e resta, comunque, minoritaria.

La Provincia di Trento ricorda, inoltre, di aver approvato le leggi 31 ottobre 1983, n. 35, e 12 luglio 1991, n. 14, che hanno disciplinato la stessa materia regolata dalla legge n. 216 del 1991.

Infine, la Provincia ricorrente ribadisce le censure relative alla violazione delle disposizioni statutarie in tema di autonomia finanziaria, anche in relazione all'art. 5 della legge n. 386 del 1989, ed alla lesione delle competenze relative alla amministrazione dei beni di sua proprietà, da ritenersi implicite nelle restanti attribuzioni provinciali.

3. - Si è costituito in entrambi i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, deducendo la inammissibilità e l'infondatezza delle questioni sollevate.

Con memoria presentata in prossimità dell'udienza l'Avvocatura premette alla illustrazione delle proprie difese alcune notizie relative ai problemi posti dalla delinquenza minorile su tutto il territorio nazionale e richiama vari atti del Consiglio superiore della Magistratura, della Commissione parlamentare antimafia e di altri organi parlamentari, dove viene sottolineata la gravità del fenomeno e l'urgenza di intervenire con misure adeguate a favore delle famiglie ed a sostegno delle azioni di contrasto svolte dagli enti pubblici e dal volontariato.

In relazione a questo quadro, la legge n. 216 del 1991 dovrebbe ritenersi attinente - ad avviso dell'Avvocatura - a materia di competenza statale, in quanto diretta a "fronteggiare il rischio di coinvolgimento dei minori in attività criminose", cioé a perseguire un fine preminente di tutela della sicurezza e dell'ordine pubblico. La difesa dello Stato riconosce, peraltro, che gli interventi previsti dalla legge si riflettono anche su materie di competenza regionale (quali l'assistenza pubblica e l'istruzione), ma il fine primario della legge giustificherebbe pur sempre l'iniziativa statale, anche alla luce della giurisprudenza della Corte costituzionale, che, in varie occasioni, ha ammesso interventi statali aggiuntivi a quelli posti in essere dalle Regioni e dagli enti locali competenti, quando occorra affrontare emergenze di notevole rilevanza sociale o sia necessario intervenire su questioni incidenti sulla sicurezza pubblica e sull'ordine pubblico, a tutela di interessi propri dell'intera collettività nazionale.

In riferimento alla censura relativa alla violazione del principio dell'autonomia finanziaria, l'Avvocatura ritiene che la legittimità del sistema centralizzato di finanziamento previsto dalla legge n. 216 possa essere giustificato in quanto attinente a interventi di competenza statale.

Infine, per quanto concerne l'art. 6 della stessa legge, l'Avvocatura osserva che tale disposizione esprime una norma meramente autorizzatoria e pertanto non lesiva della competenza delle ricorrenti relativa all'utilizzo del loro patrimonio immobiliare.

4. - In prossimità dell'udienza la Provincia autonoma di Bolzano ha presentato memoria per ribadire gli argomenti sviluppati nel ricorso.

Secondo la ricorrente, gli interventi previsti nell'art. 1 della legge impugnata sarebbero tutti di natura tipicamente assistenziale e solo indirettamente potrebbero rilevare ai fini della prevenzione della criminalità minorile. Tale conclusione sarebbe confermata dalla attribuzione alla Presidenza del Consiglio dei ministri (e non al Ministero di grazia e giustizia) dei compiti di attuazione della legge e dalle rilevanti differenze tra gli interventi di prevenzione criminale riguardanti i minori (disciplinati dal R.D.L. 20 luglio 1934, n.1404) e quelli di tipo assistenziale di cui alla legge impugnata.

Ad avviso della Provincia le norme impugnate non presenterebbero caratteri di straordinarietà ed urgenza nè prevederebbero interventi temporanei per far fronte a situazioni di emergenza, ma configurerebbero una stabile sovrapposizione degli interventi statali a competenze esclusive provinciali.

Nella memoria si ribadiscono, infine, le censure relative all'assenza di poteri decisionali delle Province autonome nella ripartizione dei finanziamenti ed alla conseguente violazione della loro autonomia finanziaria, anche con riferimento all'art. 5 della legge n. 386 del 1989.

5. - Anche la Provincia autonoma di Trento, con memoria presentata in prossimità dell'udienza, ha ribadito la richiesta di accoglimento del ricorso, con argomentazioni analoghe a quelle contenute nella memoria della Provincia di Bolzano.

Considerato in diritto

 

1. - I due ricorsi investono, sotto profili in gran parte coincidenti, le medesime disposizioni della legge n. 216 del 1991. I giudizi relativi vanno, pertanto, riuniti per essere decisi con un'unica sentenza.

2. - La legge 19 luglio 1991, n. 216 (Primi interventi a favore dei minori soggetti a rischio di coinvolgimento in attività criminose), in considerazione "della situazione eccezionale determinatasi nel Paese" a seguito dell'aggravarsi del fenomeno della delinquenza minorile, si pone come obiettivo fondamentale il sostegno finanziario a iniziative dirette a "tutelare e favorire la crescita, la maturazione individuale e la socializzazione della persona di età minore", al fine di prevenire "ilrischio di coinvolgimento dei minori in attività criminose" A tale scopo la legge prevede l'erogazione di contributi agli enti locali e loro consorzi nonchè ad enti, organizzazioni di volontariato e cooperative di solidarietà sociale che operino senza scopo di lucro, al fine di sostenere le attività di comunità di accoglienza per minori e di centri sociali nei quartieri a rischio, nonchè l'attuazione di interventi a favore delle famiglie e di assistenza scolastica (artt. 1 e 2).

Per l'erogazione dei contributi viene istituito,per il triennio 1991- 93, un apposito fondo aggiuntivo rispetto ai fondi di cui all'art.2 del decreto-legge 28 dicembre 1989, n. 415 (convertito con la legge 28 febbraio 1990, n. 38), concernente il concorso dello Stato al finanziamento ordinario per l'anno 1990 dei bilanci delle amministrazioni locali (art.3).

I criteri per la ripartizione dei contributi sono determinati da una commissione istituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, presieduta dal Ministro per gli affari sociali e composta di rappresentanti delle amministrazioni statali interessate, di esperti e di rappresentanti delle amministrazioni locali. I rappresentanti delle Province autonome e delle Regioni (tre su quattordici componenti il plenum dell'organo) vengono designati dalla Conferenza Stato-Regioni (art. 2, quinto comma). I contributi sono erogati con decreto del Ministro dell'interno, su proposta della stessa commissione (art. 2, quinto e sesto comma, e art. 3, secondo comma).

La legge prevede anche che le Regioni, le Province autonome e gli enti locali possano, con apposita convenzione, concedere in uso gratuito ai destinatari dei contributi beni immobili di loro proprietà, con vincolo di destinazione alle attività contemplate dalla stessa legge (art.6).

3. - Le questioni sollevate nei confronti degli artt. 1 e 3 della legge n.216 del 1991 non sono fondate.

In proposito giova rilevare che la legge impugnata ha tratto la sua motivazione preminente - così come risulta dai lavori preparatori e dagli stessi enunciati dell'art. 1 - dall'allarme sociale suscitato dal recente aggravamento di talune forme di criminalità minorile, cioè da una situazione di emergenza che, specialmente nelle maggiori aree urbane ha finito per assumere caratteri di eccezionale gravità. Tale situazione ha imposto l'adozione di particolari misure di politica criminale e di politica sociale nel cui ambito anche la legge in esame va collocata.

Ora, se è vero - come riconosce la stessa difesa statale - che le iniziative, contemplate dall'art. 1 della legge n. 216, ammesse a finanziamento incidono largamente su materie di competenza provinciale (quali l'assistenza pubblica e l'assistenza scolastica) è anche vero che, in presenza della particolare situazione cui si è accennato, l'intervento dello Stato ha potuto trovare adeguata giustificazione proprio nei caratteri dell'emergenza sociale che si è inteso affrontare, stante la gravità del fenomeno e la sua stretta connessione con problemi di difesa della sicurezza e dell'ordine pubblico.

Questa Corte, a tal proposito, in più occasioni ha già avuto modo di escludere l'illegittimità di interventi statali attinenti a materie di competenza delle Regioni o delle Province autonome, quando detti interventi "presentino il carattere della straordinarietà ed i relativi finanziamenti siano aggiuntivi rispetto ai trasferimenti ordinari" (v. sentt. nn.180, 37 e 32 del 1991; 345 del 1990; 459, 399 e 324 del 1989; 217 del 1988): condizioni che, nella specie, appaiono rispettate sia in relazione alla natura aggiuntiva e non sostitutiva del fondo istituito con l'art.3 della legge n. 216, che al carattere temporalmente limitato al triennio 1991-93 degli interventi dalla stessa legge previsti.

Il che induce a escludere la fondatezza delle questioni sollevate nei confronti sia dei criteri generali della nuova disciplina formulati nell'art. 1 che dall'istituzione del fondo triennale di cui all'art. 3.

4. - Le questioni relative all'art. 2 della legge impugnata sono solo in parte fondate.

In primo luogo va esclusa la fondatezza delle censure formulate nei confronti dell'art. 2, commi 1, 2, 3, 4, 5, e 7, della legge.

Tali norme individuano i potenziali destinatari dei contributi, stabiliscono le condizioni per accedere agli stessi, istituiscono la commissione cui spetta il compito di formulare i criteri per la ripartizione e la proposta per la concessione.

Si tratta di disciplina naturalmente collegata alla natura statale del fondo ed al carattere aggiuntivo e straordinario degli interventi allo stesso connessi: l'infondatezza delle questioni sollevate nei confronti delle norme in esame discende, pertanto, quale corollario di quanto già rilevato con riferimento alle finalità generali della legge poste dall'art. 1.

Del pari infondata si prospetta la censura sollevata nei confronti delle stesse norme con riferimento all'art. 5 della legge 30 novembre 1989, n.386, dove si prevede la partecipazione delle Province autonome alla ripartizione dei fondi speciali istituiti per garantire livelli minimi di prestazioni in tutto il territorio nazionale. L'art. 5 della legge in questione non può, infatti, trovare applicazione nel caso in esame, dal momento che il fondo istituito dall'art. 3, primo comma, della legge n. 216 non presenta i connotati propri dei fondi speciali contemplati dall'art. 5 della legge n. 386, che attengono a prestazioni ordinarie, suscettibili di essere uniformate, nei loro livelli minimi, su tutto il territorio nazionale e non ad interventi aggiuntivi ispirati - come quelli in esame - all'esigenza di contrastare con forme differenziate, anche in relazione alla diversa gravità del fenomeno nelle varie aree del paese, una particolare emergenza sociale.

Un'incidenza nella sfera di autonomia provinciale viene, invece, a emergere dal fatto della esclusione delle due Province dal procedimento di concessione dei contributi relativi ad iniziative assistenziali attivate o da attivare nell'ambito del territorio provinciale. Tale esclusione non può ritenersi attenuata dalla eventualità che nella commissione di cui all'art.2, quinto comma, possano risultare presenti anche membri designati dalle Province, dal momento che tale presenza non trova nella legge una garanzia specifica e si prospetta comunque del tutto incerta, tanto più se riferita ad ambedue le Province. La mancata partecipazione delle Province autonome al procedimento non appare nè ragionevole nè giustificata anche alla luce della disposizione espressa nel secondo comma dell'art.2, dove si prevede la formulazione di un parere obbligatorio dell'ente locale competente per territorio in ordine alla effettiva realizzazione delle iniziative e dei servizi da parte dei destinatari degli interventi.

La disciplina in esame si presenta, pertanto, in contrasto c principio di collaborazione tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome più volte affermato da questa Corte, dal momento che non può dubitarsi del fatto che, nella fattispecie in esame, ricorrano "interessi eterogenei, riferibili a soggetti diversi e tutti di rilievo costituzionale" (v. sent. n. 286 del 1985), riassumibili, per lo Stato, nell'intento prioritario di contrastare l'emergenza sociale rappresentata dall'aggravarsi del fenomeno della delinquenza minorile, e, per le Province ricorrenti, nell'esigenza di partecipare alla definizione di interventi da attuarsi in materie di propria competenza. Alla composizione di tali interessi provvede - come questa Corte ha sottolineato (sentt. n. 351 del 1991, n. 125 del 1990, n.337 del 1989, n. 747 del 1988) - l'istituto dell'intesa, mediante il quale risulta possibile attuare una forma di coordinamento paritario tra i soggetti portatori di interessi eterogenei e disciplinare le garanzie procedurali ispirate al principio della leale collaborazione.

 

Da quanto precede discende l'illegittimità costituzionale dell'art.2, sesto comma, della legge impugnata, nella parte in cui affida al solo Ministro dell'interno il potere di disporre i finanziamenti consentiti dalla stessa legge, senza prevedere la necessità di una preventiva intesa con le Province ricorrenti, ove si tratti di sostegno a interventi realizzati o da realizzare nell'ambito dei rispettivi territori provinciali.

5. - L'ultima censura prospettata nei due ricorsi riguarda l'art. 6 della legge n. 216, dove si prevede che le Province ricorrenti - oltre allo Stato, alle Regioni e agli enti locali - possano concedere in uso gratuito ai destinatari dei contributi beni immobili di loro proprietà, con vincolo di destinazione alle attività di cui all'art. 1. Il medesimo art.6, al secondo comma, stabilisce che l'uso del bene concesso sia regolato da apposita convenzione volta a disciplinare la durata del rapporto, le modalità di controllo sulla utilizzazione, le cause di risoluzione della concessione nonchè le modalità per apportare modificazioni o addizioni ai beni concessi. Ad avviso delle ricorrenti le norme in questione risulterebbero invasive dei poteri statutariamente concessi alle Province autonome in ordine alla gestione dei propri beni demaniali e patrimoniali.

Anche tale questione si presenta fondata.

La disposizione espressa nel primo comma dell'art. 6, ove riferita alle ricorrenti, appare, infatti, superflua e invasiva, dal momento che le Province autonome di Trento e Bolzano, ai sensi dell'art. 68 dello Statuto, dispongono pienamente dei beni immobili di natura demaniale e patrimoniale ad esse assegnati e tale disponibilità non può non comportare anche la possibilità di concedere i beni in questione in uso gratuito per il perseguimento di finalità di interesse provinciale. A sua volta, la disposizione contenuta nel secondo comma dell'art. 6, prescrivendo, in connessione con il primo comma, particolari modalità per l'utilizzazione dei beni concessi, si presenta limitativa delle competenze relative all'amministrazione del patrimonio delle ricorrenti, che l'art. 54, primo comma, n. 4, dello Statuto affida senza condizioni alla Giunta provinciale.

Ambedue le disposizioni in esame risultano, pertanto, viziate d'incostituzionalità nella parte in cui, riferendosi alle Province autonome di Trento e di Bolzano, introducono, per la gestione dei beni immobili alle stesse spettanti, limiti e condizioni non previsti in sede statutaria.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi;

1) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, sesto comma, della legge 19 luglio 1991, n. 216 (Primi interventi in favore dei minori soggetti a rischio di coinvolgimento in attività criminose), nella parte in cui non prevede la preventiva intesa fra lo Stato e le Province autonome di Trento e di Bolzano in ordine al decreto del Ministro dell'interno che dispone i contributi di cui al medesimo art. 2 per il sostegno a iniziative attivate nell'ambito dei rispettivi territori provinciali;

2) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 6 della legge 19 luglio 1991, n. 216, nella parte in cui estende la disciplina prevista dallo stesso articolo alle Province autonome di Trento e di Bolzano;

3) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1; 2, primo, secondo, terzo, quarto, quinto e settimo comma, e 3 della legge 19 luglio 1991, n. 216, sollevate, in riferimento agli artt.8, 9, 16, 78, 79 e 80 dello Statuto speciale del Trentino-Alto Adige e delle relative norme di attuazione, nonchè all'art. 5 della legge 30 novembre 1989, n. 386, e all'art. 119 della Costituzione, dalle Province autonome di Trento e di Bolzano con i ricorsi indicati in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22/01/92.

Giuseppe BORZELLINO, Presidente

Enzo CHELI, Redattore

Depositata in cancelleria il 5 febbraio del 1992.