Sentenza n. 35 del 1992

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SENTENZA N. 35

ANNO 1992

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Dott. Aldo CORASANITI, Presidente

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABE

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 4, secondo comma, 5, primo, secondo e terzo comma, e 6, quinto comma, della legge regionale approvata il 1 - 2 maggio 1991 dall'Assemblea Regionale Siciliana (Norme per la ricapitalizzazione dei maggiori enti pubblici creditizi aventi la sede centrale in Sicilia ed interventi in favore degli enti creditizi minori siciliani),promosso con ricorso del Commissario dello Stato per la Regione Siciliana, notificato il 10 maggio 1991, depositato in cancelleria il 17 successivo ed iscritto al n. 26 del registro ricorsi 1991.

Visto l'atto di costituzione della Regione Siciliana;

udito nell'udienza pubblica del 3 dicembre 1991 il Giudice relatore Antonio Baldassarre;

uditi l'Avvocato dello Stato Franco Favara per il ricorrente, e gli Avvocati Salvatore Pensabene Lionti e Antonino Mirone per la Regione.

Ritenuto in fatto

1.- Con ricorso regolarmente notificato e depositato, il Commissario dello Stato per la Regione Siciliana ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 4, secondo comma, 5, primo, secondo e terzo comma, e 6, quinto comma, della legge regionale approvata il 1 - 2 maggio 1991 e promulgata, nelle more del presente giudizio, come legge della Regione Siciliana 19 giugno 1991, n. 39 (Norme per la ricapitalizzazione dei maggiori enti pubblici creditizi aventi la sede centrale in Sicilia ed interventi in favore degli enti creditizi minori siciliani). Ad avviso del Commissario dello Stato, le disposizioni impugnate, poichè contrastano con principi generali del codice civile (libro V, titolo V), violano il limite del diritto privato posto alle competenze legislative regionali previste dagli artt. 14 e 17 dello Statuto speciale.

In particolare, l'art. 4, secondo comma, nel disporre che il capitale sociale sia sottoscritto per intero dalla Regione Siciliana, si porrebbe in contrasto con le disposizioni codicistiche, dalle quali si desume la natura contrattualistica della società per azioni e, quindi, la necessaria pluralità di soggetti nel momento della costituzione della società stessa.

L'art. 5, poi, nello stabilire, al primo comma, che il presidente della società finanziaria regolata dalla legge impugnata è nominato dalla Regione Siciliana e, al terzo comma, che il predetto presidente provvederà all'assunzione del direttore generale (la cui carica è prevista durare sino all'approvazione dello Statuto), contrasterebbe con la disciplina del codice civile, e in particolare con l'art. 2328 cod. civ., che nega la possibilità di procedere alle suddette nomine prima della costituzione della società.

La nomina, da parte della Regione, del presidente della società contrasterebbe, inoltre, con gli artt. 2458 e 2459 cod.civ., i quali conferiscono allo Stato e agli enti pubblici aventi partecipazioni azionarie la nomina di amministratori o sindaci, non quella del presidente.

Anche l'art. 5, secondo comma, contraddirebbe le norme del codice civile laddove prevede che il presidente della società duri in carica cinque anni e sia confermabile, anzichè durare in carica tre anni, come prescrive l'art. 2383, secondo comma, cod. civ. per gli amministratori della società per azioni.

Infine, l'art. 6, quarto comma, il quale prevede che, in caso di violazione delle direttive del Comitato regionale per il credito e il risparmio, il Presidente della regione, su parere del predetto Comitato e previa deliberazione della Giunta regionale, possa disporre la revoca degli amministratori e dei sindaci e la loro sostituzione, sarebbe in evidente contrasto con l'art. 2458 cod. civ., che limita l'analogo potere dello Stato e degli enti pubblici agli amministratori e ai sindaci da essi nominati.

Lo stesso Commissario dello Stato ricorrente pone, poi, una questione di carattere preliminare attinente a un preteso vizio formale dell'intera legge. Poichè la legge regionale approvata gli è stata comunicata il 6 maggio 1991, anzichè, come prescritto dall'art. 28 dello Statuto speciale, il 5 maggio, ancorchè questo fosse giorno festivo, il ricorrente osserva che, qualora tale ritardo non sia censurato, si vanificherebbe l'art. 29, secondo comma, dello stesso Statuto, il quale dispone che la legge deve essere comunque promulgata decorsi otto giorni dall'approvazione.

Poichè quest'ultimo termine è dato dalla somma di tre giorni per la comunicazione e cinque giorni per l'eventuale impugnazione da parte del Commissario dello Stato, la tardività della comunicazione, ove non fosse considerata un vizio del procedimento, finirebbe per comprimere indebitamente lo spazioriservato al potere di impugnazione. É ben vero, precisa il che questa Corte, con la sentenza n. 365 del 1990, ha ammesso uno slittamento del termine per l'impugnazione, in modo da garantire comunque al Commissario uno spazio di cinque giorni, ma sarebbe opportuno, a suo giudizio, che la Corte torni di nuovo sul problema.

2.- Si è costituita in giudizio la Regione Siciliana per chiedere che il ricorso sia dichiarato non fondato.

Dopo aver premesso che la legge impugnata tende a dare attuazione in ambito regionale alla legge statale 30 luglio 1990, n. 218 e ai relativi decreti legislativi e dopo aver sottolineato che quella prevista nella legge impugnata è una società finanziaria regionale avente scopi di natura pubblica, e perciò assimilabile al tipo delle "società d'interesse nazionale", la difesa della Regione contesta la fondatezza delle singole censure.

In particolare, i dubbi sull'art. 4, primo comma, non sarebbero fondati poichè la stessa normativa del codice civile non escluderebbe, in via di principio, l'ipotesi dell'unico azionista, seppure con riferimento a momenti successivi a quello della costituzione della società (art.2362 cod. civ.). Inoltre, la stessa ipotesi sarebbe ammessa sia dalla direttiva CEE 89/667 del 21 dicembre 1989, sia dall'art. 6, secondo comma, del decreto legislativo n. 356 del 1990, proprio in relazione alla costituzione di società per azioni, anche per atto unilaterale di un solo ente pubblico.

Quanto alla disposizione contenuta nell'art. 5, primo comma, la Regione osserva che essa persegue l'intento di attribuire al presidente della società, nominato prima della costituzione di quest'ultima, la duplice responsabilità di curare la fase costitutiva della società nell'interesse della Regione e di assicurare la direzione della stessa nei primi decisivi anni del suo funzionamento, come del resto sembrerebbero ammettere anche gli artt. 2458 e 2459 cod. civ.. L'atto regionale di nomina, pertanto, avrebbe un doppio contenuto: quello di conferire un incarico inerente all'amministrazione regionale e quello di determinare in capo al prescelto lo status di presidente della società per il periodo successivo alla costituzione della stessa. Nè esisterebbe un principio che vieta di assumere la presidenza della società a chi gestisce le fasi della costituzione della stessa. In relazione all'ulteriore rilievo che la Regione potrebbe nominare gli amministratori, ma non direttamente il presidente, la resistente osserva che quest'ultima nomina non contrasta con le norme del codice civile, che non la prevedono, sicchè si dovrebbe ritenere corretto che il Governo regionale, avendo la totalità delle azioni, abbia anche il potere di nomina del presidente. Eguale discorso varrebbe per la nomina del direttore generale (art. 5, terzo comma), essendo quest'ultimo un ausiliario del presidente della società.

Le censure rivolte all'art. 5, secondo comma, sarebbero infondate, a giudizio della Regione, sia perchè l'art. 2383, secondo comma, cod. civ., che limita il mandato degli amministratori societari a tre anni, non sarebbe applicabile alle società finanziarie regionali, sia perchè suo scopo è quello di assicurare omogeneità tra assetto del capitale e composizione del consiglio di amministrazione, scopo che non avrebbe alcun senso rispetto ad amministratori nominati da enti pubblici, non necessariamente azionisti, con provvedimenti amministrativi.

Riguardo alle censure mosse all'art. 6, quinto comma, la difesa della Regione osserva che, essendo limitato il potere di revoca previsto ai soli amministratori e sindaci nominati dalla Regione, la disposizione impugnata si riferirebbe a un potere amministrativo discrezionale inconfutabilmente spettante al Governo regionale.

Infine, a proposito della censura sulla tardività della comunicazione della legge regionale approvata, la resistente rileva che la tesi interpretativa del Commissario dello Stato sarebbe smentita dalla sentenza n. 365 del 1990 di questa Corte. In ogni caso, premesso che il termine previsto dall'art. 28 dello Statuto è ordinatorio e premesso che, anche se fosse perentorio, la festività del terzo giorno utile legittimava la Regione a comunicare la legge il giorno dopo, la resistente osserva che può alternativamente ritenersi che, con il termine di otto giorni per la promulgazione (art. 29), lo Statuto abbia inteso riferirsi alla scadenza del termine utile per la proposizione dell'impugnazione da parte del Commissario dello Stato ovvero che abbia semplicemente attribuito al Presidente della Regione il potere di promulgare e di pubblicare la legge anche in pendenza del termine per l'impugnazione. La resistente, pur precisando di ritenere preferibile la prima soluzione, sottolinea comunque come la seconda trovi riscontro nella facoltà attribuita al Presidente della Regione di promulgare la legge anche dopo che l'impugnativa sia stata in concreto proposta.

3.- In prossimità dell'udienza l'Avvocatura generale dello Stato ha depositato una memoria difensiva a sostegno del ricorso proposto dal Commissario dello Stato per la Regione Siciliana.

Dopo aver ricordato che la legge impugnata si inserisce nell'ambito della legge n. 218 del 1990 e del decreto legislativo n. 356 del 1990, l'Avvocatura osserva che la stessa legge ricalca lo schema della legislazione statale sul piano regionale, provvedendo al finanziamento del Banco di Sicilia e della Cassa di risparmio V.E. attraverso la costituzione di una società per azioni fiduciaria con capitale interamente sottoscritto dalla Regione Siciliana. Secondo l'Avvocatura, tale intervento si svolge in un campo riservato alla legislazione statale e, in particolare, al codice civile.

Venendo alle singole censure, l'Avvocatura dello Stato osserva come gli argomenti addotti dalla Regione sull'art. 4, primo comma, sono inconferenti sia perchè le norme da essa invocate a giustificazione del principio del socio unico riguardano società aventi per oggetto l'attività bancaria (e tale non è la Finsicilia S.p.a.), sia perchè le direttive comunitarie necessitano d'intermediazione legislativa per poter essere applicate.

Quanto alle censure concernenti l'art. 5, primo e secondo comma, l'Avvocatura sottolinea come le disposizioni contenute negli artt.2458 e 2459 cod. civ. siano di carattere eccezionale e, come tali, insuscettibili di deroga da parte del legislatore regionale. Nè avrebbe alcun rilievo la natura provvedimentale dell'atto di nomina e, tantomeno, l'osservazione che la stessa nomina del presidente della società sarebbe consentita dall'essere la Regione azionista unico: l'uno e l'altro, infatti, non dovrebbero impedire alla Regione di dare diretta applicazione alle normecodicistiche. Identiche osservazioni sono, poi, formulate in all'art.5, terzo comma, riguardo alla nomina del direttore generale.

L'art. 6, quinto comma, infine, si discosterebbe dalla disciplina privatistica anche a giudizio della Regione, tanto più che parrebbe derogare anche all'art. 2400, secondo comma, cod. civ. (secondo cui la revoca dev'esser approvata con decreto dal tribunale, sentito l'interessato).

In relazione alla censura relativa alla comunicazione della legge approvata e alla possibilità che leggi della Regione Siciliana siano promulgate e pubblicate in pendenza del giudizio di costituzionalità, l'Avvocatura sottolinea l'opportunità che la Corte torni a occuparsi del problema, pur dando atto che nel caso di specie il ricorso è stato tempestivamente proposto dal Commissario dello Stato e la promulgazione è avvenuta, non nel nono giorno successivo all'approvazione, ma nel quarantesimo giorno successivo alla notificazione del ricorso.

Considerato in diritto

1. Il Commissario dello Stato per la Regione Siciliana ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 4, secondo comma, 5, primo, secondo e terzo comma, e 6, quinto comma, della legge approvata dall'Assemblea Regionale Siciliana il 1- 2 maggio 1991 e promulgata, nelle more di questo giudizio, come legge della Regione Siciliana 19 giugno 1991, n. 39 (Norme per la ricapitalizzazione dei maggiori enti pubblici creditizi aventi la sede centrale in Sicilia ed interventi in favore degli enti creditizi minori siciliani). Ad avviso del ricorrente, le disposizioni impugnate, nel disciplinare aspetti relativi alla costituzione di una società per azioni (Finanziaria Regionale Siciliana - Finsicilia S.P.A.) con norme che si discostano dai principi contenuti nel codice civile, violerebbero i limiti posti alla competenza legislativa regionale dagli artt. 14 e 17 dello Statuto speciale, comportanti la riserva allo Stato della disciplina dei rapporti di diritto privato.

Lo stesso Commissario dello Stato prospetta preliminarmente un vizio attinente al procedimento di formazione della legge, dovuto al fatto che la legge regionale, a causa della festività del terzo giorno, è stata comunicata al suo ufficio con un giorno di ritardo rispetto al termine di tre giorni fissato dall'art. 28 dello Statuto speciale. Tale ritardo, a suo avviso, avrebbe la conseguenza di vanificare la perentorietà della prescrizione contenuta nell'art. 29, secondo comma, dello stesso Statuto, secondo il quale, decorsi otto giorni dall'approvazione senza che sia pervenuta al Presidente regionale copia dell'impugnazione proposta dal Commissario dello Stato, la legge va comunque promulgata. Infatti, tenuto conto che il termine di otto giorni fissato dall'art. 29 è costituito dalla somma del termine di tre giorni, previsto per la comunicazione del disegno di legge approvato, e del termine di cinque giorni, stabilito per l'impugnazione della legge mediante presentazione del ricorso a questa Corte, il Commissario ritiene che sia illegittimo computare nel termine utile per la comunicazione a lui della legge approvata il giorno successivo a quello festivo.

2. La questione sollevata in via preliminare è manifestamente infondata.

In relazione a questioni analoghe proposte in passato dallo stesso Commissario dello Stato per la Regione Siciliana, questa Corte ha affermato (v. sent. n. 365 del 1990) e, successivamente, ribadito (v. sentt. nn. 484 e 493 del 1991) che il ritardo, dovuto alla festività del terzo giorno utile, nella comunicazione della legge approvata al Commissario dello Stato,ai sensi dell'art. 28 dello Statuto, "altra conseguenza non produce se non che il termine di cinque giorni dato al Commissario dello Stato per l'impugnazione della legge regionale decorre dall'ulteriore giorno dell'effettivo invio della legge stessa". Ciò significa, evidentemente, che il periodo di cinque giorni assicurato al predetto Commissario per la proposizione della impugnazione della legge è comunque garantito per intero, sicchè gli argomenti addotti dal ricorrente si rivelano privi di qualsiasi fondamento.

3. Tutte le restanti questioni di legittimità costituzionale sollevate dal ricorrente presuppongono la previa risoluzione di un problema comune: la definizione dell'ambito di operatività del limite del "diritto privato" - peraltro espressamente richiamato, in materia d'incentivazione industriale e commerciale, dall'art. 14, lettera d, dello Statuto speciale per la Regione Siciliana - rispetto alle c.d. società finanziarie regionali.

Tali società, come è noto, sono strumenti operativi dell'amministrazione pubblica, ormai diffusamente utilizzati da molte regioni, le quali, sul modello dell'organizzazione amministrativa dello Stato, si servono di istituzioni del diritto privato, quali, appunto, le società per azioni, al fine di realizzare, in via indiretta, finalità pubbliche connesse all'esercizio delle proprie competenze. Lo sviluppo di questo tipo di amministrazione indiretta si collega a una generale evoluzione dello Stato nell'epoca contemporanea, in base alla quale quest'ultimo tende a utilizzare crescentemente, soprattutto nel campo dei servizi pubblici e del rapporto d'impiego pubblico, moduli di azione e di organizzazione propri del diritto privato. Come sembra avvertire lo stesso Commissario dello Stato ricorrente - il quale contesta, non già l'uso del diritto privato, ma la conformità di quest'uso ai principi del codice civile -, l'evoluzione del diritto positivo nel senso ora accennato esige una precisazione della portata del limite alla potestà legislativa regionale costituito dalla "disciplina dei rapporti privati". In altri termini, l'utilizzazione a scopi di amministrazione pubblica indiretta di istituzioni proprie del diritto privato impone di precisare ed, eventualmente, distinguere ciò che pertiene all'area dei rapporti generali del diritto privato e ciò che concerne l'area dell'organizzazione pubblica regionale.

Come questa Corte ha da tempo affermato (v. spec. sentt. nn.72 del 1965, 154 del 1972, 151 del 1974, 38 del 1977 e 691 del 1988), il limite del "diritto privato" si basa sull'esigenza che sia assicurata su tutto il territorio nazionale una uniformità di disciplina e di trattamento riguardo ai rapporti intercorrenti tra i soggetti privati, trattandosi di rapporti legati allo svolgimento delle libertà giuridicamente garantite ai predetti soggetti e al correlativo requisito costituzionale del godimento di tali libertà in condizioni di formale eguaglianza (artt. 2 e 3 della Costituzione). In ragione di tale base giustificativa, non v'è dubbio che, per quel che concerne i rapporti intersoggettivi attinenti alle società, le competenze legislative regionali non possono svolgersi inaltro modo che nel senso di applicare ad essi le norme del cod più in generale, le norme che lo Stato detta per la disicplina dei relativi rapporti, salvi ovviamente i campi nei quali le stesse norme rinviano agli usi e alle consuetudini locali. Deroghe alla legislazione di diritto privato - semprechè queste non comportino una violazione, ancorchè indiretta, dei principi civilistici e non risultino manifestamente irragionevoli - sono, invece, ammesse nell'area dei rapporti intercorrenti tra la società privata e l'amministrazione regionale, nella misura in cui prevale la connotazione relativa alla strumentalità della società stessa alle finalità pubbliche che la regione persegue nei campi rientranti nelle competenze ad essa costituzionalmente attribuite.

4. Sulla base dei principi ora affermati, va dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale concernente l'art. 4, secondo comma, della legge impugnata. Secondo il Commissario dello Stato ricorrente, tale articolo, nel disporre che il capitale della Finanziaria Regionale Siciliana (Finsicilia S.p.a.) "è sottoscritto per intero all'atto della costituzione dalla Regione Siciliana", si porrebbe in contrasto con le disposizioni del codice civile in materia di costituzione delle società per azioni, le quali, all'art. 2247 cod. civ., presuppongono la necessaria partecipazione nel momento iniziale di non meno di due soggetti.

Siffatto assunto non può essere condiviso per due ragioni fra loro concorrenti. Innanzitutto, occorre considerare che, nel caso di società per azioni disciplinate come strumento dell'azione amministrativa regionale, il profilo della partecipazione azionaria o quello della sottoscrizione iniziale del capitale societario rientrano nella sfera dei rapporti tra regione e società privata che connotano in modo essenziale la strumentalità di quest'ultima rispetto alla amministrazione regionale.

Infatti, in tanto la predetta società finanziaria può essere ritenuta uno strumento operativo della regione, in quanto quest'ultima possegga o sottoscriva la maggioranza o la totalità delle azioni societarie.

In altri termini, l'aspetto ora considerato è indubbiamente uno di quelli che ammette la possibilità di derogare alla disciplina normativa civilistica, semprechè le deroghe previste siano, come in ipotesi, ragionevolmente collegate alle finalità pubbliche connesse allo svolgimento delle competenze costituzionalmente assegnate alla regione e semprechè le stesse non contrastino, neppure indirettamente, con un principio generale deducibile dalla legislazione di diritto privato.

Quest'ultima evenienza, che occorre ora verificare, non può dirsi contraddetta dalla disposizione impugnata, dal momento che la disciplina posta dall'art. 2247 cod. civ. risulta significativamente modificata, nel senso di un'evoluzione del sistema positivo verso il superamento del limite del socio unico, sia dall'adozione della direttiva del Consiglio della Comunità europea 21 dicembre 1989 n. 89/667 CEE, sia dall'entrata in vigore della legge 30 luglio 1990, n. 218 (Disposizioni in tema di ristrutturazione e integrazione patrimoniale degli istituti di credito di diritto pubblico) e del decreto legislativo 20 novembre 1990, n.356 (Disposizioni per la ristrutturazione e per la disciplina del gruppo creditizio).

La direttiva comunitaria ora ricordata, dopo aver stabilito, all'art.2, che la società a responsabilità limitata può avere un socio unico al momento della costituzione e allorchè tutte le quote sono concentrate in una sola mano (c.d. società unipersonali), dispone, all'art. 6, che, quando uno Stato-membro permette una società unipersonale anche per le società per azioni, si applicano le disposizioni della medesima direttiva. Nel dare attuazione a tali articoli, la legge n. 218 del 1990 ha previsto, all'art.1, secondo comma, che le operazioni di fusione, di trasformazione e di conferimento concernenti gli enti pubblici creditizi di cui al comma precedente, possono interessare una o più società per azioni già esistenti ovvero società appositamente costituite con atto unilaterale e aventi ad oggetto l'attività svolta dagli enti conferenti o di rami di essa. Il successivo decreto legislativo n. 356 del 1990, dopo aver riprodotto le predette disposizioni contenute nella legge delega, ha precisato, all'art. 6, che, per l'attuazione delle operazioni prima ricordate, i conferimenti dell'azienda bancaria o di rami di essa debbono esser fatti in società per azioni bancarie, finanziarie o strumentali alle precedenti, di nuova costituzione o già esistenti, e ha stabilito, al comma successivo, ad integrazione della precedente disposizione, che "la costituzione di società per azioni può avvenire anche con atto unilaterale da parte di un solo ente pubblico conferente nel rispetto delle norme in tema di costituzione delle società per azioni e di quanto previsto dal presente decreto".

Alla luce delle norme ora riferite, risulta chiaro che, quantomeno per l'aspetto considerato dall'impugnazione in esame, la legge della Regione Siciliana non contrasta con i principi civilistici desumibili dalle leggi statali vigenti in materia e costituisce, anzi, un'attuazione degli stessi in ambito regionale. Nè, contro questa affermazione, può valere l'osservazione formulata dall'Avvocatura generale dello Stato, secondo la quale le disposizioni statali precedentemente riferite riguarderebbero soltanto le società aventi ad oggetto l'attività bancaria o, in genere, l'attività creditizia, e non già le società finanziarie (qual'è la Finsicilia S.p.a.). In realtà, l'art. 6 del decreto legislativo n.356 del 1990, come si è appena ricordato, si riferisce all'eventualità che un solo ente pubblico conferente possa costituire con atto unilaterale anche società per azioni finanziarie o strumentali a quelle bancarie. E tale è sicuramente la società finanziaria regolata dalla legge impugnata, dal momento che suo scopo è quello di agevolare e permettere la ricapitalizzazione dei maggiori enti pubblici creditizi aventi la sede centrale nella Regione e di rendere possibili interventi in favore degli enti creditizi minori siciliani.

5. Fondate sono, invece, tutte le censure mosse dal Commissario dello Stato ricorrente ai primi tre commi dell'art. 5 della legge regionale impugnata.

Nelle disposizioni considerate, infatti, sono regolati rapporti interni alla struttura societaria, i quali, come tali, concernono i modi di essere dei soggetti privati, che soltanto il legislatore statale può disciplinare al fine di assicurare la necessaria uniformità di trattamento in tutto il territorio nazionale (v. spec. sentt. nn. 66 del 1961 e 151 del 1974).

Rispetto a tali disposizioni, pertanto, vale la più rigorosaapplicazione del limite del "diritto privato", nel senso che, in rapporti intersoggettivi previsti, le competenze legislative regionali non possono svolgersi in altro modo che dando attuazione alle norme statali che quei rapporti regolano in via generale.

Sulla base di tali principi, va accolta la questione di costituzionalità relativa all'art. 5, primo comma, il quale stabilisce che "entro trenta giorni dall'entrata in vigore della presente legge il Presidente della Regione provvede alla nomina, previa deliberazione della Giunta regionale, del Presidente della predetta società". Tale disposizione, infatti, si pone in contrasto con l'art. 2380, quarto comma, cod. civ., il quale dispone che "il consiglio di amministrazione sceglie tra i suoi membri il presidente, se questi non è nominato dall'assemblea".

In altri termini, con riferimento alle società alle quali partecipa prevalentemente o totalmente la regione, quest'ultima, a norma dell'art.2458 cod. civ., può godere della facoltà, purchè sia prevista dall'atto costitutivo, di nominare uno o più amministratori o sindaci; e la stessa regione può, altresì, nominare i soci fondatori scegliendoli tra i propri dipendenti ovvero tra persone che agiscono, comunque, per suo conto, secondo la propria scelta discrezionale: ciò che non può fare, tuttavia, è sostituirsi al consiglio di amministrazione della società nella nomina del presidente della stessa.

Per ragioni analoghe va accolta la questione di legittimità costituzionale relativa all'art. 5, secondo comma, il quale prevede che il presidente della società resterà in carica cinque anni e potrà essere confermato. Palese è, infatti, il contrasto con l'art. 2383 cod.civ., il quale, al secondo comma, stabilisce perentoriamente che la nomina degli amministratori, e quindi quella del presidente dello stesso consiglio di amministrazione, "non può essere fatta per un periodo superiore a tre anni".

Parimenti incostituzionale è, infine, il terzo comma dello stesso art. 5, il quale attribuisce al presidente della società, nella fase di prima applicazione della legge impugnata, il potere di procedere all'assunzione del direttore generale, che resterà in carica sino all'approvazione dello statuto e alla nomina del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale. La previsione della nomina di un direttore generale prima della stessa costituzione della società è, infatti, contraria al principio del diritto societario attinente all'autonomia organizzativa della società stessa e, con particolare riguardo alla figura del direttore generale, al rilievo che i poteri di quest'ultimo non possono non derivare dall'atto costitutivo o da una deliberazione dell'assemblea societaria.

6. Da ultimo, va accolta anche la questione di legittimità costituzionale dell'art. 6, quinto comma, della legge regionale impugnata.

In virtù della norma censurata, il Presidente della Regione, su parere del Comitato regionale per il credito e il risparmio e previa deliberazione della Giunta regionale, può disporre la revoca degli amministratori o dei sindaci e la loro sostituzione nel caso in cui questi violino le direttive del predetto Comitato per il credito e il risparmio.

Il profilo d'illegittimità costituzionale sollevato dal Commissario dello Stato non investe il potere di revoca del Presidente regionale come tale, ma si riferisce alla mancata limitazione dello stesso potere agli amministratori e ai sindaci nominati dalla Regione. In effetti, poichè il potere di revoca degli amministratori di società per azioni, che l'art.2458, secondo comma, cod. civ. attribuisce allo Stato e agli enti pubblici aventi partecipazioni azionarie, è strettamente correlato al potere di nomina previsto dal primo comma del medesimo art. 2458, il Presidente della Regione può disporre la revoca e la sostituzione dei soli amministratori che siano stati nominati dall'ente regionale. Pertanto, la mancata limitazione del potere disciplinato dalla disposizione impugnata nel senso ora detto, rende quest'ultima costituzionalmente illegittima.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

- dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 5, primo, secondo e terzo comma, nonchè dell'art. 6, quinto comma, della legge della Regione Siciliana 19 giugno 1991, n. 39 (Norme per la ricapitalizzazione dei maggiori enti pubblici creditizi aventi la sede centrale in Sicilia ed interventi in favore degli enti creditizi minori siciliani);

- dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.4, secondo comma, della predetta legge della Regione Siciliana n.39 del 1991, sollevata, con il ricorso indicato in epigrafe, dal Commissario dello Stato presso la Regione Siciliana, per violazione degli artt. 14 e 17 dello Statuto speciale per la Regione Siciliana (R.D. lgs. 15 maggio 1946, n. 455);

- dichiara manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'intera legge della Regione Siciliana n. 39 del 1991, sollevata, con il ricorso indicato in epigrafe, dal Commissario dello Stato presso la Regione Siciliana, per violazione dell'art. 28 dello Statuto speciale per la Regione Siciliana.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22/01/92.

Aldo CORASANITI, Presidente

Antonio BALDASSARRE, Redattore

Depositata in cancelleria il 05 febbraio del 1992.