Ordinanza n. 14 del 1992

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ORDINANZA N. 14

ANNO 1992

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Giuseppe BORZELLINO,Presidente

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 443, secondo comma, del codice di procedura penale promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 19 aprile 1991 dalla Corte d'appello di Roma nel procedimento penale a carico di Beniamimo Narduzzi, iscritta al n. 525 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 33, prima serie speciale, dell'anno 1991;

2) ordinanza emessa il 26 febbraio 1991 dal Pretore di Catania nei procedimenti penali riuniti a carico di Antonia Crimaldi ed altri iscritta al n. 588 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell'anno 1991;

3) ordinanza emessa il 21 giugno 1991 dalla Corte di cassazione sul ricorso proposto da Leonardo Sanna iscritta al n. 627 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.40, prima serie speciale, dell'anno 1991.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 18 dicembre 1991 il Giudice relatore Enzo Cheli.

Ritenuto che nel processo di appello avverso la sentenza di condanna emessa a seguito di giudizio abbreviato dal Tribunale di Roma nei confronti di Beniamino Narduzzi,la Corte d'appello di Roma, con ordinanza del 19 aprile 1991 (R.O. n. 525 del 1991), ha dichiarato rilevante e non manifestamente infondata - in riferimento all'art. 3 della Costituzione - la questione di legittimità costituzionale dell'art. 443, secondo comma, del codice di procedura penale, che detta limiti all'appello avverso le sentenze adottate con il rito abbreviato, precludendo all'imputato l'appello "contro le sentenze di condanna a una pena che comunque non deve essere eseguita";

che nell'ordinanza di rinvio si evidenzia come il rito abbreviato corrisponda ad una esigenza di sollecitudine di giudizio "comune, oltre che ad imputati colpevoli, ad imputati che sono o vogliono essere riconosciuti innocenti";

che pertanto, secondo il giudice remittente, la conclusione del giudizio abbreviato con una sentenza di condanna - anche se a pena soggetta a sospensione condizionale - da un lato delude l'aspettativa dell'imputato, il quale fonda la propria convinzione di non colpevolezza su una valutazione degli elementi di giudizio acquisiti diversa da quella compiuta dalla sentenza e, dall'altro, impedisce all'imputato stesso di sperimentare l'appello, unico mezzo di impugnazione con cui possono essere dedotti motivi di merito ed è possibile ottenere una nuova valutazione degli elementi di giudizio;

che da tale situazione deriverebbe - sempre ad avviso del giudice a quo - una condizione ingiustificatamente deteriore per gli imputati con pena sospesa rispetto agli imputati che non hanno ricevuto quel beneficio;

che nel giudizio dinanzi alla Corte ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata;

che nel procedimento a carico di Antonia Crimaldi ed altri diciassette imputati del reato di cui all'art. 20 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, il Pretore di Catania, con ordinanza del 26 febbraio 1991 (R.O. n.588 del 1991), ha sollevato questione di legittimità costituzionale - in relazione all'art. 3 della Costituzione - dell'art. 443, secondo comma, del codice di procedura penale che detta i limiti dell'appello avverso le sentenze adottate con il rito abbreviato escludendo "il diritto di appello dell'imputato avverso la sentenza di condanna ad una pena che comunque non deve essere eseguita"; che il giudice a quo ha riproposto integralmente la motivazione di una sua precedente ordinanza di rimessione del 12 giugno 1990 (emessa nello stesso procedimento e dichiarata dalla Corte, con l'ordinanza n. 566 del 28 dicembre 1990, "manifestamente inammissibile" perchè "prematura"),denunciando il contrasto della norma impugnata con l'art. 3 della Costituzione;

che nel giudizio dinanzi alla Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile e comunque infondata;

che con ordinanza del 21 giugno 1991 (R.O. n. 627 del 1991), la Corte di cassazione ha dichiarato rilevante e non manifestamente infondata - in relazione all'art. 3 della Costituzione - la questione di legittimità costituzionale dell'art. 443, secondo comma, del codice di procedura penale, denunciando la ingiustificata disparità di trattamento operata dalla disposizione impugnata "tra l'imputato che, non avendo goduto del beneficio della sospensione condizionale della pena, è posto nella condizione di impugnare la sentenza con un gravame che gli consente di provocare una nuova valutazione delle prove a suo carico o della gravità oggettiva e soggettiva del reato, in funzione della misura della pena che è stata a lui in concreto inflitta, e l'imputato che, solo perchè ha goduto di quel beneficio, è, invece, privato della possibilità di quel gravame, pur essendo egualmente interessato alla assoluzione o ad una pena più mite";

che nel giudizio dinanzi alla Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo una pronuncia di infondatezza.

Considerato che i giudizi, in quanto relativi a questioni identiche, vanno riuniti e decisi congiuntamente ;

che questa Corte, con la sentenza 23 luglio 1991, n. 363, ha già dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 443, secondo comma, del codice di procedura penale nella parte in cui stabilisce che l'imputato non può proporre appello contro le sentenze di condanna ad una pena che comunque non deve essere eseguita;

che, pertanto, le questioni dedotte, avendo ad oggetto una disposizione già dichiarata costituzionalmente illegittima, devono essere dichiarate manifestamente inammissibili.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi dinanzi alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 443, secondo comma, del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dalla Corte d'appello di Roma, dal Pretore di Catania e dalla Corte di cassazione con le ordinanze di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20/01/92.

Giuseppe BORZELLINO, Presidente

Enzo CHELI, Redattore

Depositata in cancelleria il 22 gennaio del 1992.