Sentenza n. 2 del 1992

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SENTENZA N. 2

ANNO 1992

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Dott. Aldo CORASANITI,Presidente

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 55 della legge 27 luglio 1978, n. 392 (Disciplina delle locazioni degli immobili urbani), promosso con ordinanza emessa il 4 aprile 1991 dal Tribunale di Torino, nel procedimento civile vertente tra S.a.s. Immobiliare Cravario L. & C. e S.r.l. Fallimento Centro Arredamenti ed altro, iscritta al n. 426 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell'anno 1991.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 20 novembre 1991 il Giudice relatore Francesco Paolo Casavola.

Ritenuto in fatto

1. -- Con ordinanza del 4 aprile 1991 emessa nel procedimento civile vertente tra S.a.s. Immobiliare Cravario L. & C. e S.r.l. FallimentoCentro Arredamenti ed altro, il Tribunale di Torino ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dell'art. 55 della legge 27 luglio 1978, n. 392, nella parte in cui, per costante interpretazione giurisprudenziale, prevede che la sanatoria giudiziale della morosità si applichi al solo procedimento per convalida di sfratto ex art. 658 del codice di procedura civile e non anche all'ordinario giudizio di risoluzione per inadempimento (nel qual caso non sarebbe dato al conduttore di adempiere l'obbligazione dopo la proposizione della domanda ai sensi del terzo comma dell'art. 1453 del codice civile).

Tale orientamento, anche se non condiviso da parte della dottrina e da alcune pronunce di merito, non potrebbe non essere accolto, dato che la procedura prevista dalla norma impugnata implicitamente si riferisce ad un giudice monocratico, munito del potere di decidere la causa, escludendosi così l'istruttore, cui è demandata solo un'attività preparatoria. Nè d'altra parte, argomenta il giudice a quo, il meccanismo procedurale introdotto dalla norma è conciliabile con le diverse fasi del procedimento instaurato, secondo il rito ordinario, dinanzi a un organo collegiale, anche perchè l'istituto della sanatoria della morosità, pur improntato a un particolare favor conductoris, è inevitabilmente connesso con esigenze di celerità perseguite mediante la previsione legislativa di preclusioni temporali dirette ad armonizzare gli interessi contrapposti, riconducibili a ciascuna delle parti del rapporto processuale. É chiaro, osserva il giudice rimettente, che se il legislatore avesse inteso applicare tale procedura ai giudizi ordinari di risoluzione dinanzi al Tribunale, avrebbe certamente riservato le competenze di attuazione dell'art. 55 al giudice istruttore, consentendo la realizzazione delle finalità dell'istituto. É peraltro evidente -- soggiunge il giudice a quo -- che un differimento delle preclusioni processuali sino alla rimessione della causa al collegio comporterebbe uno sbilanciamento tra le parti o, quanto meno, delle incongruenze connesse all'inevitabile protrarsi del termine di sanatoria (per di più ulteriormente prorogabile con la concessione del termine di grazia), con la conseguenza che potrebbe anche essere frustrata la giusta aspettativa del locatore di ottenere la risoluzione giudiziale del contratto.

L'interpretazione della Corte di cassazione, pur essendo, ad avviso del giudice rimettente, conforme all'intento del legislatore, comporta una inevitabile disparità di trattamento -- dipendente dalla mera opzione, da parte del locatore, per l'uno o per l'altro tipo di giudizio -- tra conduttori morosi ai quali è consentito di bloccare l'azione risolutoria tramite il pagamento dei canoni nel termine di grazia e conduttori morosi ai quali ciò non è consentito in presenza di giudizi parimenti solutori del rapporto.

2. -- Intervenuta in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri, l'Avvocatura dello Stato osserva anzitutto che il giudice rimettente incongruamente deduce l'inapplicabilità della regola sostanziale disciplinatrice del rapporto dalla struttura collegiale dell'organo competente in sede di cognizione ordinaria, trascurando la circostanza che un giudizio di risoluzione per inadempimento in materia di locazioni potrebbe introdursi anche davanti al Pretore nei limiti della sua competenza per valore.

Secondo l'Avvocatura, l'orientamento giurisprudenziale richiamato dal giudice a quo non può essere considerato diritto vivente specie se si pensa che la prima delle richiamate pronunce si esprime al riguardo apoditticamente sul presupposto dell'esistenza di una costante conforme giurisprudenza: non sarebbe perciò, ad avviso dell'Avvocatura, preclusa una interpretazione diversa della norma censurata.

Ricorda infine l'Avvocatura come, secondo la giurisprudenza anteriore alla legge n. 392 del 1978, mancando nell'art. 633, ultimo comma, del codice di procedura civile deroghe alla regola dell'art. 1453, ultimo comma, del codice civile, l'intimato, col pagamento degli arretrati, poteva solo impedire l'emanazione dell'ordinanza di convalida (sottratta ai mezzi d'impugnazione stabiliti per le sentenze), con trasformazione dello speciale procedimento in ordinario giudizio per l'accertamento della sussistenza e della rilevanza dell'adempimento. Pertanto l'attestazione da parte del locatore (in caso di mancata opposizione) del persistere della morosità era soltanto presupposto processuale per la pronuncia dell'ordinanza di convalida.

In conclusione, secondo l'Avvocatura, ritenere che l'art. 55 <sia stato dettato limitatamente al procedimento di convalida significherebbe dinecessità accreditarlo non già dell'introduzione di una sostanziale sulla "risoluzione del contratto" (secondo quanto espresso dalla lettera della norma medesima) ma di una mera codificazione di una regola processuale (sull'improcedibilità del rito semplificato) già affermata in via giurisprudenziale. Intesa in tali limiti, la disposizione non violerebbe comunque l'art. 3 della Costituzione, stante la diversità di struttura e finalità del procedimento speciale di convalida rispetto a quello ordinario di cognizione>.

L'Avvocatura conclude pertanto per l'infondatezza della questione.

Considerato in diritto

1. -- Il Tribunale di Torino, con ordinanza del 4 aprile 1991 (R.O. n.426 del 1991), solleva, con riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 55 della legge 27 luglio 1978, n. 392 (Disciplina delle locazioni degli immobili urbani), per pretesa <disparità di trattamento tra conduttori morosi ai quali è consentito di bloccare l'azione risolutoria tramite il pagamento dei canoni nel termine di grazia e conduttori morosi ai quali ciò non è consentito, in presenza di giudizi parimenti solutori del rapporto>; inoltre, contro il criterio di ragionevolezza, tale disparità di trattamento <deriverebbe esclusivamente dall'iniziativa di una delle parti, vale a dire il locatore, a seconda che quest'ultimo scelga un tipo di giudizio o un altro>.

2. -- La questione non è fondata.

Il quesito posto alla Corte è: se la norma impugnata, che esclude la risoluzione del contratto di locazione a seguito del pagamento -- in udienza o entro un termine di grazia -- dei canoni scaduti, sia applicabile non solo nel procedimento sommario di convalida di sfratto per morosità dinanzi al Pretore o al Conciliatore, ma anche nel giudizio ordinario di risoluzione del contratto per inadempimento, con l'effetto di derogare a quanto statuito dall'art. 1453, terzo comma, del codice civile, e cioè che <dalla data della domanda di risoluzione l'inadempiente non può più adempiere la propria obbligazione>.

La Corte di cassazione, cui è riservata la interpretatio iuris, ha dato al quesito risposta negativa e, se esso viene ora proposto al giudice delle leggi, è per la verifica di eventuale lesione dei principi di eguaglianza e di ragionevolezza contenuti nell'art. 3 della Costituzione.

La norma impugnata è ispirata non a mero criterio di favore per il conduttore moroso, ma alla ratio della legge n. 392 del 1978 di conservare continuità al rapporto di locazione.

Pertanto non può dirsi che il conduttore, il quale, purgando la mora in banco iudicis, in sede di procedimento speciale vede esclusa la risoluzione del contratto, sia in assoluto avvantaggiato rispetto al conduttore convenuto in un giudizio ordinario di risoluzione per inadempimento.

Le situazioni non sono comparabili in termini di melior o deterior condicio.

Da un lato la possibilità di adempiere è prevista in una fase processuale caratterizzata dalla ristrettezza dei termini per la vocatio in ius e da una cognizione sommaria, dove alla mancata comparizione si ricollega automaticamente l'effetto risolutorio del rapporto.

D'altro canto siffatto strumento è escluso in un giudizio assistito dalle garanzie di una cognizione piena e tendenzialmente improntato a tempi processuali più dilatati. Inoltre appare difficile scindere concettualmente il processo introdotto ex novo da quello, parimenti ordinario, conseguente alla fase sommaria che si instaura per effetto dell'opposizione dell'intimato, nel corso del quale quest'ultimo, avendo già consumato il relativo potere nell'antecedente procedimento davanti al Pretore, mai potrebbe valersi del più volte citato congegno di cui alla norma impugnata.

Nell'attuale assetto della disciplina processuale delle controversie concernenti i rapporti di locazione, la denunciata inapplicabilità dell'art. 55 alle ipotesi descritte non configura perciò la lamentata contrarietà con l'art. 3 della Costituzione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.55 della legge 27 luglio 1978, n. 392 (Disciplina delle locazioni degli immobili urbani), sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Torino, con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20/01/92.

Aldo CORASANITI, Presidente

Francesco Paolo CASAVOLA, Redattore

Depositata in cancelleria il 22 gennaio del 1992.