Sentenza n. 595 del 1990

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SENTENZA N.595

ANNO 1990

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Giovanni CONSO, Presidente

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 53, comma terzo, ultima parte, del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale), promosso con ordinanza emessa il 22 maggio 1990 dal Consiglio di Stato Sezione IV giurisdizionale sul ricorso proposto dal Ministero delle finanze ed altra contro Tacchini Ubaldo, iscritta al n. 508 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 34, prima serie speciale, dell'anno 1990.

Visto l'atto di costituzione di Tacchini Ubaldo;

udito nell'udienza pubblica del 27 novembre 1990 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello;

uditi gli avvocati Gregorio Leone e Vittorio Nuzzaci per Tacchini Ubaldo.

Ritenuto in fatto

1.- Nel corso di un giudizio incidentale concernente la sospensione dell'esecuzione di una sentenza di primo grado, il Consiglio di Stato, con ordinanza in data 22 maggio 1990, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 4, comma 1, e 35, comma 1, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 53, comma 3, del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, nella parte in cui non prevede che la sospensione di diritto dalle attività di spedizioniere doganale, disposta a seguito di mandato di cattura, cessi con la concessione della libertà provvisoria.

Ad avviso dei giudice a quo, la norma impugnata impone il mantenimento della sospensione obbligatoria anche nell'ipotesi in cui venga concessa la libertà provvisoria, istituto ormai venuto mero, nonchè nei casi di rimessione in libertà di cui all'art. 299 dell'attuale codice di procedura penale. Nello stesso senso, infatti, sono state interpretate da questa Corte e dalla giurisprudenza della Cassazione due disposizioni analoghe, nella ratio e nella lettera, a quella censurata, e cioé rispettivamente: l'art. 39, comma 1, lett. c), e comma 4, del d.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1067, concernente la professione di dottore commercialista (sentenza n. 766 del 1988), e l'art. 139 n. 1 legge 16 febbraio 1913, n. 89, concernente la professione di notaio (giurisprudenza della Cassazione). Tale interpretazione risulterebbe ulteriormente avvalorata dal combinato disposto degli artt. 53, comma 1, lett. b), comma 2 e 3, e 54 del citato d.P.R. n. 43 del 1973, secondo il quale la sospensione di diritto per emissione di mandato o ordine di cattura cessa soltanto con la sentenza, anche non definitiva, di proscioglimento, di assoluzione o di condanna alla pena della reclusione per un periodo inferiore all'anno.

In punto di rilevanza, il giudice remittente disattende la tesi sostenuta nella pronuncia di primo grado, secondo la quale, per effetto della sentenza n. 766 del 1988 che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 39, comma 1, lett. c), e comma 4, d.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1067 (ordinamento della professione di dottore commercialista), nella parte in cui non prevedeva che la sospensione di diritto avesse a cessare quando veniva concessa la libertà provvisoria, deve ora considerarsi, analogicamente, venuta meno anche la disposizione impugnata nella stessa parte in cui non consente il riesame della posizione dello spedizioniere doganale sospeso a seguito di ordine o mandato di cattura, una volta che l'interessato sia stato rimesso in libertà. Ad avviso del giudice a quo l'art. 53 del d.P.R. n. 43 del 1973, sul quale si fonda la propria pronuncia cautelare, deve invece ritenersi vigente finchè non ne venga espressamente dichiarata l'incostituzionalità diretta o derivata.

La rigidità della misura amministrativa, che rimane ferma nonostante la concessione della libertà provvisoria, determinerebbe - secondo quanto già affermato nella citata sentenza di questa Corte n. 766 del 1988 - un'ingiustificata disparità di trattamento rispetto alla disciplina prevista per l'equivalente misura cautelare dell'interdizione provvisoria dalla professione o dal pubblico ufficio disposta, durante l'istruttoria, ai sensi degli artt. 140 codice penale e 290 codice di procedura penale, per la quale é comunque stabilito un limite massimo di durata.

La predetta rigidità, inoltre, escludendo l'adattamento del provvedimento amministrativo di sospensione alle circostanze concrete, risulterebbe in sè irragionevole e, potendo comportare il sacrificio ingiustificato del diritto al lavoro del professionista, si porrebbe in contrasto, oltre che con l'art. 3, anche con gli artt. 4, comma 1, e 35, comma 1, della Costituzione.

2.- Nel giudizio dinanzi a questa Corte si é costituita la parte appellata, che ha preliminarmente rilevato la completa equiparabilità tra le categorie professionali del commercialista e dello spedizioniere doganale (entrambi tenuti a superare un esame per entrare in carriera), con la conseguente possibilità di ritenere che l'illegittimità costituzionale affermata nella sentenza n. 766 del 1988 in relazione alla prima categoria professionale sussista anche nei confronti della legge che disciplina la seconda. Nè un elemento di differenziazione fra le due professioni potrebbe rinvenirsi nel requisito della "fiducia dell'amministrazione", richiesto dall'art. 48 del d.P.R. n. 43 del 1973 per la nomina a spedizioniere doganale; tale requisito, infatti, non consisterebbe in altro che nell'assenza di precedenti condanne penali del candidato, le quali, se intervenute successivamente alla nomina, danno invece luogo alla revoca della stessa, analogamente a quanto dispone l'ultimo comma dell'art. 31 del d.P.R. n. 1067 del 1953, regolante l'ordinamento della professione di commercialista.

Nel ribadire la validità delle argomentazioni svolte con l'ordinanza di rimessione, la parte privata ha infine rilevato l'ingiustificata disparità di trattamento che, in relazione alla stessa misura cautelare amministrativa, si viene a determinare nei confronti degli altri professionisti e dei pubblici dipendenti.

Considerato in diritto

1. - É sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 53, comma 3, ultimo periodo (rectius degli artt. 53, commi 1, lett. b), 2 e 3, e 54, comma 2, ultimo periodo) del d.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1067, nella parte in cui non prevede che la sospensione di diritto dalle attività di spedizioniere doganale, disposta a seguito di ordine o mandato di cattura, cessi con il riacquisto della libertà da parte dell'imputato.

Ad avviso del giudice a quo, tale mancata previsione profila un contrasto con l'art. 3 della Costituzione in quanto la rigidità della misura amministrativa che ne esclude l'adattamento alle circostanze concrete, quale la sopravvenuta rimessione in libertà dell'interessato, oltre che apparire irragionevole in sè, determina una ingiustificata disparità di trattamento rispetto alla disciplina prevista per l'equivalente misura cautelare dell'interdizione provvisoria dalla professione o dal pubblico ufficio disposta, <durante l'istruttoria>, ai sensi degli <articoli 140 codice penale e 290 codice di procedura penale>, per la quale è comunque stabilito un limite massimo di durata. Altro contrasto viene ravvisato in riferimento agli artt. 4, comma 1, e 35, comma 1, della Costituzione, in quanto la predetta rigidità della misura amministrativa comporta un ingiustificato sacrificio del diritto al lavoro del professionista.

2. - La questione, sollevata in riferimento all'art. 3 della Costituzione, è fondata.

In proposito va ricordato che la Corte ha dichiarato (sentenza n. 766 del 1988) l'illegittimità costituzionale dell'art. 39, comma 1, lett. c), e comma 4, del d.P.R. n. 1067 del 1953, perchè dal loro combinato disposto derivava la permanenza della sospensione cautelare dalla professione di dottore commercialista, conseguente ad emissione del mandato di cattura anche dopo la concessione della libertà provvisoria.

L'illegittimità costituzionale delle predette norme fu dichiarata in riferimento all'art. 3 della Costituzione, e cioé sulla constatata irragionevolezza della persistenza della sospensione di diritto, una volta ripristinata la situazione di libertà e sulla ingiustificata situazione deteriore del professionista sospeso de jure, in base ad un provvedimento amministrativo emanato in conseguenza di un mandato di cattura, rispetto alla situazione del professionista sospeso, ex art. 140 codice penale, con un provvedimento del giudice soggetto invece a garanzia di durata.

Situazione non dissimile è quella che si produce per effetto della disciplina oggetto della questione di legittimità costituzionale sollevata con l'ordinanza in esame, in quanto detta norma concerne la sospensione obbligatoria dell'attività di spedizioniere doganale per effetto di un ordine o mandato di cattura dell'imputato esercente tale professione, senza che sia prevista la cessazione della sospensione a seguito del riacquisto dello stato di libertà. Difatti il terzo comma, ultimo periodo, dell'art. 53 del d.P.R. n. 43 del 1973 prevede che è sempre disposta la sospensione dello spedizioniere doganale quando per qualsiasi reato sia stato emesso nei suoi confronti mandato o ordine di cattura e, secondo quanto ritiene il giudice a quo, dal collegamento di tale previsione con il primo comma, lett. b), e con il secondo comma dello stesso art. 53, nonchè con il secondo comma, ultimo periodo, dell'art. 54, deriva che la sospensione di diritto per emissione del mandato o ordine di cattura venga meno soltanto con la sentenza, anche non definitiva, di proscioglimento, di assoluzione o di condanna alla pena della reclusione per un periodo non superiore ad un anno.

Orbene, pur potendosi condividere il risultato dell'interpretazione sistematica formulata dal giudice a quo sulla base del collegamento fra loro delle disposizioni richiamate, non può invece seguirsi l'impostazione che esso propone, quando, sia pure in termini problematici, sembra auspicare una pronuncia della Corte che tenga in qualche modo conto del regime relativo alla custodia cautelare, quale previsto dal nuovo codice di procedura penale del 1988. Come risulta, difatti, dalla stessa ordinanza di rinvio, il giudizio amministrativo, nel quale è stata sollevata la questione in esame, ha per oggetto una vicenda maturatasi sotto il regime dell'abrogato codice di procedura penale, in quanto l'interessato era stato destinatario di un ordine di cattura seguito da un provvedimento di libertà provvisoria. Nè, dall'ordinanza di rimessione, risulta che, con il sopravvenire del nuovo codice di procedura penale del 1988, siano state adottate nuove misure cautelari limitative della libertà personale, o che sia stato modificato, alla stregua del nuovo regime, il titolo del precedente provvedimento di libertà provvisoria, per cui non si vede quale rilevanza potrebbe avere nel giudizio amministrativo a quo una pronuncia che tenesse conto della nuova disciplina del processo penale.

Il thema decidendum può riguardare perciò le norme impugnate solo in relazione al regime delle misure limitatrici della libertà personale e delle loro cause di cessazione quali previste nel codice di procedura penale precedente, perchè il provvedimento impugnato dinanzi al giudice amministrativo è quello con cui è stato disposta la sospensione a tempo indeterminato a seguito dell'ordine di cattura emesso nei confronti del ricorrente, nonostante la già intervenuta scarcerazione per effetto di un provvedimento di libertà provvisoria.

Così circoscritta la questione sotto l'aspetto della rilevanza, è necessario altresì precisare che, pur invocandosi nel dispositivo dell'ordinanza di rimessione una dichiarazione di illegittimità costituzionale riguardante esclusivamente l'art. 53, comma 3, ultimo periodo, del d.P.R. n. 43 del 1973, tuttavia deve tenersi conto che è lo stesso giudice a quo che, come si è già rilevato, nella motivazione dell'ordinanza sottopone a scrutinio di legittimità costituzionale la disciplina risultante dal combinato disposto dell'art. 53, commi 1, lett. b), 2 e 3, e dell'art. 54, comma 2, ultimo periodo, perchè è in particolare quest'ultima disposizione che, nel prevedere l'ipotesi di cessazione della sospensione di diritto, non contempla la riacquisizione dello stato di libertà.

É perciò per effetto del combinato disposto dei commi richiamati che, a detta dello stesso giudice a quo, si determina una situazione identica a quella che, nella già richiamata sentenza n. 766 del 1988, aveva dato luogo alla dichiarazione di illegittimità costituzionale di un analogo complesso normativo riguardante un'altra categoria di professionisti. Ed è dunque in relazione a tale combinato disposto che i principi affermati in detta sentenza pongono in evidenza, come si deduce nella ordinanza di rinvio, analoghi profili di incostituzionalità, perchè non appare razionale che un provvedimento amministrativo, quale quello della sospensione obbligatoria, che ha la stessa natura e si basa sulle stesse situazioni per le quali è previsto un provvedimento giudiziario, come quello ex art. 140 codice penale, non offra al cittadino analoghe garanzie di durata.

3. - L'accoglimento della questione in riferimento all'art. 3 della Costituzione, assorbe i profili che fanno riferimento agli altri parametri costituzionali invocati.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale degli artt. 53, commi 1, lett. b), 2, 3, ultimo periodo, e 54, comma 2, ultimo periodo, del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale), nella parte in cui non prevedono che la sospensione di diritto dello spedizioniere doganale venga meno con la concessione della libertà provvisoria.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12/12/90.

Giovanni CONSO, PRESIDENTE

Vincenzo CAIANIELLO, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 28/12/90.