Ordinanza n. 581 del 1990

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ORDINANZA N.581

ANNO 1990

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Giovanni CONSO, Presidente

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

 nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 129, comma secondo, del codice di procedura penale, promossi con due ordinanze emesse il 31 maggio 1990 dal Tribunale militare di Palermo in due distinti procedimenti penali a carico di Sciortino Ciro, iscritte rispettivamente ai nn. 554 e 565 del registro ordinanze 1990 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica dell'almo 1990.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 12 dicembre 1990 il Giudice relatore Ettore Gallo.

Ritenuto che il Tribunale militare di Palermo, con due distinte ordinanze datate 31 maggio 1990, relative a due procedimenti penali contro lo stesso imputato, solleva questione di legittimità costituzionale dell'art. 129, secondo comma, del codice di procedura penale, in riferimento agli artt. 3, 24 e 27 della Costituzione;

che soltanto la seconda ordinanza, però, porta motivazione, sicchè ad essa sarà fatto riferimento;

che nella detta ordinanza si lamenta come, in presenza di una sopravvenuta causa di estinzione del reato (ipotesi concernente il caso di specie), il giudice del dibattimento, in limine litis, non sarebbe in grado di decidere se si debba far luogo senz'altro all'applicazione della causa estintiva, oppure all'assoluzione o al proscioglimento per le altre cause elencate nell'art. 129, secondo comma, del codice di procedura penale, in quanto <a causa della disposizione dell'art. 431 del codice di procedura penale, il giudice non è in possesso di alcun atto che gli consenta un qualsiasi esame circa l'eventuale assoluta infondatezza della notitia criminis>;

che ciò determina - secondo l'ordinanza - disparità di trattamento rispetto alla situazione che si verifica nell'udienza preliminare, nella quale il <G.I.P.>, essendo in possesso del fascicolo depositato dal pubblico ministero ai sensi dell'art. 416 del codice di procedura penale, è a conoscenza di tutti gli atti d'indagine fino a quel momento compiuti, ed è perciò in grado di valutare se già risultino evidenti le situazioni di cui al secondo comma dell'art. 129 del codice di procedura penale;

che, in conseguenza di tale disparità, anche i princìpi di cui agli artt. 24 e 27 della Costituzione vengono lesi, dato che la difesa non è in grado di conseguire al dibattimento un proscioglimento più ampio, e la presunzione d'innocenza ne resterebbe compressa;

che è intervenuto innanzi a questa Corte il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto innanzitutto l'inammissibilità della questione in quanto la causa di estinzione sussisteva già nel predibattimento e, se il Tribunale non l'ha applicata, ciò starebbe a significare che ha implicitamente ritenuto l'esistenza di un'opposizione delle parti, <decidendo perciò di procedere al dibattimento>;

che ciò comporterebbe l'impossibilità di ogni ulteriore applicazione dell'art. 129, comma secondo, del codice di procedura penale, se non nell'ipotesi di sopravvenienza della causa d'estinzione al dibattimento;

che, comunque, nel merito i due stadi processuali tra i quali l'ordinanza instaura il confronto sarebbero invece per natura incomparabili.

Considerato che le due ordinanze prospettano identica questione, sicchè i giudizi possono venire riuniti per essere decisi con unica sentenza;

che la seconda ordinanza di rimessione è incorsa in una manifesta aberratio ictus, in quanto - come si è rilevato - nella stessa motivazione si riconosce che la difficoltà di valutazione per carenza di atti è <causata> dalla disposizione di cui all'art. 431 del codice di procedura penale, e non quindi da quella impugnata di cui all'art. 129, comma secondo, del codice di procedura penale, che si limita a dettare le condizioni in presenza delle quali il giudice può pronunziare sul merito nonostante la sopravvenienza della causa estintiva: sicchè, oltre all'irrilevanza della questione, si verifica altresì contraddittorietà della motivazione;

che, peraltro, risulta chiaramente dal verbale di dibattimento che il difensore (il quale aveva pur esaminato nell'udienza preliminare il fascicolo del pubblico ministero) non ha rivendicato l'evidenza della situazione di cui al secondo comma dell'art. 129 del codice di procedura penale, ma si è limitato a chiedere che il Tribunale procedesse oltre nel dibattimento per assumere le prove testimoniali che egli presentava, senza dichiarare l'estinzione del reato per amnistia alla quale l'imputato non intendeva rinunziare;

che, a parte l'improponibilità della richiesta in quanto il Tribunale poteva ammettere ed assumere i testi solo in presenza di rinunzia all'amnistia, ciò dimostra chiaramente che la situazione di specie era estranea a quella di cui al secondo comma dell'art. 129 del codice di procedura penale sicchè, anche per questo aspetto, la questione sarebbe stata comunque inammissibile;

che resta così assorbita la peraltro inaccoglibile causa d'inammissibilità prospettata dall'Avvocatura generale, perchè non vi può essere opposizione <implicita> all'applicazione dell'amnistia, dato che le parti, se si oppongono, devono dichiarare se intendono rinunziare all'amnistia o se ritengono la sussistenza delle condizioni di cui al secondo comma dell'art. 129 del codice di procedura penale, e il giudice deve decidere in conseguenza; così come, nemmeno è esatto che il giudice del dibattimento non possa più applicare la causa d'estinzione quando questa sia intervenuta già nel corso degli atti preliminari (art. 469 del codice di procedura penale), dato che l'art. 129 del codice di procedura penale fa obbligo al giudice, il quale riconosca che il reato è estinto, di dichiararlo d'ufficio con sentenza <in ogni stato e grado del processo>, e perciò tanto più se in una fase precedente la declaratoria sia stata erroneamente omessa.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

visti ed applicati gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, e riuniti i giudizi;

dichiara manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 129 del codice di procedura penale, sollevata dal Tribunale militare di Palermo, con due ordinanze datate 31 maggio 1990, in riferimento agli artt. 3, 24 e 27 della Costituzione.

Così deciso, in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12/12/90.

Giovanni CONSO, PRESIDENTE

Ettore GALLO, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 28/12/90.