Sentenza n. 515 del 1990

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N.515

ANNO 1990

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Giovanni CONSO, Presidente

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 390 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 7 febbraio 1990 dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Torino nel procedimento penale a carico di Cotrone Salvatore ed altro, iscritta al n. 434 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27, prima serie speciale, dell'anno 1990.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 26 settembre 1990 il Giudice relatore Enzo Cheli.

Ritenuto in fatto

l.- Con ordinanza del 7 febbraio 1990, il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Torino ha sollevato, in riferimento all'art. 13, terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 390 del codice di procedura penale dei 1988, "nella parte in cui esclude l'intervento convalidante dell'autorità giudiziaria in seguito a provvedimenti restrittivi (arresto o fermo) d'iniziativa dell'autorità di pubblica sicurezza, in particolare nei casi di inefficacia a norma degli artt. 386, settimo comma, e 390, terzo comma, del codice di procedura penale".

Il giudice remittente premette, in punto di fatto, che, a seguito di arresto in flagranza eseguito in data 16 gennaio 1990 dai carabinieri di Torino, il procuratore della Repubblica presso il locale Tribunale richiedeva in data 17 gennaio la convalida dell'arresto al giudice per le indagini preliminari, il quale fissava per il giorno successivo l'udienza di convalida; senonchè, sempre in data 17 gennaio, il procuratore della Repubblica ordinava la liberazione degli arrestati per inefficacia dell'arresto, a causa del mancato rispetto del termine di 24 ore per la conduzione degli stessi nella casa circondariale (artt. 386, commi quarto e settimo, e 389 del codice di procedura penale).

Ciò posto, il giudice a quo osserva che, ai sensi dell'art. 389 del codice di procedura penale, i casi in cui il pubblico ministero deve ordinare 1'immediata liberazione dell'arrestato (o del fermato) sono: a) arresto o fermo eseguito per errore di persona; b) arresto o fermo eseguito fuori dei casi previsti dalla legge; c) inefficacia dell'arresto o dei fermo per la tardiva messa a disposizione dell'arrestato o fermato da parte della polizia giudiziaria (mediante trasmissione dei verbale al pubblico ministero), ovvero per tardiva conduzione dell'arrestato o fermato nella casa circondariale o mandamentale, ovvero ancora per tardiva richiesta di convalida da parte del pubblico ministero al giudice per le indagini preliminari. A tali ipotesi va aggiunta quella prevista dall'art. 121 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale) , ai sensi dei quale il pubblico ministero deve porre immediatamente in libertà l'arrestato o il fermato "quando ritiene di non dovere richiedere l'applicazione di misure coercitive".

Per quanto concerne la convalida dell'arresto o del fermo da parte dei giudice per le indagini preliminari, mentre per le ipotesi sub a), b) e c) il legislatore ha escluso la possibilità della convalida (art. 390, primo comma, codice di procedura penale), nel caso di cui all'art. 121 delle Norme di attuazione ha invece espressamente previsto l'udienza di convalida, come risulta dal secondo comma della norma stessa.

Così ricostruito il sistema, ad avviso del giudice a quo la norma impugnata, almeno nella parte in cui esclude la convalida nel caso (come quello di specie) di inefficacia dell'arresto, violerebbe l'art. 13, terzo comma, della Costituzione, il quale imporrebbe, "sempre e comunque", un sindacato dell'autorità giudiziaria sui provvedimenti restrittivi della libertà personale del cittadino ad opera ed iniziativa dell'autorità di pubblica sicurezza.

Il legislatore ordinario - rileva il giudice remittente - mentre ha giustamente previsto che il pubblico ministero debba richiedere la convalida quando, ritenendo legittimo 1, arresto (o il fermo), non giudichi opportuno applicare una misura coercitiva (art. 121 D. Lgs. n. 271 del 1989), altrettanto non ha stabilito nelle ipotesi (richiamata sub c) di liberazione dell'arrestato (o del fermato) per inefficacia dell'arresto (o del fermo). In questo caso l'autorità giudiziaria non può operare alcun controllo dell'attività autonoma della polizia, il cui provvedimento restrittivo, pur giudicato legittimo (ancorchè inefficace) dal pubblico ministero, non viene dichiarato tale con adeguata motivazione,, perchè questo potrebbe farlo solo il giudice, che ne é tuttavia interdetto dall'art. 390 del codice di procedura penale.

Ma il sindacato dell'autorità giudiziaria sui provvedimenti della pubblica sicurezza non dovrebbe - secondo il giudice a quo - limitarsi alla valutazione dell'esistenza dei presupposti per protrarre la custodia cautelare del cittadino, bensì dovrebbe valutare l'operato stesso dell'autorità di polizia: in sostanza il magistrato sarebbe tenuto in ogni caso a verificare l'esistenza di quei fattori che legittimano l'arresto o il fermo e solo successivamente se l'uno o l'altro debbano essere protratti negli effetti.

2.- É intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, per affermare l'infondatezza della questione.

Ad avviso dell'Avvocatura, il precetto costituzionale invocato dal giudice remittente postula il necessario intervento dell'autorità giudiziaria nei soli casi in cui il provvedimento restrittivo interinalmente adottato dall'autorità di pubblica sicurezza sia produttivo di quegli effetti che l'istituto della convalida mira appunto a confermare.

L'art. 13, terzo comma, della Costituzione, nello stabilire che i provvedimenti provvisori dell'autorità di pubblica sicurezza "si intendono revocati e restano privi di effetti" se non convalidati nei termini ivi previsti, ipotizzerebbe una decisione convalidante su di un provvedimento provvisorio ma pur sempre efficace, in quanto la provvisorietà cui allude la norma inerisce non all'atto in quanto tale, ma agli effetti che l'atto stesso é in grado di produrre: sicchè, caducatisi quegli effetti, verrebbe meno la stessa ragione d'essere della convalida.

Considerato in diritto

1. - Il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Torino solleva questione di legittimità costituzionale - in riferimento all'art. 13, terzo comma, della Costituzione-dell'art. 390 del codice di procedura penale del 1988, nella parte in cui esclude che il pubblico ministero debba richiedere al giudice per le indagini preliminari la convalida dell'arresto (o del fermo), ove sia stata ordinata l'immediata liberazione dell'arrestato (o del fermato) per inefficacia della misura ai sensi degli artt. 386, settimo comma, e 390, terzo comma, dello stesso codice (decorso del termine di ventiquattro ore senza che l'arrestato o il fermato sia stato messo a disposizione del pubblico ministero e condotto nel carcere del luogo ove il provvedimento è stato eseguito; decorso del termine di quarantotto ore senza che il pubblico ministero abbia richiesto la convalida al giudice per le indagini preliminari).

Osserva il giudice remittente che nelle altre ipotesi di immediata liberazione (misura restrittiva eseguita per errore di persona o fuori dei casi previsti dalla legge: art. 389, primo comma, cod. proc. pen.; convincimento del pubblico ministero di non dover richiedere l'applicazione di misure coercitive: art. 121 Norme di attuazione cod. proc. pen.) il provvedimento restrittivo adottato dalla polizia è soggetto al controllo di legittimità del l'autorità giudiziaria (pubblico ministero nel primo caso; giudice per le indagini preliminari in sede di giudizio di convalida nel secondo); quando, invece, l'immediata liberazione è disposta per sopravvenuta inefficacia della misura, a seguito del mero decorso dei termini perentori indicati dalla legge, non è previsto alcun sindacato dell'autorità giudiziaria sull'operato della polizia. Tale mancata previsione violerebbe il terzo comma dell'art. 13 della Costituzione, il quale, ad avviso del remittente, imporrebbe <sempre e comunque> un controllo del giudice sulla legittimità dei provvedimenti restrittivi della libertà personale adottati dall'autorità di pubblica sicurezza di propria iniziativa.

2. - La questione non è fondata.

La disciplina costituzionale posta dall'art. 13 Cost. in tema di libertà personale mira in primo luogo a garantire la difesa della persona umana da forme illegittime di detenzione e, in particolare, dall'uso arbitrario del potere di arresto da parte dell'autorità di polizia. Tali finalità, nei casi eccezionali di necessità ed urgenza, tassativamente indicati dalla legge, in cui i provvedimenti limitativi della libertà siano stati adottati non dal giudice ma dall'autorità di pubblica sicurezza, vengono perseguite - ai sensi del terzo comma dell'art. 13 -mediante l'adozione di un meccanismo procedurale rigorosamente scandito nei tempi e nelle competenze, meccanismo incentrato sul carattere provvisorio del provvedimento adottato dall'autorità di pubblica sicurezza, sulla sua comunicazione entro quarantotto ore all'autorità giudiziaria e sull'intervento di tale autorità nelle successive quarantotto ore ai fini della convalida dei suoi effetti. Ma la stessa formulazione della norma costituzionale induce a escludere che una pronuncia sulla convalida da parte dell'autorità giudiziaria sia richiesta - come si afferma nell'ordinanza di rinvio - <sempre e comunque>: tale pronuncia si impone, invece, come necessaria quando si tratti di protrarre nel tempo, oltre i termini tassativamente indicati nell'art. 13, terzo comma, Cost., gli effetti del provvedimento restrittivo adottato dalla polizia, non quando tali effetti, per vizi inerenti al procedimento, siano destinati automaticamente a cessare - come nelle ipotesi di cui agli artt. 386, settimo comma, e 390, terzo comma, cod. proc. pen. - ancor prima dell'intervento del giudice e della attivazione del procedimento di convalida. In questi casi, la liberazione immediata dell'arrestato da parte dell'autorità in grado di intervenire con la maggiore tempestività resta la prima esigenza da realizzare, indipendentemente dall'esito dell'accertamento giudiziale sulla legittimità del provvedimento restrittivo adottato dall'autorità di pubblica sicurezza: accertamento che, in ogni caso, potrà pur sempre essere promosso da parte del soggetto che si ritenga ingiustamente leso nel suo diritto di libertà personale mediante il ricorso agli ordinari strumenti processuali in grado di attivare la responsabilità dell'organo che ha disposto l'adozione del provvedimento restrittivo.

Nè il richiamo - espresso nell'ordinanza di rinvio - all'art. 121 del D.Lgs. n. 271 del 1989 può rappresentare un argomento valido a sostegno della tesi enunciata nell'ordinanza di rinvio, dal momento che nulla vieta che il legislatore, nell'ambito delle scelte rimesse alla sua discrezionalità, possa disporre che l'udienza di convalida, anche se non più necessaria ai sensi dell'art. 13 Cost., sia tenuta pur dopo la liberazione dell'arrestato, tanto più ove tale liberazione sia stata determinata, come nella fattispecie richiamata dalla norma in questione, non da vizi procedurali, bensì da una valutazione di opportunità del pubblico ministero che ritenga di non dover richiedere per motivi di merito l'applicazione di misure coercitive.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 390 del codice di procedura penale del 1988, sollevata, in riferimento all'art. 13, terzo comma, della Costituzione, dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Torino con l'ordinanza di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15/10/90.

Giovanni CONSO, PRESIDENTE

Enzo CHELI, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 02/11/90.