Ordinanza n. 509 del 1990

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ORDINANZA N.509

ANNO 1990

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Giovanni CONSO, Presidente

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 47, primo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), così come introdotto e modificato dalla legge 10 ottobre 1986 n. 663, promosso con ordinanza emessa il 27 marzo 1990 dal Tribunale di sorveglianza di Brescia nel procedimento di sorveglianza nei confronti di Trimboli Rocco, iscritta al n. 400 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 26, prima serie speciale, dell'anno 1990.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 10 ottobre 1990 il Giudice relatore Ettore Gallo.

Ritenuto che, con ordinanza 27 marzo 1990, il Tribunale di sorveglianza di Brescia sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 47, primo comma, della legge 26 luglio 1975 n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), così come introdotto e modificato dalla legge 10 ottobre 1986, n. 663, con riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione;

che nell'ordinanza espone il Tribunale che la questione riguarda un condannato con unica sentenza alla pena di anni 3 e mesi sei di reclusione, di cui anni tre inflitti per il reato più grave di concussione, e i residui sei mesi per la continuazione relativa a reati di lieve entità di peculato e falso;

che di tale pena l'interessato ha già scontato in custodia cautelare anni 1 e giorni 17, sicchè la pena residua è di gran lunga inferiore ad anni tre di reclusione, che, a fronte della richiesta di affidamento in prova al servizio sociale, il Tribunale ha, però, rilevato che la sentenza n. 386 del 1989 di questa Corte avrebbe bensì escluso dal computo della .pena inflitta>, ai fini dell'istituto in esame, la parte di pena espiata, purchè, però, si tratti di pene irrogate con sentenze diverse;

che, nella specie, invece la pena unica è stata inflitta con unica sentenza in quanto è stato applicato il disposto di cui all'art. 81, secondo comma, codice penale, sicchè il Tribunale si domanda se, trattandosi di reato continuato, il privilegium favorabile che lo contraddistingue non debba dispiegare i suoi effetti anche in sede esecutiva e perciò tenersi conto soltanto della pena da espiare ancorchè inflitta con unica sentenza;

che conseguentemente, al fine di vedere risolto quest'ultimo quesito, il Tribunale solleva la questione di legittimità costituzionale innanzi a questa Corte.

Considerato che la questione viene sollevata in forma perplessa e, comunque - come bene ha osservato l'Avvocatura generale -riguarderebbe la mera interpretazione dell'art. 81, secondo comma, cod. pen. che spetta innanzitutto al giudice di merito (cui, peraltro, soccorrerebbe l'utile indicazione di cui all'art. 671 cod. proc. pen .);

che, tuttavia, non può la Corte esimersi dal rilevare che, in realtà, il problema è inesistente in quanto frutto di equivoco giacchè, se è vero che la sentenza n. 386 del 1989 di questa Corte ha risolto una questione concernente un cumulo di pene derivanti da più sentenze, è pur vero, però, che già nelle prime righe della motivazione in diritto (par. 2) la sentenza faceva riferimento all 'art . 76, primo comma, cod . pen . quale fonte del <cumulo delle pene inflitte con una o più sentenze di condanna>;

che, d'altra parte, non poteva essere diversamente in quanto l'art. 76, primo comma, codice penale, così come l'art. 73 che pure si riferisce a pene della stessa specie, sono correlati all'art. 71 (in testa al Capo) che disciplina proprio la condanna per più reati con unica sentenza: sicchè è proprio e soltanto questa l'ipotesi cui gli artt. 73 e 76 cod. pen. si coordinano per contemplare l'istituto della pena unica;

che, in effetti, l'estensione del principio di cui ai detti articoli (e in particolare del primo comma dell'art. 76 cod . pen . su cui si svolge la citata sentenza della Corte) anche ai casi di pene irrogate con più sentenze di condanna, dipende dal disposto di cui al successivo art. 80 cod. pen., sicchè la previsione principale del legislatore è proprio quella concernente l'ipotesi che preoccupa il Tribunale rimettente, e il contenuto della decisione di questa Corte a fortiori è perciò ad essa riferibile.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

visti ed applicati gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi d avanti alla Corte costituzionale;

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 47, primo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), cosi come introdotto e modificato dalla legge 10 ottobre 1986, n. 663, sollevata dal Tribunale di sorveglianza di Brescia, con ordinanza 27 marzo 1990, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15/10/90.

Giovanni CONSO, PRESIDENTE

Ettore GALLO, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 26/10/90.