Sentenza n. 445 del 1990

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SENTENZA N.445

 

ANNO 1990

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

 

Dott. Francesco SAJA, Presidente

 

Prof. Giovanni CONSO

 

Prof. Ettore GALLO

 

Dott. Aldo CORASANITI

 

Prof. Giuseppe BORZELLINO

 

Dott. Francesco GRECO

 

Prof. Renato DELL'ANDRO

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Enzo CHELI

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 554, secondo comma, del codice di procedura penale e 157 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale), promossi con le seguenti ordinanze:

 

1) ordinanza emessa il 13 gennaio 1990 dal Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura circondariale di Vercelli nel procedimento penale relativo all'esposto dell'Associazione esposti all'amianto (A.E.A), iscritta al n. 141 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell'anno 1990;

 

2) ordinanza emessa il 25 gennaio 1990 dal Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura circondariale di Catania nel procedimento penale relativo all'infortunio sul lavoro occorso a Nocito Ignazio, iscritta al n. 151 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell'anno 1990.

 

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nella camera di consiglio del 13 giugno 1990 il Giudice relatore Giovanni Conso.

 

Ritenuto in fatto

 

1.- Il Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura circondariale di Vercelli, con ordinanza del 13 gennaio 1990, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 554, secondo comma, del codice di procedura penale.

 

La norma denunciata impone al giudice per le indagini preliminari presso la pretura, di fronte ad una richiesta di archiviazione formulata dal pubblico ministero in carenza di attività investigativa, l'alternativa tra l'accoglimento della richiesta e la restituzione degli atti al pubblico ministero perchè formuli l'imputazione ed emetta il decreto di citazione a giudizio, senza che lo stesso pubblico ministero possa essere invitato dal giudice a svolgere le necessarie ulteriori indagini, come invece previsto dall'art. 409, quarto comma, dello stesso codice. Ne conseguirebbe violazione dell'art. 3 della Costituzione, per ingiustificato disparità di trattamento rispetto all'analogo rito presso il tribunale, e dell'art. 112 della Costituzione, per essere l'organo giurisdizionale nell'impossibilità di contrastare efficacemente l'inerzia del pubblico ministero.

 

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, n. 14, prima serie speciale, dei 4 aprile 1990.

 

Nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la declaratoria di manifesta infondatezza della questione, deducendo che l'art. 3 della Costituzione non sembra possa essere chiamato in causa quando - come nel caso in esame - la materia coinvolga non diritti di privati ma l'esercizio di funzioni pubbliche e, comunque, quando la diversità di trattamento si colleghi ad una diversità di situazioni; mentre, per quanto riguarda il riferimento all'art. 112 della Costituzione, il giudice a quo ha del tutto trascurato la previsione dell'art. 157 dei testo delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di Procedura penale (testo approvato con il decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271), secondo cui, nel procedimento pretorile, ove rilevi l'esigenza di ulteriori investigazioni, il giudice ne informa il procuratore generale presso la Corte d'appello, il quale, "se ne ravvisa i presupposti, richiede la riapertura delle indagini a norma dell'art. 414 del codice". là vero, si assume nell'atto di intervento, che tale potere é esercitabile dopo il Provvedimento di archiviazione e previa autorizzazione del giudice per le indagini preliminari; non può però disconoscersi come, in base a tale previsione, l'esercizio dell'azione penale non resti abbandonato all'arbitrio di un singolo organo pubblico.

 

2.- Il Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura circondariale di Catania, con ordinanza del 25 gennaio 1990, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 554, secondo comma, del codice di procedura penale e dell'art. 157 del testo delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale (testo approvato con il decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271).

 

Osserva il giudice a quo che, di fronte ad una richiesta di archiviazione formulata dal pubblico ministero, in carenza di attività investigativa, al giudice per le indagini preliminari presso la pretura é imposta l'alternativa tra l'accoglimento della richiesta e la restituzione degli atti al pubblico ministero perchè formuli l'imputazione ed emetta il decreto di citazione a giudizio, senza che lo stesso pubblico ministero possa essere invitato dal giudice a svolgere le necessarie ulteriori indagini, come invece previsto dall'art. 409, quarto comma; così determinando, per un verso, una ingiustificata discriminazione, integrante violazione dell'art. 3 della Costituzione, rispetto all'analogo rito presso il tribunale e, per un altro verso, l'impossibilità dell'organo giurisdizionale di contrastare efficacemente l'inerzia del pubblico ministero, con conseguente violazione dell'art. 112 della Costituzione.

 

Infatti, secondo il sistema congegnato dall'art. 554, secondo comma, del codice di procedura penale e dall'art. 157 del testo delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie dello stesso codice, il giudice per le indagini preliminari presso il pretore, ove non concordi con la richiesta di archiviazione del pubblico ministero e, al tempo stesso, non sia in grado di ordinare la formulazione dell'imputazione, é comunque tenuto a pronunciare il decreto di archiviazione e, correlativamente, ad informare della necessità di ulteriori indagini il procuratore generale presso la Corte di appello. Questi, tuttavia, si attiverà in base ad una scelta rimessa esclusivamente alla sua discrezionalità ("se rileva l'esigenza di ulteriori indagini": art. 157, primo comma, delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, benchè una valutazione nel senso del necessario attivarsi del pubblico ministero sia già stata espressa dall'organo giurisdizionale cui, istituzionalmente, compete il controllo.

 

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata anch'essa pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, n. 14, prima serie speciale, del 4 aprile 1990.

 

Pure in tale giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che, adottando le medesime argomentazioni sub 1, ha chiesto di dichiarare infondata la questione.

 

Considerato in diritto

 

1.-Il Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura circondariale di Vercelli sottopone al vaglio di questa Corte la legittimità costituzionale dell'art. 554, secondo comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui impone al giudice per le indagini preliminari di pretura, destinatario della richiesta di archiviazione per infondatezza della notizia di reato, di disporre, se non ritiene di accogliere tale richiesta, la formulazione dell'imputazione ai fini della citazione a giudizio, senza consentirgli di indicare previamente al pubblico ministero, che abbia chiesto l'archiviazione in base ad investigazioni ritenute lacunose, il compimento di ulteriori indagini. La norma denunciata contrasterebbe sia con l'art. 3, primo comma, sia con l'art. 112 della Costituzione.

 

La violazione dell'art. 3, primo comma, deriverebbe dall'ingiustificata ed irrazionale discriminazione ravvisabile nei confronti della ben diversa disciplina prevista per le richieste di archiviazione relative a notizie di reati rientranti nella competenza del tribunale o della corte d'assise: alla stregua, infatti, dell'art. 409, secondo e quarto comma, dello stesso codice di procedura penale, il giudice per le indagini preliminari ha a disposizione -accanto o, più esattamente, prima delle due soluzioni terminali, consistenti nell'accogliere la richiesta di archiviazione o nell'ordinare la formulazione dell'imputazione-la possibilità, < ove riscontri lacune investigative>, di < indicare al P.M. le necessarie ulteriori indagini, fissando il termine per il loro compimento>.

 

A sua volta, la violazione dell'art. 112 della Costituzione sarebbe dovuta al fatto che il disposto dell'art . 554, secondo comma, non consentirebbe < un efficace controllo sull'attività di indagine svolta> dal pubblico ministero ai fini dell'obbligatorio esercizio dell'azione penale, in quanto lo strumento ivi configurato, mai permettendo al giudice per le indagini preliminari di < valutare il grado di completezza delle indagini svolte>>, non varrebbe a garantire che la richiesta di archiviazione < sia stata preceduta> e < supportata da un adeguato svolgimento di indagini>.

 

2. -Anche il Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura circondariale di Catania mette in discussione la legittimità costituzionale dell'art. 554, secondo comma, del codice di procedura penale, sostanzialmente nella stessa parte denunciata dal Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Vercelli, o, volendo essere più precisi, in quanto tale comma < riconosce al Giudice, ove questi non concordi con la richiesta di archiviazione, il (solo) potere di imporre al Pubblico Ministero la formulazione dell'imputazione>, tralasciando di considerare < tutta una gamma di situazioni intermedie, caratterizzate dall'acquisizione di elementi ancora inidonei per la formulazione di una corretta imputazione, ma al tempo stesso non esaustivi ai fini della decisione sulla richiesta di archiviazione>. Ma, poichè < è proprio a queste situazioni ibride, di incertezza, che sembra riferirsi l'art. 157 decreto legislativo n. 271/89, allorchè stabilisce che il Giudice per le indagini preliminari, quando emette decreto di archiviazione, se rileva l'esigenza di ulteriori indagini, ne informa il Procuratore generale presso la Corte di appello>, diventa decisivo l'ulteriore dubbio immediatamente sollevato nei confronti della legittimità costituzionale del suddetto articolo. La conformità alla Costituzione della soluzione così operata in sede di norme di attuazione per ovviare alla lacuna addebitata all'art. 554, secondo comma, del codice viene, infatti, contestata dal Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Catania, in quanto il procuratore generale, una volta informato dell'archiviazione in tal modo disposta, < non ha alcun dovere di richiedere la riapertura delle indagini>, a ciò attivandosi < soltanto ove ne ravvisa i presupposti, ossia in base ad una scelta rimessa esclusivamente alla sua valutazione discrezionale> .

 

Per entrambe le norme denunciate dal Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Catania i parametri di riferimento costituzionale corrispondono in definitiva a quelli invocati dal Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Vercelli: anzitutto, l'art. 3, dato che sarebbe priva di ragionevole giustificazione la < diversità di disciplina nel procedimento pretorile, rispetto a quella adottata, per situazioni identiche, nel procedimento davanti al Tribunale> dall'art. 409, quarto comma, del codice di procedura penale; e, poi, l'art. 112, dato che il provvedimento di archiviazione emesso in forza degli artt. 554, secondo comma, del codice e 157 delle norme di attuazione, configurandosi < come una sorta di atto dovuto> per il giudice, comporterebbe la violazione del principio secondo cui < la decisione in ordine alla richiesta di archiviazione formulata dal Pubblico Ministero, proprio in quanto espressione del controllo sulle scelte dell'organo dell'accusa, non può mai essere coatta>.

 

3. - Stante la parziale identità del rispettivo oggetto normativo e la virtuale coincidenza dei riferimenti costituzionali chiamati in causa, i giudizi relativi alle questioni sollevate dalle due ordinanze in esame non possono non essere riuniti per dare luogo ad una decisione congiunta. Tanto più che la divergente prospettazione del requisito della rilevanza (il Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Vercelli sostiene che la norma impugnata lo < condurrebbe ad ordinare al P.M. la formulazione entro 10 giorni di un'imputazione basantesi su indagini che si giudicano incomplete>, anzichè ad indicare al pubblico ministero l'espletamento delle ulteriori indagini emergenti come necessarie dagli atti del procedimento, mentre il Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Catania esprime l'avviso che < dovrebbe pronunciare decreto di archiviazione e contemporaneamente ... informare il Procuratore generale presso la Corte di appello della esigenza di ulteriori indagini>, anzichè indicare previamente al pubblico ministero le < più approfondite indagini> rese necessarie dalla contraddittorietà e lacunosità della relazione tecnica in atti)-dovuta non soltanto alle particolarità di ciascun caso di specie, ma anche, e più ancora, al diverso modo di intendere la regola di giudizio cui il giudice per le indagini preliminari dovrebbe attenersi nel verificare l'accoglibilità della richiesta di archiviazione allo stato degli atti-consente di avere a disposizione un quadro più completo delle situazioni disciplinate dalle norme in discussione.

 

4.-Se si prendono le mosse dal primo dei due parametri costituzionali invocati, non si può negare, tanta ne è l'evidenza, la diversità di disciplina che emerge dal raffronto dell'art. 554, secondo comma, del codice di procedura penale con l'art. 409, quarto comma, specie dopo l'emanazione dell'art. 157 delle norme di attuazione, al quale si deve un'ancor più autonoma caratterizzazione dell'ipotesi in cui il giudice per le indagini preliminari presso la pretura circondariale, a fronte di una richiesta di archiviazione per infondatezza della notizia di reato, ritenga necessarie ulteriori indagini. Infatti, nel procedimento di pretura, anzichè restituire gli atti al pubblico ministero con l'indicazione delle ulteriori indagini da compiere, rimandando, se del caso, la scelta tra il disporre l'archiviazione e l'imporre la formulazione dell'imputazione all'esito delle nuove indagini, il giudice deve sempre operare una subitanea opzione tra l'archiviare e l'imporre l'imputazione, salva nel primo caso la concomitante possibilità, prevista dall'art. 157 delle norme di attuazione, di informare della ritenuta < esigenza di ulteriori indagini> il procuratore generale presso la corte di appello, che, < se ne ravvisa i presupposti, richiede la riapertura delle indagini>, da intendersi avocate, una volta accolta la sua richiesta.

 

L'esistenza di questa pur così palese e netta diversità di regime non basta, però, a far ritenere violato l'art. 3 della Costituzione. Il sottolineare - come fa insistentemente la prima delle due ordinanze - che nella competenza pretorile rientrano materie di particolare delicatezza, tali da richiedere, per loro natura, < indagini 6di regola" complesse ed articolate>, pur essendo altrettanto fuori discussione, ha il torto di non considerare che, se tanto bastasse, tutte le differenze caratterizzanti il procedimento di pretura resterebbero già in partenza prive di giustificazione. E ad analogo rilievo va incontro l'asserto-più volte formulato nell'altra ordinanza -secondo cui, < in presenza di situazioni assolutamente eguali>, la diversità di disciplina qui in esame finirebbe per risolversi in una violazione dell'art. 3 della Costituzione.

 

Ma ciò, se vale ad escludere che ogni differenza introdotta per semplificare il rito pretorile comporti di per sè una lesione del principio di eguaglianza, non significa che ciascuna di tali semplificazioni sia comunque da ritenere indenne da vizi di legittimità costituzionale, occorrendo, a tal fine, verificare se la massima semplificazione, di volta in volta attuata, non sia in contrasto, prima ancora che con altri parametri costituzionali eventualmente indicati, con i canoni della ragionevolezza e della coerenza, < principi tutti cristallizzati nell'art. 3, primo comma, Cost.>, come l'ordinanza del Giudice di Vercelli ha cura di documentare.

 

5. -Nell'analizzare sotto quest'altro profilo la rispondenza o meno delle due norme impugnate all'art. 3 della Costituzione, un'ulteriore precisazione si impone a proposito dei rapporti intercorrenti fra l'art. 554, secondo comma, del codice di procedura penale e l'art. 157 delle sue norme di attuazione. Al di là di possibili apparenze, non si è, invero, alla presenza di un combinato disposto, bensì alla presenza di due norme distintamente assoggettate a vaglio di costituzionalità. Sebbene complementari, nel senso che la seconda, emanata in epoca successiva, è stata voluta dal legislatore delegato proprio per ovviare con l'apprestamento di un apposito meccanismo (informativa al procuratore generale ed eventuale sua richiesta di riapertura delle indagini) ad una manchevolezza della prima- che, nel differenziarsi dall'art. 409, quarto comma, non aveva preso in considerazione l'ipotesi nella quale il giudice per le indagini preliminari presso la pretura, a fronte di una richiesta di archiviazione, si trovi a ravvisare < l'esigenza di ulteriori indagini>-l'art. 554, secondo comma, del codice e l'art. 157 delle norme di attuazione hanno dato vita ad un < sistema>, all'interno del quale, come l'Avvocatura dello Stato sottolinea nei due atti di intervento per la Presidenza del Consiglio dei ministri, la previsione dell'art. 157, pur concernendo un momento susseguente all'applicazione dell'art. 554, secondo comma, riveste, ai fini che qui interessano, una posizione prioritaria.

 

Ed infatti, se le cose stessero come sostiene l'Avvocatura dello Stato, cioè se si dovesse escludere ogni contrasto dell'art. 157 delle norme di attuazione con l'art. 3 della Costituzione, anche il < sistema> congegnato a completamento dell'art. 554, secondo comma, del codice, benchè più semplice e, quindi, diverso da quello di base, verrebbe a risultare non contrario a ragionevolezza e coerenza. Ne conseguirebbe, anzitutto, la non fondatezza della questione sollevata nei confronti dell'art. 157 e, in secondo luogo, la non fondatezza della questione sollevata nei confronti dell'art . 5 54, secondo comma, in quanto completato, appunto, da una previsione non in contrasto con l'art. 3 della Costituzione.

 

6. - Ma la previsione dell'art. 157 non può affatto dirsi ispirata a ragionevolezza e coerenza. In dottrina si è addirittura parlato di contradictio in adiecto, così efficacemente sintetizzando l'intervento del Giudice per le indagini preliminari: < con una mano archivia; con l'altra sollecita la richiesta di un seguito>; ed ancora, vieppiù sottolineando la non ragionevolezza della soluzione, < il giudice muove passi tortuosi: non potendo fissare direttive al requirente, decreta l'archiviazione e contestualmente pungola il procuratore generale>.

 

Non meno negativo il parere espresso dal Consiglio superiore della magistratura riguardo all'art. 141-ter del progetto definitivo delle norme di attuazione, cui risale la previsione poi tradottasi tal quale nell'art. 157 del testo definitivo: < II meccanismo previsto dal Progetto definitivo in relazione ai casi in cui, nel procedimento di competenza del pretore, il G.I.P. ritenga necessarie nuove indagini non appare convincente nè sul piano della speditezza e funzionalità nè sul piano della logica. Ed infatti, appare difficilmente comprensibile come si possa, nello stesso momento, disporre l'archiviazione e segnalare, da parte del giudice "terzo", l'esigenza di nuove indagini senza poi nulla poter fare di fronte ad una mancata richiesta di "riapertura delle indagini". Si aggiunga che, nel caso di specie, si avrebbe la completa inversione dei ruoli del pubblico ministero e del giudice, perchè in sostanza sarebbe il giudice 6terzo" a formulare quella 6richiesta di nuove indagini" sulle quali, a seguito della loro formale successiva presentazione da parte del procuratore generale, sarebbe poi chiamato a decidere lui stesso; mentre, nella sostanza, sarebbe l'ufficio della Procura (sia pure generale, anzichè quella presso la Pretura) a dover decidere se accogliere o meno la richiesta di nuove indagini suggerita dal Pretore (pretore, quindi, che, in definitiva, chiederebbe al pubblico ministero di fargli delle richieste su cui poi lui stesso dovrebbe pronunciare)>. Con il che l'incoerenza della soluzione emerge in tutta chiarezza.

 

In fine, la circostanza - messa in particolare risalto, sia pure con riferimento all'art. 112 della Costituzione, del Giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Catania - che il procuratore generale < non ha alcun dovere di richiedere la riapertura delle indagini>, così da rendere questa richiesta meramente eventuale, dimostra come l'esigenza di ulteriori indagini manifestata dal giudice per le indagini preliminari, potendo rimanere del tutto senza seguito, non riceva dal legislatore, che pur se ne è fatto carico in sede di norme di attuazione, alcuna effettiva garanzia.

 

La prima conseguenza da trarre non può, quindi, essere che l'accoglimento della questione sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, nei confronti dell'art. 157 del testo delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale (testo approvato con il decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271). Ne discende l'assorbimento dell'altra questione proposta nei confronti della stessa norma in riferimento all'art. 112 della Costituzione.

 

7. - La declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art. 157 delle norme di attuazione, riportando la situazione normativa a quella risultante dalla pubblicazione del codice di procedura penale anteriormente alla pubblicazione del testo delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie, rende necessario affrontare anche la questione di legittimità costituzionale dell'art. 554, secondo comma, del codice di procedura penale, sempre nell'ottica della ragionevolezza e della coerenza della soluzione che se ne ricava per l'ipotesi in cui il giudice per le indagini preliminari presso la pretura, di fronte alla richiesta di archiviazione proveniente dal pubblico ministero, ritenga necessarie ulteriori indagini: una soluzione di tipo negativo, nel senso che tale ipotesi non vi viene neppure presa in considerazione, ben diversamente da quanto l'art. 409, quarto comma, espressamente dispone (ordinanza al pubblico ministero con l'indicazione delle ulteriori indagini ritenute necessarie e fissazione del termine per il compimento di esse) nei riguardi del giudice per le indagini preliminari presso il tribunale. Da ciò l'impugnativa che accomuna le due ordinanze di rimessione.

 

8. - Il fatto stesso che il legislatore delegato abbia sentito il bisogno di dettare l'art. 157 delle norme di attuazione per porre in qualche modo riparo alla mancanza di previsione addebitata all'art. 554 del codice, potrebbe indurre a concludere per l'immediato accoglimento della questione.

 

Sintomatiche in tal senso risultano le Osservazioni del Governo al progetto definitivo delle norme di attuazione a proposito del già ricordato art. 141-ter, poi diventato art. 157 nel testo definitivo: < Non essendo previsto nel procedimento davanti al pretore che il giudice per le indagini preliminari, investito della richiesta di archiviazione, possa invitare il pubblico ministero a svolgere le ulteriori indagini che si ritengano dal giudice necessarie (come è invece stabilito per il procedimento ordinario, dall'art.409, comma quarto), occorre introdurre una disposizione che consenta al procuratore generale di attivarsi ...

 

In mancanza di una simile previsione, lo svolgimento non completo delle indagini potrebbe rimanere privo di controllo e, quindi, di rimedi>.

 

Conclusione, questa, senz'altro estensibile alla situazione conseguente alla declaratoria di illegittimità dell'art . 157, che, colpendo una norma introdotta per ovviare ad una carenza del genere, è venuta a ripristinarla nei termini precedenti.

 

Ma, a parte la considerazione che il lasciare < lo svolgimento non completo delle indagini... privo di controllo e, quindi, di rimedi> coinvolge il riferimento all'art. 112 della Costituzione piuttosto che il riferimento all'art. 3, non si può non prestare la massima attenzione alla parte finale del già ricordato parere del Consiglio superiore della magistratura. Dopo aver apertamente osteggiato la proposta di introdurre l'art. 157, il Consiglio giungeva alla conclusione di ritenere < assai più semplice, funzionale ed anche corretto che, nel rispetto dei reciproci ruoli, qualora il Pretore non condivida la richiesta di archiviazione del pubblico ministero, sia pure per non essere state esperite tutte le indagini che avrebbero potuto essere fatte, si dia luogo a quanto previsto dall'art. 554, secondo comma: con possibilità poi, per il Pretore, di assumere in giudizio tutte quelle prove che ritiene necessarie (ex art. 507 c.p.p.)>.

 

Sull'eventualità che < approfondimenti di indagine possano essere recuperati in sede dibattimentale> si sofferma lungamente l'ordinanza del Giudice per le indagini preliminari di Vercelli per disconoscerne la < fruttuosità>, in quanto si tratterebbe di un recupero < non tempestivo>. Ma un simile rilievo, oltre ad essere discutibile quanto alla negata inutilità degli approfondimenti probatori successivi alla fase delle indagini preliminari, è sicuramente inidoneo a far apparire irragionevole ed incoerente la soluzione su cui suggeriva di insistere il Consiglio superiore della magistratura, in conformità al dettato dell'art. 554, secondo comma.

 

Altro è, invece, l'argomento da opporre alla tesi che vorrebbe giustificare la previsione dell'art. 554, secondo comma, facendo leva sulla massima semplificazione del procedimento davanti al pretore voluta dalla legge delega del 1987: il puntare subito e soltanto sull'alternativa rappresentata dalla formulazione dell'imputazione per l'immediata citazione a giudizio della persona sottoposta alle indagini preliminari è, al di là delle apparenze, tutt'altro che produttivo proprio sul piano della semplificazione.

 

Come efficacemente osserva l'ordinanza del Giudice di Vercelli, non può affatto dirsi che il disposto dell'art. 554, secondo comma, < soddisfi realmente le esigenze di semplificazione che informano il rito innanzi al pretore>. Il costringere il giudice per le indagini preliminari - che, < a fronte di una richiesta di archiviazione contrassegnata da assenza o carenza di indagini, ... ritenga di non accoglierla> --- ad innescare sempre < il meccanismo del decreto di citazione a giudizio piuttosto che, più semplicemente, come previsto dall'art. 409 c.p.p., darsi luogo all'indicazione di nuove indagini> entro un termine strettamente prefissato, significa, da un lato, precludere in modo prematuro lo sbocco rappresentato dall'archiviazione, che, a seconda dell'esito delle nuove indagini, potrebbe essere riproposta dal pubblico ministero e, questa volta, condiviso dal giudice per le indagini preliminari; dall'altro lato, significa far mettere obbligatoriamente in moto le complesse incombenze traducentisi negli atti introduttivi del giudizio, senza che ve ne sia oggettivamente l'insuperabile necessità, così appesantendo i ruoli del dibattimento per rinviare a quella sede -che dovrebbe, invece, essere deflazionata al massimo-accertamenti assai più speditamente e, comunque, immediatamente realizzabili in fase di indagini preliminari.

 

La conseguenza, sotto quest'aspetto, è che proprio il rito pretorile, da disciplinare per delega secondo criteri di < massima semplificazione>, viene sottoposto ad inevitabili complicanze, mentre il rito di base fruisce della possibilità di acquisire agilmente, nel termine indispensabile fissato dal giudice, ulteriori chiarimenti, comunque preziosi per le determinazioni del pubblico ministero.

 

Pertanto, anche la questione sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, nei confronti dell'art. 554, secondo comma, del codice di procedura penale, per la parte in cui non prevede che, di fronte ad una richiesta di archiviazione presentata per infondatezza della notizia di reato, il giudice per le indagini preliminari presso la pretura circondariale indichi con ordinanza al pubblico ministero le ulteriori indagini ritenute necessarie, fissando il termine indispensabile per il loro compimento, merita di essere accolta, donde l'assorbimento della questione proposta in ordine alla stessa norma con riferimento all'art. 112 della Costituzione.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

a) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 157 (del testo delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale (testo approvato con il decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271);

 

b) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 554, secondo comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che, di fronte ad una richiesta di archiviazione presentata per infondatezza della notizia di reato, il giudice per le indagini preliminari presso la pretura circondariale, se ritiene necessarie ulteriori indagini, le indichi con ordinanza al pubblico ministero, fissando il termine indispensabile per il loro compimento.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26/09/90.

 

Francesco SAJA, PRESIDENTE

 

Giovanni CONSO, REDATTORE

 

Depositata in cancelleria il 12/10/90.